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lunedì 23 gennaio 2017

Il matrimonio cristiano fra foedus e fides

Nell’annuale incontro inaugurale dell’Anno giudiziario con Giudici, officiali, avvocati e collaboratori del Tribunale Apostolico della Rota Romana, Papa Francesco ha tenuto un discorso con cui ha richiamato l’attenzione sul moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle. E per questo ha indicato due vie da percorrere, l’una in preparazione alla celebrazione del sacramento coniugale e l’altra di accompagnamento permanente  da parte della Chiesa degli sposi nel loro cammino di vita insieme .
Il Pontefice nel soffermarsi su tali “rimedi” si è, a sua volta, richiamato al rapporto tra fede e matrimonio, citando San Giovanni Paolo II con l’Enciclica Fides et ratio, nn.16-17, e Papa Benedetto XVI, che proprio durante l’ultimo discorso alla Rota Romana ricordava che “solo aprendosi alla verità di Dio [...] è possibile comprendere, e realizzare nella concretezza della vita anche coniugale e familiare, la verità dell’uomo quale suo figlio, rigenerato dal Battesimo [...]. Il rifiuto della proposta divina, in effetti conduce ad uno squilibrio profondo in tutte le relazioni umane [...], inclusa quella matrimoniale”.
Così come nell’Enciclica Lumen fidei si afferma che “L’amore ha bisogno di verità. Solo in quanto è fondato sulla verità l’amore può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune. Se l’amore non ha rapporto con la verità, è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. L’amore vero invece unifica tutti gli elementi della nostra persona e diventa una luce nuova verso una vita grande e piena. Senza verità l’amore non può offrire un vincolo solido, non riesce a portare l’ “io” al di là del suo isolamento, né a liberarlo dall’istante fugace per edificare la vita e portare frutto” (27).
Ma Papa Bergoglio non omette di guardare ad intra, per cui “Una mentalità che coinvolge, spesso in modo vasto e capillare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 64), la cui fede viene svigorita e perde la propria originalità di criterio interpretativo e operativo per l’esistenza personale, familiare e sociale. Tale contesto, carente di valori religiosi e di fede, non può che condizionare anche il consenso matrimoniale. Le esperienze di fede di coloro che richiedono il matrimonio cristiano sono molto diverse. Alcuni partecipano attivamente alla vita della parrocchia; altri vi si avvicinano per la prima volta; alcuni hanno una vita di preghiera anche intensa; altri sono, invece, guidati da un più generico sentimento religioso; a volte sono persone lontane dalla fede o carenti di fede”.
Per quanto riguarda i “rimedi” enunciati, il Pontefice ne ha precisato espressamente le finalità e anche le modalità, evidenziando la necessità di un nuovo catecumenato: “ Un primo rimedio lo indico nella formazione dei giovani, mediante un adeguato cammino di preparazione volto a riscoprire il matrimonio e la famiglia secondo il disegno di Dio. Si tratta di aiutare i futuri sposi a cogliere e gustare la grazia, la bellezza e la gioia del vero amore, salvato e redento da Gesù. La comunità cristiana alla quale i nubendi si rivolgono è chiamata ad annunciare cordialmente il Vangelo a queste persone, perché la loro esperienza di amore possa diventare un sacramento, un segno efficace della salvezza… Occorre, pertanto, che gli operatori e gli organismi preposti alla pastorale famigliare siano animati da una forte preoccupazione di rendere sempre più efficaci gli itinerari di preparazione al sacramento del matrimonio, per la crescita non solo umana, ma soprattutto della fede dei fidanzati. Scopo fondamentale degli incontri è quello di aiutare i fidanzati a realizzare un inserimento progressivo nel mistero di Cristo, nella Chiesa e con la Chiesa. Esso comporta una progressiva maturazione nella fede, attraverso l’annuncio della Parola di Dio, l’adesione e la sequela generosa di Cristo. La finalità di questa preparazione consiste, cioè, nell’aiutare i fidanzati a conoscere e a vivere la realtà del matrimonio che intendono celebrare, perché lo possano fare non solo validamente e lecitamente, ma anche fruttuosamente, e perché siano disponibili a fare di questa celebrazione una tappa del loro cammino di fede. Per realizzare tutto questo, c’è bisogno di persone con specifica competenza e adeguatamente preparate a tale servizio, in una opportuna sinergia fra sacerdoti e coppie di sposi”.
Ma v’è di più col secondo rimedio, che è “quello di aiutare i novelli sposi a proseguire il cammino nella fede e nella Chiesa anche dopo la celebrazione del matrimonio” attraverso “un progetto di formazione… con iniziative volte ad una crescente consapevolezza del sacramento ricevuto”.

Per tutto questo, si “richiama i parroci ad essere sempre più consapevoli del delicato compito che è loro affidato nel gestire il percorso sacramentale matrimoniale dei futuri nubendi, rendendo intelligibile e reale in loro la sinergia tra foedus e fides. Si tratta di passare da una visione prettamente giuridica e formale della preparazione dei futuri sposi, a una fondazione sacramentale ab initio, cioè a partire dal cammino verso la pienezza del loro foedus-consenso elevato da Cristo a sacramento. Ciò richiederà il generoso apporto di cristiani adulti, uomini e donne, che si affianchino al sacerdote nella pastorale familiare per costruire «il capolavoro della società», cioè «la famiglia: l’uomo e la donna che si amano» (Catechesi, 29 aprile 2015) secondo «il luminoso piano di Dio» (Parole al Concistoro Straordinario, 20 febbraio 2014)”.

mercoledì 16 dicembre 2015

Quella "Porta"

Domenica scorsa, con l’apertura della Porta Santa in tutte le Chiese particolari del mondo, si è dato avvio all’Anno Giubilare della Misericordia dopo che Papa Francesco l’8 dicembre aveva aperto la  Porta Santa della Basilica di S. Pietro.  E dopo che, per la prima volta, la stessa apertura della Porta Santa nella Basilica vaticana era sta preceduta , nella prima domenica di Avvento, il 29 novembre scorso, da quella della Cattedrale di Bangui (Repubblica Centrafricana). 

Mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti – Vasto, intervenendo su Il Sole 24 Ore, enucleando le ragioni del fatto che il Papa abbia voluto centrare questo Giubileo proprio sul tema della misericordia, le ha individuate a livello storico e teologico. Ciò nel solco del magistero pontificio da san Giovanni XXIII allo stesso Francesco, passando per il beato Paolo VI, S. Giovanni Paolo II, che con l'Enciclica Dives in misericordia aveva evidenziato la necessità della misericordia nella cultura dei nostri giorni, e Benedetto XVI, che proprio alla carità e alla misericordia aveva dedicato l'Enciclica Deus caritas est

Nell'evocare la ragione di carattere storico, Forte scrive: “siamo usciti da poco da un secolo, il Novecento, che, definito da alcuni “il secolo breve” (Eric Hobswam) per la rapidità con cui si sono succeduti eventi epocali quali le due guerre mondiali, il genocidio armeno, la Shoah e la stagione della “guerra fredda”, potrebbe non di meno essere descritto come “il secolo tragico”, segnato come pochi altri dalla violenza, al punto che alla fine di esso un terzo dell’umanità di inizio secolo risultava sterminato dagli eventi drammatici che lo hanno attraversato. È proprio al cuore di questo secolo violento e sanguinario che è risuonato nel mezzo dell'Europa devastata dai totalitarismi e dalla guerra il messaggio ricevuto da una giovane donna polacca, Suor Faustina Kowalska, morta ad appena trentatre anni e canonizzata da Giovanni Paolo II nell'anno 2000: è l'annuncio dell’infinita misericordia di Dio, del suo amore gratuito, tenero e compassionevole per ognuna delle Sue creature, nessuna esclusa. È la rivoluzione del perdono in un mondo stravolto da odi e conflitti e bagnato dal sangue d’innumerevoli vittime… La misericordia di Dio verso ogni uomo e quella di ciascuno verso il suo prossimo è la forza che cambia il mondo e la vita, libera dall'odio ed edifica un'umanità riconciliata per il bene di tutti. La fine del “secolo breve” e gli inizi del terzo millennio non hanno purtroppo modificato gli scenari della violenza: dall’11 Settembre 2001, con l'attacco alle Torri Gemelle, i primi anni del nuovo secolo sono stati un susseguirsi di conflitti e di negazioni dell'altro, tanto da indurre Papa Francesco a parlare di una terza guerra mondiale “a pezzi”. Ecco perché c'è tanto bisogno di misericordia!”.

venerdì 26 giugno 2015

Le premesse del magistero pontificio alla Laudato sı’

Nell’approcciare la seconda Enciclica del pontificato di Francesco “Laudato sı', sulla cura della casa comune”, è utile tenere presente quanto emerge dalla tradizione cristiana su un tema di tipo sociale ed ecologico, oltre che di fede, e cioè la tutela dell'ambiente e del Creato.
 
La tradizione cristiana, infatti, non separa giustizia ed ecologia, condivisione della terra e rispetto della terra, attenzione alla vita dell’ambiente e cura per la qualità della vita umana. E su questa linea, denunciandone gli abusi, è intervenuto anche il magistero della Chiesa negli ultimi cinquant’anni.
 
Del resto, papa Bergoglio procede proprio da ciò nell’introdurci in questo documento (cfr. nn. 3-6), destinato a rimanere pietra miliare del magistero sociale della Chiesa, ricordando peraltro “Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni”.
 
 A proposito dei precedenti, il Santo Padre ricorda: “Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva "nonché a tutti gli uomini di buona volontà".
Nel 1971, il beato papa Paolo VI al n. 21 della Octogesima Adveniens, affermava:
Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune”.
Lo stesso Pontefice parlò alla FAO , evocando “una vera catastrofe ecologica “ e sottolineando “ l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità” .

San Giovanni Paolo II nella sua prima Enciclica, Redemptor hominis,  del 1979 al n. 15 osservò:

 Questo stato di minaccia per l'uomo, da parte dei suoi prodotti, ha varie direzioni e vari gradi di intensità. Sembra che siamo sempre più consapevoli del fatto che lo sfruttamento della terra, del pianeta su cui viviamo, esiga una razionale ed onesta pianificazione. Nello stesso tempo, tale sfruttamento per scopi non soltanto industriali, ma anche militari, lo sviluppo della tecnica non controllato né inquadrato in un piano a raggio universale ed autenticamente umanistico, portano spesso con sé la minaccia all'ambiente naturale dell'uomo, lo alienano nei suoi rapporti con la natura, lo distolgono da essa. L'uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che l'uomo comunicasse con la natura come «padrone» e «custode» intelligente e nobile, e non come «sfruttatore» e «distruttore» senza alcun riguardo.”
Il Santo Papa successivamente invitò ad una conversione ecologica globale, mentre con la Enciclica Sollicitudo rei socialis del 1987 ha trattato la questione ecologica in termini di crisi morale e al n. 34 ha scritto:

Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all'ordine che la contraddistingue, chiamavano il «cosmo». Anche tali realtà esigono rispetto, in virtù di una triplice considerazione, su cui giova attentamente riflettere. La prima consiste nella convenienza di prendere crescente consapevolezza che non si può fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati - animali, piante, elementi naturali -come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche. Al contrario, occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo. La seconda considerazione, invece, si fonda sulla costatazione, si direbbe più pressante, della limitazione delle risorse naturali, alcune delle quali non sono, come si dice, rinnovabili. Usarle come se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la generazione presente soprattutto per quelle future. La terza considerazione si riferisce direttamente alle conseguenze che un certo tipo di sviluppo ha sulla qualità della vita nelle zone industrializzate. Sappiamo tutti che risultato diretto o indiretto dell'industrializzazione è, sempre più di frequente, la contaminazione dell'ambiente, con gravi conseguenze per la salute della popolazione. Ancora una volta risulta evidente che lo sviluppo, la volontà di pianificazione che lo governa, l'uso delle risorse e la maniera di utilizzarle non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza dubbio limiti all'uso della natura visibile. Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di «usare e abusare», o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di «mangiare il frutto dell'albero» (Gen 2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni-relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata -, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo”.
Nella Enciclica Centesimus annus del 1991 ai nn. 37-38 dice:

Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future. Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica «ecologia umana». Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un'«ecologia sociale» del lavoro. L'uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza”.
Benedetto XVI, con più matura consapevolezza ecologica, ha fatto proprie, sviluppandole, le istanze del suo predecessore nella Enciclica Caritas in veritate sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità del 2009 ai nn. 48-52, ricordando in particolare:
 
“La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come un'ecologia dell'uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l'« ecologia umana » [124] è rispettata dentro la società, anche l'ecologia ambientale ne trae beneficio. Come le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l'indebolimento di una espone a rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura… Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell'ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l'ambiente e danneggia la società”.
Affermava ancora Benedetto XVI nella Giornata per la pace il 1° gennaio 2007:

Accanto all'ecologia della natura c'è dunque un'ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede una ”ecologia sociale”. E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l'ecologia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L'una e l'altra presuppongono la pace con Dio. La poesia-preghiera di San Francesco, nota anche come « Cantico di Frate Sole », costituisce un mirabile esempio — sempre attuale — di questa multiforme ecologia della pace”.
Interessante risulta, inoltre, quanto detto da Benedetto XVI nell’Udienza del 26 agosto 2009 , riprendendo la Caritas in veritate:

Il creato, materia strutturata in modo intelligente da Dio, è affidato dunque alla responsabilità dell’uomo, il quale è in grado di interpretarlo e di rimodellarlo attivamente, senza considerarsene padrone assoluto. L’uomo è chiamato piuttosto ad esercitare un governo responsabile per custodirlo, metterlo a profitto e coltivarlo, trovando le risorse necessarie per una esistenza dignitosa di tutti.

venerdì 20 febbraio 2015

Tempo di grazia

Tempo di Quaresima: 40 giorni da vivere in maniera feconda per la vita spirituale e la crescita interiore. Tempo per condurre il nostro cuore e la nostra vita al Signore. Vissuta così la Quaresima non si risolverà in un insieme di buoni propositi destinati a restare tali, ma sarà percorso di formazione del cuore, come ha ammonito Papa Francesco nel suo annuale Messaggio:
“…il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza…L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano…Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31). Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro”.

sabato 24 gennaio 2015

"Contesto umano e culturale in cui si forma l’intenzione matrimoniale"

Papa Francesco,  nel corso dell’annuale udienza concessa ai prelati uditori, officiali e avvocati del tribunale della Rota romana, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, si è soffermato sulla “fede” che anima gli sposi e sulla sua incidenza sullo stesso consenso matrimoniale e dunque sulla eventuale invalidità di quest’ultimo.
 
Invalidità o meno di cui sono chiamati ad occuparsi i tribunali ecclesiastici: “Il giudice è chiamato ad operare la sua analisi giudiziale quando c’è il dubbio sulla validità del matrimonio, per accertare se ci sia un vizio d’origine del consenso, sia direttamente per difetto di valida intenzione, sia per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà (cfr. can. 1099)”.
 
Il Papa ha individuato una causa sostanziale del consenso matrimoniale non valido nell’abbandono di una prospettiva di fede da parte dei battezzati, come già rilevava nel lontano 1974 il beato Paolo VI che “stigmatizzava le malattie dell’uomo moderno «talora vulnerato da un relativismo sistematico, che lo piega alle scelte più facili della situazione, della demagogia, della moda, della passione, dell’edonismo, dell’egoismo, così che esteriormente tenta di impugnare la “maestà della legge”, e interiormente, quasi senza avvedersi, sostituisce all’impero della coscienza morale il capriccio della coscienza psicologica» (Allocuzione del 31 gennaio 1974: AAS 66 [1974], p. 87)”.
 
Una fede, quindi, permeata di “mondanità spirituale”, che “si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa (Esort. ap. Evangelii gaudium, 93), e che conduce a perseguire, invece della gloria del Signore, il benessere personale”. Francesco ha aggiunto: “E’ evidente che, per chi si piega a questo atteggiamento, la fede rimane priva del suo valore orientativo e normativo, lasciando campo aperto ai compromessi con il proprio egoismo e con le pressioni della mentalità corrente, diventata dominante attraverso i mass media ”.
 
Da ciò le conseguenze tratte dal Pontefice sul piano giurisprudenziale, ammonendo in tal senso gli operatori dei Tribunali ecclesiastici e in particolare i giudici: “Per questo il giudice, nel ponderare la validità del consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cfr can. 1099). Questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in passato, data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa”.
 
Questo s’impone, per il Santo Padre, perché “Tale errore non minaccia solo la stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità, ma anche l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come «principio vitale» del consenso, la reciproca donazione per costituire il consorzio di tutta la vita. «Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66), spingendo i nubenti alla riserva mentale circa la stessa permanenza dell’unione, o la sua esclusività, che verrebbero meno qualora la persona amata non realizzasse più le proprie aspettative di benessere affettivo.” A proposito del bonum coniugum e della suo riverbero sul piano consensivo dei nubenti è utile richiamare quanto Benedetto XVI ebbe a dire in un’analoga circostanza .
E ancora questa la "consegna" di papa Bergoglio ai tribunali: “Vorrei dunque esortarvi ad un accresciuto e appassionato impegno nel vostro ministero, posto a tutela dell’unità della giurisprudenza nella Chiesa. Quanto lavoro pastorale per il bene di tante coppie, e di tanti figli, spesso vittime di queste vicende! Anche qui, c’è bisogno di una conversione pastorale delle strutture ecclesiastiche (cfr ibid., 27), per offrire l’opus iustitiae a quanti si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale. Ecco la difficile missione vostra, come di tutti i Giudici nelle diocesi: non chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo. La funzione del diritto è orientata alla salus animarum a condizione che, evitando sofismi lontani dalla carne viva delle persone in difficoltà, aiuti a stabilire la verità nel momento consensuale: se cioè fu fedele a Cristo o alla mendace mentalità mondana”.
 
Tenendo conto di quanto evidenziato lo scorso anno, sempre alla Rota, “La dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale non sono in contrapposizione, perché entrambe concorrono alla realizzazione delle finalità e dell’unità di azione proprie della Chiesa. L’attività giudiziaria ecclesiale, che si configura come servizio alla verità nella giustizia, ha infatti una connotazione profondamente pastorale, perché finalizzata al perseguimento del bene dei fedeli e alla edificazione della comunità cristiana”.
 
E, infine, papa Francesco ha evocato la necessità in concreto di rendere accessibile a tutti i fedeli la via giudiziaria per l’accertamento della eventuale nullità matrimoniale: “Torna utile ricordare … la necessaria presenza presso ogni tribunale ecclesiastico di persone competenti a prestare sollecito consiglio sulla possibilità di introdurre una causa di nullità matrimoniale; mentre altresì viene richiesta la presenza di patroni stabili, retribuiti dallo stesso tribunale, che esercitino l’ufficio di avvocati…Mi piace sottolineare che un rilevante numero di cause presso la Rota Romana sono di gratuito patrocinio a favore di parti che, per le disagiate condizioni economiche in cui versano, non sono in grado di procurarsi un avvocato. E questo è un punto che voglio sottolineare: i sacramenti sono gratuiti. I sacramenti ci danno la grazia. E un processo matrimoniale tocca il sacramento del matrimonio. Quanto vorrei che tutti i processi fossero gratuiti!”.
 
E’ opportuno aggiungere, al riguardo, che in Italia tale sistema è garantito già dal 1999. E infatti, la Conferenza episcopale italiana copre la gran parte dei costi di un processo di nullità, attingendo ai fondi dell’otto per mille. In tal senso, presso ogni tribunale ecclesiastico regionale, competente a trattare della nullità matrimoniale, è stata istituita la figura del Patrono stabile (nel numero di almeno due), che riceve un compenso professionale dalla Regione ecclesiastica di appartenenza e che è chiamato a fornire consulenza gratuita oltre che assisenza in giudizio ai fedeli che vi si rivolgono.
 
Per chi si avvale di questi avvocati, il costo di un processo cui si è tenuti a contribuire è attualmente di € 525,00, comprensivo del primo e secondo grado di giudizio (necessitando la nullità matrimoniale definitiva di una doppia sentenza conforme pronunciata da due tribunali ecclesiastici competenti). Va precisato altresì che chi versa in condizioni economiche disagiate, da non poter corrispondere neppure il suddetto contributo di € 525,00, può accedere ad una riduzione dello stesso ovvero ad una sua dilazione nel pagamento. In caso di assoluta indigenza poi il processo è comunque già fin d’ora totalmente gratuito.

sabato 3 gennaio 2015

Ricominciare...



Finiti i botti di capodanno, un salutare silenzio e un ritorno alla quotidianità. La seconda domenica di Natale ce ne offre l’occasione (Sir 24,1-4.8-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18), richiamandoci al senso più vero della festa e della gioia con l'accoglienza della parola di Dio.

 Un ricominciare, quindi, da Cristo, con Cristo, per Cristo attraverso la Parola creatrice. In Gv 1, 1-18 la Sapienza e la Parola vengono presentate come "persona" legata a Dio e mandata da Dio nel mondo per orientarlo verso la vita. Attraverso l’ascolto con la partecipazione attiva alla liturgia, che attua il mistero del dono di Cristo nell’Eucarestia.
 
Ed è così che ci si rafforza per vivere nel mondo senza rinchiudersi nelle proprie “sicurezze”, assumendo posizioni intransigenti da divenire intolleranti e integraliste. La fede non ha paura di entrare in dialogo con altre culture e con altre visioni del mondo.
 
A questo proposito viene spontaneo richiamare il magistero pontificio di Benedetto XVI e, in continuità, quello di papa Francesco. Papa Ratzinger ci ha insegnato che la fede non può esimersi dall'uso della ragione e della conoscenza, giacché senza la sapienza (fatta di conoscenza e di consapevolezza con lo studio e l'approfondimento), insomma senza il pensiero, in una parola, senza il Logos,  Dio non viene ad abitare in mezzo a noi.
 
Papa Francesco è più che mai aperto al confronto, al dialogo, operando in una realtà che vive etsi Deus non daretur. E lo fa con il suo stile proprio, figlio di una cultura distante dal consueto, fin qui, modello europeo della Chiesa e a costo di suscitare qualche incomprensione. Uno stile che però  raggiunge il cuore degli uomini di questo tempo. L’ateismo non è più soltanto il problema di pochi: esso investe un numero sempre maggiore di uomini, tanto da diventare un fenomeno di civiltà. Per non dimenticare il fenomeno crescente dei battezzati non praticanti. E Francesco insiste nel richiamare la misericordia di Dio, nel senso etimologico del termine di aprire il cuore alla “miseria” altrui. E nell’ascoltare le ragioni dell’altro, che non crede ma che cerca. Perché avere fede non significa aderire ad una dottrina o peggio ad una ideologia da difendere. E neppure quella di trovare sostegno in un'etica o peggio un moralismo.

E allora, ricominciare, per essere testimoni credibili di una vita vissuta veluti si Deus daretur, magari con la bella preghiera di colletta di questa domenica ormai prossima:

Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno”.

martedì 25 novembre 2014

Promuovere la dignità della persona in armonia col "noi-tutti"

Il suo quinto viaggio internazionale, dopo il Brasile dell'estate 2013, la Terra Santa della scorsa primavera, la Corea del sud in agosto e l'Albania del 21 settembre, papa Francesco l’ha dedicato al cuore dell’Europa politica, facendo visita al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa di Strasburgo.
 
Una scelta significativa, che precede qualsiasi altra visita individuale in uno Stato membro dell'Unione europea.
 
Intervenendo davanti al Parlamento Europeo, papa Francesco per la prima volta ha affrontato il tema dell'Europa, ricordandone le radici cristiane, i valori etici, la difesa dei più deboli. E’ il secondo Papa a visitare il Parlamento europeo dopo Giovanni Paolo II, che vi si recò l'11 ottobre 1988.
 
Il Pontefice, tra l'altro, ha evocato l’immagine della “Scuola di Atene” di Raffaello per descrivere “ l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacita pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi”. Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita e un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello spirito umanistico che pure ama e difende”.
 
E se “Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici”, papa Bergoglio apre la riflessione sulla tendenza giuridica che porta ad affermare i diritti del singolo “ma senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa”.
 
I legislatori europei sono stati, quindi, richiamati ad approfondire una cultura che si basi sui diritti umani per collegare la dimensione individuale a quella “del bene comune” a quel “noi-tutti”, richiamando la Caritas in veritate di Benedetto XVI, “formato da individui, famiglie e gruppi intermedi, che si uniscono in comunità sociale. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze”.

sabato 27 settembre 2014

Fallimento dell'amore, divorziati risposati e Comunione eucaristica

E’ imminente ormai la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, in assemblea straordinaria, sulla famiglia. Cresce, quindi, l’attesa a livello di opinione pubblica, soprattutto dopo la discussione attorno al problema se concedere o meno la comunione ai divorziati risposati. Discussione avviata il 28 febbraio scorso con la omelia di Santa Marta   nella quale papa Bergoglio, proprio prima del Concistoro straordinario sulla famiglia aperto dalla ormai altrettanto famosa relazione del cardinale Walter Kasper, trattò del “fallimento dell’amore” e invitò “ a non condannare, ma accompagnare le persone”.

Quanto al card. Kasper, egli ha toccato lo spinoso problema dei matrimoni di persone divorziate, all’interno di una complessa relazione sulla famiglia. Problema che, secondo il porporato non si può ridurre alla questione dell’ammissione alla comunione, ma va affrontato col necessario “discernimento spirituale”, che “non è un facile compromesso tra gli estremi fra rigorismo e lassismo”, bensì come ogni virtù, una perfezione al di là di quegli estremi, il cammino della sana via di mezzo giustificata e della giusta misura”.

 
Eppure tale posizione, postulata in forma propositiva per il confronto sinodale, come ha avuto modo di ribadire lo stesso card. Kasper in una recente assemblea diocesana ad Assisi, ha suscitato forti reazioni per quello che si sa già all’interno del Concistoro, ma anche e soprattutto al di fuori con puntuali interventi e libri.
 
 
Tuttavia, non si può non ricordare come la questione siano ormai anni che viene dibattuta, nel segno di un’urgenza pastorale sempre più incombente. Benedetto XVI l'ha affrontata  in un incontro con il clero della diocesi di Aosta il 25 luglio 2005. E già prima, nel 1998, l’allora cardinale Ratzinger ne aveva parlato in un testo intitolato A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati.


Per tornare al dibattito attuale, l’arcivescovo di Milano, Scola contrario all’eucaristia agli uniti in seconde nozze, ha auspicato con un intervento su la rivista il Regno dal titolo l’antropologia e l’eucaristia una riforma della procedura di nullità matrimoniale sulla falsariga del matrimonio rato e non consumato. Posizione, quest’ultima che, per la verità, aveva delineato lo stesso Kasper, col proporre che “il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale”.

domenica 15 giugno 2014

Verso quale progresso?

Con piacere dedico questo spazio ad un'altra riflessione di Marco Guzzi  sul nostro tempo e sulle sue prospettive antropologiche.

" Scendendo nei temi della nostra contemporaneità, dove incontriamo oggi le direzioni di un vero progresso? Nella globalizzazione finanziaria di Bruxelles e di Wall Street o nelle rinnovate difese delle identità o dei dazi nazionali? Nell’ulteriore precarizzazione, detta “flessibilità”, del lavoro, oppure nella tutela dei “vecchi” diritti sindacali? Nella piena liberalizzazione del mercato dei corpi, degli uteri e dei materiali genetici, o nella riscoperta di una nuova ecologia dell’uomo? Nella legittimazione dei matrimoni gay, o nel considerarli “un regresso antropologico”, come dice Papa Francesco?
E nella Chiesa poi chi va per davvero in avanti e chi si sta invece semplicemente perdendo per strada? Chi nega il peccato originale, i miracoli, e la presenza del Satana nella storia, o chi riscopre il mistero di Maria entro il processo della propria liberazione? Chi è cioè per davvero “moderno”, chi sta dalla parte della vera crescita dell’uomo?
Papa Ratzinger sintetizzava così il problema nel 2010: “La questione è: in cosa il secolarismo ha ragione? In cosa dunque la fede deve far proprie le forme e le immagini della modernità. E in cosa deve invece opporre resistenza? Questa grande lotta attraversa oggi il mondo intero”. Se non inizieremo a rispondere in modo più appropriato a queste domande non potremo né rilanciare il progetto moderno di evoluzione dell’uomo, né quello cristiano che lo anima dall’interno". 

Guzzi ha tenuto tra febbraio e marzo scorsi un Corso all’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”, dell’Università Lateranense di cui si riportano qui i temi affrontati:


Una Nuova Evangelizzazione per la conversione della Chiesa 
http://www.youtube.com/watch?v=GQLPII0IsnE
 La svolta antropologica dall'Io bellico all'Io relazionale
http://www.youtube.com/watch?v=S9H1usNWdqY
 Dalla rappresentazione alla realizzazione dei misteri della salvezza 
http://www.youtube.com/watch?v=D7CLZ77FT0g
 Vangelo della Nuova Umanità: nuovi itinerari iniziatici 



lunedì 12 agosto 2013

La Chiesa e la comunione ai divorziati risposati

Come hanno raccontato le cronache, durante il volo di ritorno da Rio de Janiero Papa Francesco non si è sottratto al fuoco di domande senza “filtro” dei giornalisti al seguito. 

Tra gli argomenti trattati quello della “comunione ai cattolici divorziati e risposati”. La questione posta investe la pastorale matrimoniale, della quale il Papa ha anticipato che se ne occuperà, tra l’altro, il gruppo degli otto cardinali  da lui costituito proprio per consigliarlo nell’affrontare le problematiche ecclesiali più urgenti . La tematica inoltre sarà al vaglio del prossimo Sinodo dei Vescovi, che approfondirà come "la fede aiuta la famiglia". 

A buona memoria però  va detto che dell’argomento se ne occupò il card. Joseph Ratzinger da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede già nel 1998 con uno scritto  in cui si precisano gli ambiti del problema:” Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte. Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici, can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi”.

 E non va dimenticato che la problematica è stata presente nella cura di Papa Benedetto XVI, che ne parlò nell’estate del 2005 ad un incontro con il clero della Diocesi di Aosta: “Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire “.

Approfondire un tema si complesso ma nel segno della misericordia, cui si richiama costantemente Papa Francesco:”Con riferimento al problema della Comunione alle persone in seconda unione, perché i divorziati possono fare la Comunione, non c’è problema, ma quando sono in seconda unione, non possono. .. credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale…Siamo in cammino per una pastorale matrimoniale un po’ profonda. E questo è un problema di tutti, perché ci sono tanti, no? Per esempio, ne dico uno soltanto: il cardinale Quarracino, il mio predecessore, diceva che per lui la metà dei matrimoni sono nulli. Ma diceva così, perché? Perché si sposano senza maturità, si sposano senza accorgersi che è per tutta la vita, o si sposano perché socialmente si devono sposare. E in questo entra anche la pastorale matrimoniale. E anche il problema giudiziale della nullità dei matrimoni, quello si deve rivedere, perché i Tribunali ecclesiastici non bastano per questo. E’ complesso, il problema della pastorale matrimoniale”.

sabato 8 giugno 2013

Incontro “sulla stessa strada tra i due colli”

Giorgio Napolitano in visita ufficiale in Vaticano ha incontrato oggi, primo capo di Stato, papa Francesco. Il Pontefice e il Presidente si erano già visti, il 19 marzo in San Pietro, al termine della messa per l’inizio del ministero petrino.
Questa visita ufficiale avviene dopo la rielezione di Napolitano per il suo secondo mandato: la precedente, a Benedetto XVI, era avvenuta il 20 novembre 2006. 
Papa Francesco  ha reso il rapporto tra i due Stati, avente “come fine principale il bene del popolo italiano e come sfondo ideale il suo ruolo storicamente unico in Europa e nel mondo con l'immagine dei due colli, “il Quirinale e il Vaticano, che si guardano con stima e simpatia”.
Sia il Pontefice che il Presidente hanno richiamato anche il rapporto di stima e di amicizia di quest’ultimo, nella sua funzione, e Sua Santità Benedetto XVI. 

Al centro dei discorsi i temi della libertà' religiosa e della crisi economica che ormai non conosce confini. A proposito della prima, il Papa ha detto tra l’altro: “Nel mondo di oggi la libertà religiosa è più spesso affermata che realizzata. Essa, infatti, è costretta a subire minacce di vario tipo e non di rado viene violata. I gravi oltraggi inflitti a tale diritto primario sono fonte di seria preoccupazione e devono vedere la concorde reazione dei Paesi del mondo nel riaffermare, contro ogni attentato, l’intangibile dignità della persona umana. E’ un dovere di tutti difendere la libertà religiosa e promuoverla per tutti. Nella tutela condivisa di tale bene morale si trova, inoltre, anche una garanzia di crescita e di sviluppo dell’intera comunità”. 

Ma Francesco si è poi soffermato sulla necessità dell’impegno politico soprattutto tra i giovani perché “credenti e non credenti insieme collaborino nella promozione di una società dove le ingiustizie possano essere superate e ogni persona venga accolta e possa contribuire al bene comune secondo la propria dignità e mettendo a frutto le proprie capacità “. E ha aggiunto: “Anche noi, cattolici, abbiamo il dovere di impegnarci sempre di più in un serio cammino di conversione spirituale affinché ci avviciniamo ogni giorno al Vangelo, che ci spinge ad un servizio concreto ed efficace alle persone e alla società”.

 Napolitano, richiamando la problematica sociale dell’oggi, ha affermato: “La necessità di una nuova visione dello sviluppo dell'economia e della società si pone per l'Europa nel suo complesso, stimolandone drammaticamente l'unione e chiamandola ad una piena comprensione delle nuove realtà emergenti e delle istanze ancora inascoltate dei popoli di diversi continenti rimasti nel passato ai margini dello sviluppo mondiale.Il cambiamento che s'impone in Italia non può non toccare anche comportamenti diffusi, allontanatisi gravemente da valori spirituali e morali che soli possono ispirare la ricerca di soluzioni sostenibili per i nostri problemi, di prospettive più serene e sicure”. 

Da ciò la necessità sempre maggiore di una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa, quest’ultima con il “suo magistero educativo" e il suo quotidiano esercizio pastorale : la Chiesa attraverso i suoi Vescovi, e tra essi, in primis, il Vescovo di Roma, il Santo Padre”. Un rapporto che -ha detto il Presidente- “tra Stato e Chiesa cattolica in Italia non è qualcosa di freddamente istituzionale ma qualcosa di profondamente vissuto, radicato nella storia, e cresciuto, sempre di più, parallelamente al dialogo interreligioso e al dialogo tra credenti e non credenti”.

Nel concludere il capo dello Stato si è così rivolto al Papa: “ Sono certo, Santità, che ci incontreremo con eguale slancio sulla stessa strada tra i due colli, con attenzione a quel che si muove ed evolve attorno a noi, e sempre in spirito di reciproco rispetto, di chiara distinzione e di fattiva collaborazione”.

domenica 24 marzo 2013

Passaggio di testimone

Possiamo dire di vivere uno straordinario periodo nella vita della Chiesa e non solo. Epocale come è stato più volte e da più parti affermato. Un tempo segnato da un lungo elenco di “prime volte”. 

Ieri è stata la volta dell’incontro nel Palazzo apostolico di Castelgandolfo tra il Pontefice e il papa emerito. Un evento inedito nella storia della Chiesa. Francesco e Benedetto XVI si sono incontrati e hanno pregato insieme, ma hanno anche conversato in privato, dando così vita, per dirla con p. Lombardi, a un "momento di altissima e profondissima comunione". "Siamo fratelli", ha detto papa Francesco al suo predecessore, rifiutando l'inginocchiatoio d'onore. Un incontro che sancisce, anche visivamente, un passaggio di testimone, marcando una continuità nella originalità.

domenica 3 marzo 2013

Il cuore di Papa Benedetto e la pedagogia della fede

Dalle 20 del 28 febbraio scorso la Sede romana è vacante per la rinuncia di Benedetto XVI. In attesa del Conclave che eleggerà il nuovo Pontefice, si susseguono ( e chissà per quanto) le interpretazioni sul perché della decisione di Papa Ratzinger. 

Il modo migliore di serbare tale presa di posizione è di accoglierla nei termini spiegati dallo stesso Papa in tutte le occasioni ufficiali. dall'annuncio della storica dichiarazione di rinuncia. Soprattutto è opportuno fermarsi alla descrizione della modalità con cui è stata assunta, in obbedienza alla voce di Dio presente alla coscienza di ogni persona. Il Papa ha risposto rinunciando al suo ministero di servizio alla Chiesa universale, in quanto Vescovo di Roma, dopo aver pregato, chiesto la luce divina e giudicato che la scelta avveniva per amore e per il bene della stessa Chiesa e non di sé stesso. 

Metodo impregnato di tanta pedagogia della fede, della speranza e della carità. Pedagogia che è stata il filo conduttore della pastorale di questo Pontefice ravvisabile oltre che nei documenti solenni, nelle omelie, nei suoi discorsi, nelle udienze generali. Un Papa teologo si ma catechista, munito cioè della capacità di interpretare la teologia con la vita e la propria esperienza di Pastore.

Un Papa, quindi, il quale col suo ultimo gesto epocale non "scende dalla Croce" che non abbandona (del che èimproprio parlare di dimissioni), che non ritorna alla vita privata, ma rimane seppure "nascosto al mondo" in altro modo al servizio di Cristo e della Chiesa. Vi resta da "pellegrino" orante nel "recinto di S. Pietro".

Decisamente una scelta diversa da quella dei Papi rinunciatari del lontano passato. Una scelta che proprio per questo mantiene i segni del papato quali l'abito bianco, ma senza la mantellina della giurisdizione; l'appellativo di Santità seguito dal nome da Pontefice; l'alloggio in Vaticano, ma fuori dal palazzo papale. Sempre Papa "nella vigna del Signore", ma emerito perché ormai privo della necessaria potestà.

domenica 24 febbraio 2013

Rinuncia e non dimissioni

In attesa dell'Angelus che per l'ultima volta Papa Benedetto reciterà dalla finestra del suo studio, è bene precisare la natura del gesto da lui compiuto il giorno 11 febbraio scorso. Precisazione che riguarda le cosiddette "dimissioni" del Papa. Se di ciò si trattasse, dovrebbe esserci un'autorità umana a cui presentarle e che dovrebbe accettarle. Così non è nel caso del Pontefice, che non può essere deposto da nessuno e  ha il diritto di rinunciare al suo ufficio secondo quanto previsto dalla legge canonica universale. Il can. 332, par. 2 richiede che la rinuncia "sia fatta liberamente e venga debitamente manifestata".  Se dunque il Papa rinuncia, egli compie un atto sovrano che in nulla scalfisce la potestà di cui è dotato e sulla quale è opportuno soffermarsi. 

Il can. 331 del Codice di diritto canonico, definisce l'autorità del Vescovo della Chiesa di Roma” in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli”. E’ importante attenersi alla aggettivazione della potestà del Romano Pontefice, che lo stesso canone enuclea. 

Essa è ordinaria, in quanto annessa stabilmente all’ufficio per disposizione divina; suprema, essendo la più elevata nella gerarchia e non subordinata a nessun’altra potestà umana; piena, ossia con tutte le facoltà relative ai peculiari compiti di insegnare, santificare e governare, e quindi con l’esercizio del magistero infallibile e del magistero autentico non infallibile, della potestà legislativa e amministrativa, della potestà giudiziaria, della regolamentazione della vita liturgica e del culto della Chiesa universale; immediata, esercitabile cioè senza intermediazione di altri, in particolare dei Vescovi, dovunque e su ogni fedele; universale ossia estesa a tutti e a tutte le materie sottoposte alla giurisdizione e alla responsabilità della Chiesa. 

Benedetto XVI, pur godendo di questa complessa potestà, ha ritenuto, con atto assolutamente rispettoso della sua valenza teologica prima che giuridica (“Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”) di rinunciare al ministero petrino affidatogli per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005.

lunedì 18 febbraio 2013

L’uomo dei paradossi

Mentre continua ad imperversare il toto-Papa, è utile soffermarsi a riflettere sulla ricchezza di questo Pontificato benedettiano, riprendendo Peter Seewald , autore nel 2010 con lo stesso Benedetto XVI del libro intervista Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi . Il giornalista tedesco, che ha avuto ultimamente una serie d’incontri col Pontefice finalizzati al lavoro sulla biografia del Papa, ha definito quest’ultimo “l’uomo dei paradossi” . 

Nell’ultimo di tali incontri, avvenuto qualche settimana fa Benedetto XVI si è considerato “la fine del vecchio e l’inizio del nuovo”. Un’espressione che sintetizza uno stile proprio nell’esercizio del ministero petrino, realizzato con mitezza e rigore allo stesso tempo, legando con intelligenza e sapienza la tradizione, che custodisce ciò che eterno, a quello che è valido solo per l’epoca di cui è frutto. Il tutto con proverbiale distacco dal potere, dimostrato proprio con la rinuncia al Pontificato ma che era stato significativamente anticipato con un altro segno all’inizio del ministero, allorché il Papa tolse la tiara dallo stemma.

lunedì 11 febbraio 2013

Un gesto nella storia della Chiesa cattolica e non solo

Benedetto XVI ha annunciato oggi la sua rinuncia al ministero petrino alla fine del Concistoro celebrato oggi in Vaticano per tre canonizzazioni. Così si è rivolto ai Cardinali presenti. "Fratres carissimi Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum. Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam. Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse. Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis pro omni amore et labore, quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto pro omnibus defectibus meis. Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus sanctamque eius Matrem Mariam imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim. Ex Aedibus Vaticanis, die 10 mensis februarii MMXIII". ​​

venerdì 1 febbraio 2013

Fede, sacramento e matrimonio

Benedetto XVI in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana , avvenuta lo scorso 26 gennaio, ha chiesto ai giudici ecclesiastici e rotali «ulteriori riflessioni» sulla mancanza di fede degli sposi come possibile causa di nullità del matrimonio. 

Come giustamente è stato rilevato già in passato il Pontefice si è occupato del tema. “Nessuno di noi” – disse nel luglio 2005 dialogando con dei sacerdoti valdostani.– “ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ho invitato diverse conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire”.

Del resto, nel 1999, nell’introduzione all’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede sulla pastorale dei divorziati risposati, che ribadiva l’esclusione dalla comunione sacramentale, Ratzinger osservava: "Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. All’essenza del sacramento appartiene la fede". 

E non si dimentichi che ancor prima, nel libro intervista con Peter Seewald, «Il Sale della terra» (1997), il card. Ratzinger ebbe ad affermare: “In futuro si potrebbe anche arrivare ad una constatazione extragiudiziale della nullità del matrimonio. Questa potrebbe forse essere constatata anche da chi ha la responsabilità pastorale sul luogo”. 
Una possibilità questa che coinvolgerebbe direttamente  il Vescovo diocesano nel dire l’ultima parola sulla nullità di un matrimonio.

domenica 4 novembre 2012

"La fede della Chiesa"

Cristo si, la Chiesa no. Non è raro di questi tempi sentire questa affermazione anche da parte di credenti battezzati nella Chiesa cattolica che non riescono più a cogliere il senso di un’appartenenza salvifica. Benedetto XVI, il papa teologo-catechista, proseguendo il “cammino di meditazione sulla fede cattolica” durante l’Udienza generale del mercoledì, ha affrontato proprio il tema della fede della Chiesa.

 Il Santo Padre in particolare ha evidenziato l’essenzialità della Chiesa nella missione di salvezza per ciascuno di cui la stessa è portatrice per mandato divino. Essenzialità che deriva dal carattere intrinsecamente comunitario della fede, sebbene assunta individualmente. Il Papa spiega: “Certo, l’atto di fede è un atto eminentemente personale, che avviene nell’intimo più profondo e che segna un cambiamento di direzione, una conversione personale: è la mia esistenza che riceve una svolta, un orientamento nuovo”. 

Per cui quando si afferma “Credo”, ricorda il Papa “ questo mio credere non è il risultato di una mia riflessione solitaria, non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un dialogo, in cui c’è un ascoltare, un ricevere e un rispondere; è il comunicare con Gesù che mi fa uscire dal mio «io» racchiuso in me stesso per aprirmi all’amore di Dio Padre. E’ come una rinascita in cui mi scopro unito non solo a Gesù, ma anche a tutti quelli che hanno camminato e camminano sulla stessa via; e questa nuova nascita, che inizia con il Battesimo, continua per tutto il percorso dell’esistenza. Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce così nella moltitudine dei credenti in una comunione che non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio, che in Se stesso è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore trinitario. La nostra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede dell’unica Chiesa”. 

D’altra parte, dice Benedetto XVI: “Alla domenica, nella Santa Messa, recitando il «Credo», noi ci esprimiamo in prima persona, ma confessiamo comunitariamente l’unica fede della Chiesa. Quel «credo» pronunciato singolarmente si unisce a quello di un immenso coro nel tempo e nello spazio, in cui ciascuno contribuisce, per così dire, ad una concorde polifonia nella fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo chiaro così: «”Credere” è un atto ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. “Nessuno può dire di avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa come Madre” [san Cipriano]» (n. 181). Quindi la fede nasce nella Chiesa, conduce ad essa e vive in essa. Questo è importante ricordarlo”. 

Altrettanto interessante la conclusione di questa catechesi del Papa: “La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice quindi la sua stessa natura. Abbiamo bisogno della Chiesa per avere conferma della nostra fede e per fare esperienza dei doni di Dio: la sua Parola, i Sacramenti, il sostegno della grazia e la testimonianza dell’amore. Così il nostro «io» nel «noi» della Chiesa potrà percepirsi, ad un tempo, destinatario e protagonista di un evento che lo supera: l’esperienza della comunione con Dio, che fonda la comunione tra gli uomini”.