sabato 14 gennaio 2017

Il "Santuario della Spogliazione"

Già con l'evento “Vescovado a porte aperte”, tenutosi il 16 dicembre scorso nei locali della Curia vescovile di Assisi, il vescovo diocesano, mons. Domenico Sorrentino, aveva reso nota la decisione di assegnare alla chiesa di Santa Maria Maggiore, antica cattedrale assisana,  il compito di sviluppare per i pellegrini la funzione santuariale, aggiungendo al suo titolo tradizionale, anche quello di ‘santuario della spogliazione’. 

Il presule ne ha spiegato natura e portata della sua iniziativa pastorale nella omelia fatta durante la messa della notte di Natale nella cattedrale di San Rufino, parlando di un santuario "che ricordi quel gesto di Francesco, ma soprattutto che aiuti tutti, fedeli della diocesi e pellegrini, a fare i conti con il vangelo del Natale in modo serio, misurandosi con i criteri dell’amore di Dio e dell’amore dei fratelli”. 


E ciò, proprio alla luce del Natale:
 “Il Bimbo divino sceglie di nascere in una mangiatoia.  Quale spogliazione! San Paolo, nella lettera ai Filippesi, ne parla in termini di “svuotamento”. Dice che Dio, nel suo Figlio, si è “svuotato”, assumendo la condizione di servo, e divenendo simile a noi.  E questo fino al culmine di una morte ignominiosa come quella della croce. 
Mistero grande, che ci dà un’idea nuova di Dio. Un mistero che rivoluziona i criteri del mondo: dopo Gesù, se si vuole contribuire ad una umanità ispirata alla pace e alla fraternità, non è possibile scegliere altra strada che quella dell’amore crocifisso.
Questo mistero affascinò il nostro Francesco. Fu per questo che anch’egli volle spogliarsi di tutto.  Aveva passato venticinque anni tra le ricchezze paterne a rincorrere sogni di gloria. Preferì cambiare rotta e sposare la povertà.  Il giorno in cui, nel vescovado di Assisi, davanti al vescovo Guido, si spogliò di tutto fino a denudarsi, apparve chiara la sua conformazione a Cristo crocifisso.
Il Natale è mistero di spogliazione. Francesco fece suo questo mistero. Papa Francesco, nella visita che ci fece tre anni fa, venne al vescovado proprio per spiegarci il senso di quel gesto. Lo fece con parole toccanti, direi shoccanti, mostrandoci come la “spogliazione” è una modalità di essere, che ogni cristiano deve far sua. Si tratta infatti di spogliarci del nostro egoismo, di sottrarci a quella mondanità che produce il mondo ingiusto che sta sotto i nostri occhi, in cui pochi hanno tutto e di più, e tantissimi  mancano del necessario. Chi vuol essere discepolo di Cristo, chi vuol contemplare fino in fondo il Bimbo di Betlemme, deve imparare a spogliarsi di sé e ad aprirsi agli altri, condividere ciò che ha, perché nel mondo ci sia uno spazio dignitoso per tutti. È ora di una maggiore sobrietà dei nostri stili di vita. È ora di una maggiore fraternità”.
E, portando la data del Natale 2016,  su questo s’incentra la lettera pastorale indirizzata dal vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino alla comunità diocesana e ai pellegrini in occasione del decreto di istituzione di questo nuovo Santuario della spogliazione.  Mons. Sorrentino ricorda che il tutto nel suo animo è partito con la storica visita di Papa Francesco ad Assisi il 4 ottobre 2013, e dalla sua sosta anche nella Sala della spogliazione, indicata comunemente con l’appellativo “fuorviante” di Sala del Trono. Di qui la “connotazione” di santuario alla chiesa di Santa Maria Maggiore, affidandola “ alla sollecitudine della Provincia Serafica dei Frati Cappuccini, già ivi impegnati nel servizio parrocchiale”.
Nella lettera, articolata in 13 punti, mons. Sorrentino illustra il significato della “nudità originaria”, che in Francesco richiama l’Eden e che “non è solo penitenza e rinuncia” ma “si proietta verso lo splendore del corpo risorto, quando la forza di Cristo darà vita nuova anche ai nostri corpi mortali” (n.4). E ancora, il Pastore richiama il modello della nudità di Francesco, che è dato da Gesù crocifisso (n. 5), per cui “Nell’episodio della spogliazione una parola è decisiva:"Finora ho chiamato te, mio padre, sulla terra: d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli". E qui viene rilevata l’esemplarità dell’immagine ecclesiale plasticamente realizzata con l’abbraccio del vescovo Guido, che, con sapiente discernimento, “ vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio” (n.6). 
Mons. Sorrentino, al riguardo aggiunge: “Raramente, nella storia della Chiesa, istituzione e carisma si sono incontrati con tale immediatezza” (ibidem). Un rapporto che, evocando la paternità del vescovo, richiama la Chiesa madre e dà conto di una precisa prospettiva ecclesiale: “Francesco si distingue, nella storia dei movimenti evangelici del suo tempo, per non aver mai posto l’amore per Cristo in tensione con l’amore per la Chiesa. E ciò non perché gli sfuggissero i limiti che segnano la vita della Chiesa, anche nei suoi ministri. Ma nella Regola, come nel Testamento, è perentorio: ai ministri della Chiesa, anche ai meno esemplari, occorre assicurare il massimo rispetto…L’icona della spogliazione evidenzia così due dimensioni indissociabili della spiritualità di Francesco: la radicalità evangelica e la passione ecclesiale” (n. 8).
Rimanendo sul piano del rapporto padre-madre e quindi della famiglia naturale, il Vescovo Domenico, a scanso di equivoci interpretativi, ricorda e precisa: “Sia chiaro: la famiglia è un valore di prima grandezza. Un preciso comandamento di Dio regola i rapporti tra genitori e figli: "Onora il padre e la madre". Ciò che Francesco rifiuta non è il rapporto di amore col padre, ma l’idolo che lo insidia, il dio-denaro, con le sue logiche di potere e di gloria, a cui Pietro pretendeva di piegarlo. Al tempo stesso, andando oltre gli affetti terreni, Francesco dimostra quanto il vangelo sappia generare un nuovo tipo di famiglia…una famiglia spirituale…Nasce così la fraternitas francescana, il cui ideale sarà vivere "secondo la forma del santo Vangelo".
Fraternità che nasce sul luogo della Porziuncola, donata dai benedettini a Francesco, divenuta “luogo di contemplazione e, insieme, laboratorio di fraternità”. A questo proposito, l’Arcivescovo Sorrentino richiama il progetto diocesano di rinnovamento delle parrocchie, realizzato attraverso le Comunità Maria Famiglie del Vangelo, che ha nella Porziuncola il “luogo ispirante” (n.9).
Ma v’è di più, perché “ Il gesto di Francesco si presta ad essere letto anche da un punto di vista piuttosto inusuale: quello dell’economia” come “profezia di una economia alternativa, il cui motore non è l’interesse egoistico, ma l’etica della gratuità, della fraternità, della solidarietà”, così come affermato da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium a proposito di un mondo governato da un un’economia che “uccide”, a vantaggio di pochi…” (n. 10).
Mons. Sorrentino, sulle orme di Francesco, indica con forza la via della missione per una Chiesa scevra dai fardelli del possesso e del potere (n.11), auspicando che il Santuario della Spogliazione diventi luogo di riconciliazione “in cui abbandonare orgogli e puntigli che minano la pace” (n. 12).
Il Pastore della Chiesa che è in Assisi-Nocera U.-Gualdo T. conclude con  lo sguardo della Madre, individuando il “tratto mariano della spogliazione”: “prima che a Francesco, infatti, la spiritualità della spogliazione rinvia al mistero di Gesù, e Maria vi partecipa con tutta la forza del suo “fiat”: il “si”  dell’Annunciazione e del Calvario. Ella visse totalmente spoglia di sé, donna del silenzio e dell’ascolto, trasparenza di Cristo”.  

domenica 8 gennaio 2017

Il “credente nostalgioso”

Papa Francesco, all’omelia della santa Messa celebrata lo scorso venerdì nella basilica vaticana per la solennità dell’Epifania del Signore, ha evocato il peculiare stato d’animo del “credente nostalgioso”. 

Il Pontefice si è soffermato sull’esperienza dei magi, questi tre sapienti d’Oriente animati da uno spirito nostalgico che li fa muovere, li mette in cammino. Francesco precisa: “ i magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino (cfr San Giovanni Crisostomo). Avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità”.

Ecco allora il richiamo all’uomo credente “che ha nostalgia di Dio”: “La santa nostalgia di Dio scaturisce nel cuore credente perché sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente. La santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: «Vieni, Signore Gesù!»”. 

Ecco allora che, superando certi fatalismi e conformismi e andando verso il futuro, “Il credente “nostalgioso”, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare”. 

E infatti, “I magi sentirono nostalgia, non volevano più le solite cose. Erano abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo. Ma lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo. I magi poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare e prostrandosi davanti al piccolo, prostrandosi davanti al povero, prostrandosi davanti all’indifeso, prostrandosi davanti all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme, lì scoprirono la Gloria di Dio”.

mercoledì 28 dicembre 2016

Papa Francesco e la riforma della Curia Romana

Con il consueto discorso  tenuto lo scorso 22 dicembre per la tradizionale presentazione degli auguri natalizi della Curia Romana, Papa Francesco ha chiuso un ideale trittico avente ad aggetto questo importante organismo mediante il quale “il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese” (can. 360 CIC). 

Il Pontefice nel suo primo incontro del 2013  aveva messo in luce proprio le caratteristiche di quanti operano in Curia, quali la professionalità, il servizio e la santità della vita, indicando come modello da imitare la figura di san Giuseppe. In quello successivo del 2014  si è soffermato sulla necessità per la Curia di migliorarsi, anzi di curarsi da certe “malattie curiali”, arrivando ad enumerarne ben 15. 

Nel 2015, nel contesto dell’Anno della Misericordia, ha dettato “un non esaustivo “catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa… un elenco che parte proprio da un’analisi acrostica della parola “misericordia”. 

Quest’anno il Santo Padre è andato alle ragioni di fondo della riforma della Curia, perché “come per tutta la Chiesa, anche nella Curia il semper reformanda deve trasformarsi in una personale e strutturale conversione permanente”. A tal proposito, ha richiamato la presenza di “resistenze”, precisandone le diverse tipologie: “le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo ‎sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; ‎esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici ‎e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare ‎tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.‎ L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi, perché è un segno che il corpo è vivo. Tutto questo sta a dire che la riforma della Curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera - tanta preghiera! -, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno. E, per questo, preghiera, preghiera e preghiera”. 

Papa Francesco ha, quindi, indicato i dodici principali criteri guida della riforma: “individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità”. 

Tra gli altri, il criterio della pastoralità, per cui “L’impegno di tutto il personale della Curia deve essere animato da una pastoralità e da una spiritualità di servizio e di comunione, poiché questo è l’antidoto contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità. In questo senso il beato Paolo VI ammonì: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonistica e ritualistica, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione; di fratelli e di figli del Papa, che tutto fanno, ciascuno con rispetto all’altrui competenza e con senso di collaborazione, per servirlo nel suo servizio ai fratelli ed ai figli della Chiesa universale e della terra intera»”. 

Così come per quello della cattolicità “È opportuno prevedere l’accesso a un numero maggiore di fedeli laici specialmente in quei Dicasteri dove possono essere più competenti dei chierici o dei consacrati. Di grande importanza è inoltre la valorizzazione del ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa e la loro integrazione nei ruoli-guida dei Dicasteri, con una particolare attenzione alla multiculturalità.”.

giovedì 24 novembre 2016

Una pastorale e una cultura della misericordia

Domenica scorsa, Papa Francesco, al termine della Messa celebrata a conclusione dell’Anno Santo straordinario dedicato alla misericordia, ha firmato sul sagrato della basilica vaticana la lettera apostolica “Misericordia et misera” .

Composta da ventidue punti, l’incipit evoca le due parole che “sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11)”. Con tale racconto, il Papa evidenzia la cifra di questo Giubileo, affermando: “La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo”. 

E infatti, il Santo Padre richiama la fondamentale valenza del perdono per il cristiano, in quanto “segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. Perfino nel momento ultimo della sua esistenza terrena, mentre viene inchiodato sulla croce, Gesù ha parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34)”. E dunque: “Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona”. 

Misericordia che, in una società caratterizzata dal “moltiplicarsi delle forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani”. diventa fonte di gioia alla luce delle parole “dell’Apostolo: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4; cfr 1 Ts 5,16)”. Tracciando un bilancio del Giubileo, papa Bergoglio si sente di metterne in luce la portata ecclesiale di ascolto volto appunto al perdono: “In questo Anno Santo la Chiesa ha saputo mettersi in ascolto e ha sperimentato con grande intensità la presenza e vicinanza del Padre, che con l’opera dello Spirito Santo le ha reso più evidente il dono e il mandato di Gesù Cristo riguardo al perdono”.

Il Santo Padre scandisce i momenti in cui la misericordia viene celebrata nella liturgia, mentre richiama l’abbondanza con cui la misericordia viene donata con la vita sacramentale e in particolare con la Riconciliazione e l’Unzione dei malati. In tutto ciò “assume un significato particolare anche l’ascolto della Parola di Dio” e con essa “importanza acquista l’omelia”, per cui si raccomanda ai sacerdoti di preparare quest’ultima sperimentando su di sé “la bontà misericordiosa del Signore”. Il Papa esorta a diffondere tra le comunità cristiane la Lectio Divina e a dedicare una domenica interamente alla parola di Dio, mentre nell’esprimere apprezzamento e gratitudine, ha deciso di prorogare “fino a nuova disposizione” il servizio dei circa mille Missionari della misericordia “come segno concreto che la grazia del Giubileo continua ad essere, nelle varie parti del mondo, viva ed efficace”. 

Rivolgendosi poi ai sacerdoti in generale, Francesco chiede: “di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio”. Il tutto per sottolineare l’importanza del sacramento della Riconciliazione che “ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono. Un’occasione propizia può essere la celebrazione dell’iniziativa 24 ore per il Signore in prossimità della IV domenica di Quaresima, che già trova molto consenso nelle Diocesi e che rimane un richiamo pastorale forte per vivere intensamente il Sacramento della Confessione”. 

Per questo, “ perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”. Così come il Papa ha deciso di prorogare la decisione adottata all’inizio del Giubileo di considerare valida la confessione dei fedeli con i sacerdoti appartenenti alla Fraternità San Pio X (lefebvriani). 

“Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa. Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. E’ per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone. È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’individualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi. «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), dice Gesù ai suoi discepoli. Non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro”.

“ Questo è ...  per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé. Alla luce del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri”.

E ancora,  il Papa decreta l'istituzione di una Giornata mondiale dei poveri, e di una giornata del perdono, nella IV domenica di quaresima; nuove opere per esprimere la "misericordia come valore sociale"; e dispone che ogni diocesi scelga una domenica da dedicare a Bibbia e lectio divina.

sabato 15 ottobre 2016

“Humanam progressionem”: lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo.

Dopo la nascita del nuovo Dicastero per Laici, famiglia e vita, con il Motu Proprio Humanam progressionem, firmato il 17 agosto scorso e pubblicato il 31 dello stesso mese, papa Francesco ha istituito il ‘’Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale”, ponendo un altro mattone per la riforma della Curia. Il santo Padre ha nominato prefetto dell’organismo il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, attualmente presidente del Pontifico Consiglio della giustizia e della pace.
 
Il nuovo organismo, frutto dello studio del Consiglio dei nove cardinali (C9), mette insieme, facendone cessare le funzioni a partire dal prossimo I gennaio, i seguenti Pontifici Consigli: Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e Pastorale per gli Operatori Sanitari. Essendo abrogati gli articoli 142-153 della Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Pastor Bonus, i suddetti Consigli vengono contestualmente soppressi.
 
Posto che “la Chiesa è chiamata a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo. Tale sviluppo si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato”, scopo del dicastero è “attuare la sollecitudine della Santa Sede nei suddetti ambiti, come pure in quelli che riguardano la salute e le opere di carità”. In particolare, si legge nello Statuto, approvato nello stesso giorno del Motu Proprio,
“Il Dicastero esprime pure la sollecitudine del Sommo Pontefice verso l’umanità sofferente, tra cui i bisognosi, i malati e gli esclusi, e segue con la dovuta attenzione le questioni attinenti alle necessità di quanti sono costretti ad abbandonare la propria patria o ne sono privi, gli emarginati, le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime delle forme contemporanee di schiavitù e di tortura e le altre persone la cui dignità è a rischio” (Art. 1 § 3).
Novità di assoluto rilievo è il fatto che la Sezione che si occupa specificamente di quanto concerne i profughi e migranti “ è posta ad tempus sotto la guida del Sommo Pontefice che la esercita nei modi che ritiene opportuni” (cfr. art. 1 § 4). A tal proposito si nota che non era mai successo che un Pontefice dirigesse una sezione, anche se fino alla riforma di Paolo VI il Papa poteva guidare direttamente alcuni dicasteri, in particolare la Segreteria di Stato con Pio XII e quello dei vescovi e delle cause dei santi, che furono guidati da Giovanni XXIII e da Pio XII fino alla riforma.
 
Tutti temi che verranno approfonditi “nel solco della dottrina sociale della Chiesa”, adoperandosi "affinché essa sia largamente diffusa e tradotta in pratica e i rapporti sociali, economici e politici siano sempre più permeati dallo spirito del Vangelo" (cfr. art. 3 § 1). Nel dettaglio all’art. 3 §2, lo Statuto indica i compiti operativi:
 
“Raccoglie notizie e risultati di indagini circa la giustizia e la pace, il progresso dei popoli, la promozione e la tutela della dignità e dei diritti umani, specialmente, ad esempio, quelli attinenti il lavoro, incluso quello minorile, il fenomeno delle migrazioni e lo sfruttamento dei migranti, il commercio di vite umane, la riduzione in schiavitù, la carcerazione, la tortura e la pena di morte, il disarmo o la questione degli armamenti nonché i conflitti armati e le loro conseguenze sulla popolazione civile e sull’ambiente naturale (diritto umanitario). Valuta questi dati e rende partecipi gli organismi episcopali delle conclusioni che ne trae, perché essi, secondo opportunità, intervengano direttamente”. Così come, “Il Dicastero si adopera perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza materiale e spirituale – se necessario anche mediante opportune strutture pastorali – agli ammalati, ai profughi, agli esuli, ai migranti, agli apolidi, ai circensi, ai nomadi e agli itineranti” (art. 3 § 3).
Un rapporto viene attuato con le istituzioni cattoliche “che s’impegnano per il rispetto della dignità di ogni persona e l’affermazione dei valori della giustizia e della pace e nell’aiuto ai popoli che sono nell’indigenza, specialmente quelle che prestano soccorso alle loro più urgenti necessità e calamità” (§ 4). Analogamente “il Dicastero può intrattenere relazioni con associazioni, istituti e organizzazioni non governative, anche al di fuori della Chiesa cattolica, impegnate nella promozione della giustizia e della pace. Esso può altresì entrare in dialogo con rappresentanti dei Governi civili e di altri soggetti di diritto internazionale pubblico, ai fini di studio, approfondimento e sensibilizzazione sulle materie di sua competenza e nel rispetto delle competenze degli altri organismi della Curia Romana” (§ 5).
 
Viene poi disciplinato Rapporto con membri della Curia e con Organismi connessi, per cui l’art. 4 statuisce:
"§ 1. Il Dicastero agisce in stretta collaborazione con la Segreteria di Stato, nel rispetto delle rispettive competenze. La Segreteria di Stato ha competenza esclusiva sulle materie afferenti alle relazioni con gli Stati e con gli altri soggetti di diritto pubblico internazionale. §2. Il Dicastero mantiene stretti rapporti con la Segreteria di Stato specialmente quando si esprime pubblicamente, mediante documenti o dichiarazioni su questioni afferenti alle relazioni coi Governi civili e con gli altri soggetti di diritto internazionale pubblico. §3. Il Dicastero collabora con la Segreteria di Stato anche partecipando alle delegazioni della Santa Sede in incontri intergovernativi nelle materie di propria competenza. §4. Il Dicastero mantiene uno stretto rapporto con la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, tenendo conto dei suoi Statuti. §5. Sono costituite presso il Dicastero la Commissione per la Carità, la Commissione per l’ecologia e la Commissione per gli operatori sanitari, le quali operano secondo le loro norme. Esse sono presiedute dal Prefetto del medesimo Dicastero e da lui convocate ogni qualvolta è ritenuto opportuno, o necessario. §6. Il Dicastero è competente nei confronti della Caritas Internationalis secondo i suoi Statuti. 
“Il Dicastero assume anche le competenze della Santa Sede circa l’erezione e la vigilanza di associazioni internazionali di carità e dei fondi istituiti agli stessi fini, secondo quanto stabilito nei rispettivi Statuti e nel contesto generale della legislazione vigente” (art. 5).

venerdì 19 agosto 2016

Riforma della Curia Romana: nuovo dicastero per laici, famiglia e vita

Nel solco della secolare cura della Chiesa riguardo i laici, la famiglia e la vita, segno dell’amore del Salvatore misericordioso verso l’umanità, il 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, Giubileo della Misericordia, il Sommo Pontefice Francesco con Lettera Apostolica “Sedula Mater” in forma di Motu Proprio ha istituito il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che sarà disciplinato da speciali Statuti.
 
Competenze e funzioni finora appartenuti al Pontificio Consiglio per i Laici e al Pontificio Consiglio per la Famiglia, saranno trasferiti a questo Dicastero dal prossimo 1° settembre, con definitiva cessazione dei suddetti Pontifici Consigli. Prefetto  del nuovo organismo è stato nominato mons. Kevin Joseph Farrell, finora vescovo della Diocesi di Dallas.
Natura e portata di un’altra decisione trovano spiegazione nel chirografo che il Santo Padre ha inviato a mons. Vincenzo Paglia, nominandolo Gran Cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per studi su matrimonio e famiglia, nonché presidente della Pontificia Accademia per la vita.
 
Il Papa scrive: “in occasione della riforma della Curia Romana, mi è sembrato opportuno che anche le Istituzioni poste al servizio della Santa Sede con l’attività di ricerca e di formazione sui temi relativi al Matrimonio, alla Famiglia e alla Vita, procedano ad un rinnovamento e ad un ulteriore sviluppo per iscrivere la loro azione sempre più chiaramente nell’orizzonte della misericordia”. Evocando il Magistero in materia sulla scia del Vaticano II, Francesco richiama il recente Sinodo sulla Famiglia, con l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia e auspica un confronto “con le sfide della cultura contemporanea. L’ambito di riflessione siano le frontiere; anche nello studio teologico non venga mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità”.
 
In particolare, il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, dovrà favorire “un adeguato sviluppo dell’attività di riflessione, ricerca e insegnamento dell’Istituto, affinché esso diventi un ambito privilegiato per aiutare le famiglie a vivere la loro vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo di oggi”. 
 
Preside del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, il Pontefice ha nominato mons. Pierangelo Sequeri, attualmente preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano.
 
Così come la Pontificia Accademia per la Vita, è chiamata ad occuparsi “delle nuove sfide che concernono il valore della Vita” e cioè dei “diversi aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo”.

Il Papa, nel chiedere di operare ad intra in sinergia tra l’Accademia e l’Istituto Giovanni Paolo II, collegandosi col “Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, nella consapevolezza che alcuni argomenti spetteranno al nuovo Dicastero che si occuperà della pastorale sanitaria”, aggiunge: “In questa prospettiva, ti adopererai a favorire il dialogo cordiale e fattivo con altri Istituti scientifici e Centri accademici, anche in ambito ecumenico o interreligioso, sia di ispirazione cristiana che di altre tradizioni culturali e religiose. Chinarsi sulle ferite dell’uomo, per comprenderle, curarle e guarirle è compito di una Chiesa fiduciosa nella luce e nella forza di Cristo risorto, capace di affrontare anche i luoghi della tensione e del conflitto come un “ospedale da campo”, che vive, annuncia e realizza la sua missione di salvezza e di guarigione proprio là dove la vita degli individui è più minacciata dalle nuove culture della competizione e dello scarto”.

sabato 6 agosto 2016

Pellegrino tra pellegrini

Tutta incentrata sul senso del perdono la meditazione di papa Francesco svolta nel pomeriggio del 4 agosto scorso davanti alla Porziuncola, durante la visita  alla basilica di Santa Maria degli Angeli  per l'ottavo centenario del Perdono di Assisi. Visita particolare, di carattere privato, da pellegrino tra pellegrini, nonostante la folla accorsa per accoglierlo dentro e fuori la basilica angelana.
 
Il Pontefice, partendo dalle parole, che secondo un’antica tradizione san Francesco pronunciò proprio nel luogo della Porziuncola, “Voglio mandarvi tutti in paradiso!”, ed aver evocato la fede nel paradiso professata nella Chiesa attraverso la comunione dei santi, si è soffermato sul senso del perdono:
Quella del perdono è certamente la strada maestra da seguire per raggiungere quel posto in Paradiso. E’ difficile perdonare!... Sappiamo bene, infatti, che siamo pieni di difetti e ricadiamo spesso negli stessi peccati. Eppure, Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo… Il perdono di Dio non conosce limiti; va oltre ogni nostra immaginazione e raggiunge chiunque, nell’intimo del cuore, riconosce di avere sbagliato e vuole ritornare a Lui. Dio guarda al cuore che chiede di essere perdonato… Quando siamo noi in debito con gli altri, pretendiamo la misericordia; quando invece siamo in credito, invochiamo la giustizia!... Gesù ci insegna a perdonare, e a farlo senza limiti: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (v. 22). Insomma, quello che ci propone è l’amore del Padre, non la nostra pretesa di giustizia. Fermarsi a questa, infatti, non ci farebbe riconoscere come discepoli di Cristo, che hanno ottenuto misericordia ai piedi della Croce solo in forza dell’amore del Figlio di Dio.
Da ciò, dunque, la peculiarità del Perdono di Assisi, alla luce del tempo che si vive:
Cari fratelli e sorelle, il perdono di cui san Francesco si è fatto “canale” qui alla Porziuncola continua a “generare paradiso” ancora dopo otto secoli. In questo Anno Santo della Misericordia diventa ancora più evidente come la strada del perdono possa davvero rinnovare la Chiesa e il mondo. Offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Ripeto: offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace. Chiediamo a san Francesco che interceda per noi, perché mai rinunciamo ad essere umili segni di perdono e strumenti di misericordia.