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venerdì 1 febbraio 2013

Fede, sacramento e matrimonio

Benedetto XVI in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana , avvenuta lo scorso 26 gennaio, ha chiesto ai giudici ecclesiastici e rotali «ulteriori riflessioni» sulla mancanza di fede degli sposi come possibile causa di nullità del matrimonio. 

Come giustamente è stato rilevato già in passato il Pontefice si è occupato del tema. “Nessuno di noi” – disse nel luglio 2005 dialogando con dei sacerdoti valdostani.– “ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ho invitato diverse conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire”.

Del resto, nel 1999, nell’introduzione all’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede sulla pastorale dei divorziati risposati, che ribadiva l’esclusione dalla comunione sacramentale, Ratzinger osservava: "Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. All’essenza del sacramento appartiene la fede". 

E non si dimentichi che ancor prima, nel libro intervista con Peter Seewald, «Il Sale della terra» (1997), il card. Ratzinger ebbe ad affermare: “In futuro si potrebbe anche arrivare ad una constatazione extragiudiziale della nullità del matrimonio. Questa potrebbe forse essere constatata anche da chi ha la responsabilità pastorale sul luogo”. 
Una possibilità questa che coinvolgerebbe direttamente  il Vescovo diocesano nel dire l’ultima parola sulla nullità di un matrimonio.

domenica 4 novembre 2012

"La fede della Chiesa"

Cristo si, la Chiesa no. Non è raro di questi tempi sentire questa affermazione anche da parte di credenti battezzati nella Chiesa cattolica che non riescono più a cogliere il senso di un’appartenenza salvifica. Benedetto XVI, il papa teologo-catechista, proseguendo il “cammino di meditazione sulla fede cattolica” durante l’Udienza generale del mercoledì, ha affrontato proprio il tema della fede della Chiesa.

 Il Santo Padre in particolare ha evidenziato l’essenzialità della Chiesa nella missione di salvezza per ciascuno di cui la stessa è portatrice per mandato divino. Essenzialità che deriva dal carattere intrinsecamente comunitario della fede, sebbene assunta individualmente. Il Papa spiega: “Certo, l’atto di fede è un atto eminentemente personale, che avviene nell’intimo più profondo e che segna un cambiamento di direzione, una conversione personale: è la mia esistenza che riceve una svolta, un orientamento nuovo”. 

Per cui quando si afferma “Credo”, ricorda il Papa “ questo mio credere non è il risultato di una mia riflessione solitaria, non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un dialogo, in cui c’è un ascoltare, un ricevere e un rispondere; è il comunicare con Gesù che mi fa uscire dal mio «io» racchiuso in me stesso per aprirmi all’amore di Dio Padre. E’ come una rinascita in cui mi scopro unito non solo a Gesù, ma anche a tutti quelli che hanno camminato e camminano sulla stessa via; e questa nuova nascita, che inizia con il Battesimo, continua per tutto il percorso dell’esistenza. Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce così nella moltitudine dei credenti in una comunione che non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio, che in Se stesso è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore trinitario. La nostra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede dell’unica Chiesa”. 

D’altra parte, dice Benedetto XVI: “Alla domenica, nella Santa Messa, recitando il «Credo», noi ci esprimiamo in prima persona, ma confessiamo comunitariamente l’unica fede della Chiesa. Quel «credo» pronunciato singolarmente si unisce a quello di un immenso coro nel tempo e nello spazio, in cui ciascuno contribuisce, per così dire, ad una concorde polifonia nella fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo chiaro così: «”Credere” è un atto ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. “Nessuno può dire di avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa come Madre” [san Cipriano]» (n. 181). Quindi la fede nasce nella Chiesa, conduce ad essa e vive in essa. Questo è importante ricordarlo”. 

Altrettanto interessante la conclusione di questa catechesi del Papa: “La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice quindi la sua stessa natura. Abbiamo bisogno della Chiesa per avere conferma della nostra fede e per fare esperienza dei doni di Dio: la sua Parola, i Sacramenti, il sostegno della grazia e la testimonianza dell’amore. Così il nostro «io» nel «noi» della Chiesa potrà percepirsi, ad un tempo, destinatario e protagonista di un evento che lo supera: l’esperienza della comunione con Dio, che fonda la comunione tra gli uomini”.

domenica 28 ottobre 2012

"Riconoscere" il Credo

Con l’Udienza generale del 17 ottobre scorso, Benedetto XVI ha avviato un nuovo ciclo di catechesi del mercoledì che svilupperà lungo tutto l’Anno della fede e avente per tema “le verità centrali della fede su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa, su tutta la realtà sociale e cosmica”. 

Interessante e pedagogico, come sempre, il metodo indicato dal Papa per approfondire e vivere “con maggiore coraggio” la propria fede oggi, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, che fa leva sul Simbolo della fede. “Ma dove troviamo la formula essenziale della fede? Dove troviamo le verità che ci sono state fedelmente trasmesse e che costituiscono la luce per la nostra vita quotidiana?"- si chiede Benedetto XVI, che ovviamente va oltre la domanda- "La risposta è semplice: nel Credo, nella Professione di Fede o Simbolo della fede, noi ci riallacciamo all’evento originario della Persona e della Storia di Gesù di Nazaret; si rende concreto quello che l’Apostolo delle genti diceva ai cristiani di Corinto: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1 Cor 15,3)”. 

Papa Benedetto insiste, evidenziando l’importanza di quello che si può dare per scontato, ma così non è ai tempi che viviamo: “Anche oggi abbiamo bisogno che il Credo sia meglio conosciuto, compreso e pregato. Soprattutto è importante che il Credo venga, per così dire, «riconosciuto». Conoscere, infatti, potrebbe essere un’operazione soltanto intellettuale, mentre «riconoscere» vuole significare la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo nel Credo e la nostra esistenza quotidiana, perché queste verità siano veramente e concretamente - come sempre sono state - luce per i passi del nostro vivere, acqua che irrora le arsure del nostro cammino, vita che vince certi deserti della vita contemporanea. Nel Credo si innesta la vita morale del cristiano, che in esso trova il suo fondamento e la sua giustificazione”. 

Questo per aiutare a prevenire ed evitare i rischi di “un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo”, che non può ridursi ad una religione «fai-da-te», perché oltretutto non è una “religione” ovvero un semplice progetto di vita, ma l’incontro “con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio”.

sabato 24 marzo 2012

Il paradigma del credente


Abramo, padre nella fede per ebrei, cristiani e musulmani, è il paradigma dell’uomo credente. Di colui cioè che, “chiamato”,  “parte” senza conoscere la meta, ma che appunto accetta di fare il viaggio per fede “sperando contro ogni speranza" (Rm 4,18). 

Fede di Abramo che è certezza della presenza di Dio che circonda la vita. Fede che non verrà mai meno, anche di fronte a prove umanamente durissime, e lo accompagna nella morte continuando a credere al Signore.

Ed è in quella fede abramitica che siamo stati scelti e portati a compimento in Cristo Signore. L’esperienza di Abramo, nostro padre nella fede, ci aiuta a comprendere come ciascuno sia importante per Dio Padre creatore. Uno per uno scelti e accompagnati singolarmente, sempre, per la fedeltà indefettibile di Dio.    

martedì 10 gennaio 2012

“La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”


Così San Paolo inizia il cap. 11 della Lettera agli Ebrei, evocando l’esemplarità della  fede degli antenati. Tra costoro spicca la figura di Abramo, nella cui fede paradigmatica siamo stati scelti e portati a compimento in Cristo Signore. E’ edificante “vedere” la sua vita per declinare la propria insieme con Dio.

[8]Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.[9]Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. [10]Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.[11]Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso.[12]Per questo da un uomo solo, e inoltre gia segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare.[13]Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. [14]Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. [15]Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; [16]ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città”.

lunedì 10 ottobre 2011

Per annunciare il logos della nostra fede

Benedetto XVI, nel recente incontro con i seminaristi di Freiburg im Breisgau, trattando della preparazione al sacerdozio, si è soffermato sull’importanza dello studio. Importanza che deriva,soprattutto in questo tempo “razionalistico e condizionato dalla scientificità”, dalla necessità di “essere informati, comprendere, avere la mente aperta, imparare”.

Imparare “a giudicare, a seguire mentalmente un pensiero – e a farlo in modo critico – “. Ma, come sempre, il Papa richiama la complementarietà della fede con la ragione, per “far sì che, nel pensare, la luce di Dio ci illumini e non si spenga”. E infatti, il Santo Padre precisa le coordinate della stessa fede che “non è un mondo parallelo del sentimento, che poi ci permettiamo come un di più, ma è ciò che abbraccia il tutto, gli dà senso, lo interpreta e gli dà anche le direttive etiche interiori, affinché sia compreso e vissuto in vista di Dio e a partire da Dio”. Da qui l’essenzialità dello studio, proprio per “far fronte al nostro tempo ed annunciare ad esso il logos della nostra fede”. Uno studio non acritico “nella consapevolezza, appunto, che domani qualcun altro dirà qualcosa di diverso” ed “essere studenti attenti ed aperti ed umili, per studiare sempre con il Signore, dinanzi al Signore e per Lui”.

Con questa consegna inizio oggi, nell’Istituto Teologico di Assisi, le mie lezioni sul II libro del Codice di diritto canonico che tratta "Il popolo di Dio".

mercoledì 6 aprile 2011

“splendere come astri nel mondo”

Così S. Paolo ammonisce i cristiani di Filippi (Fil 2, 15). Tale richiamo permane nella sua profonda attualità per il nostro tempo in cui anche la “fede” rischia di soccombere, conformandosi all'individualismo di massa e inosservato passa il cristiano dallo sguardo opaco.