giovedì 30 agosto 2012

Dal sé all'altro



Nella società del 2.0, così ricca di strumenti comunicativi “in tempo reale”, paradossalmente ma non troppo si rischia di non comunicare.  
Il problema non sono gli strumenti come taluni ,impermeabili allo sviluppo tecnologico, sono portati a ritenere ed affermare. No, la causa di tale afasia comprensiva sta in noi stessi.

Nella relazione interpersonale, come si sa, è fondamentale la capacità di ascolto dell’altro, ossia la capacità di comprensione verso l’altro. Una capacità che si acquisisce e quindi occorre “imparare”  ad ascoltare in modo “attivo”. Ciò vuol dire non assumere un atteggiamento di silenzio di fronte all’altro che magari ci alluviona con la sua logorrea, ma mostrare attenzione a quanto l’altro dice e farlo in modo visibile con il corpo a partire dagli occhi e dalla postura corporale. Significa non rimanere zitti ma interloquire con domande, ponendosi in una condizione di accogliere l’altro, accettandolo, senza la pretesa di interpretarlo o peggio di giudicarlo.

Si tratta di passare alla cosiddetta fase empatica, che ci consente di “entrare “ dentro l’altro per comprendere il modo con cui questi vive una determinata esperienza. Sentire, quindi, sul campo i bisogni di chi ci parla e ciò che sta provando, sintonizzandosi col suo mondo interiore attraverso i suoi vissuti, le sue idee e senza che il nostro io corra il rischio di sovrastare l’altro.
Come si vede si va ben oltre la semplice simpatia spontanea, in cui si rimane emotivamente coinvolti dalla situazione ;  l’empatia è uno sforzo di comprensione dello stato emotivo dell’altro, durante il quale permane un lucido e consapevole distaccamento della nostra identità personale nei confronti dell’interlocutore.

Ma per fare tutto questo è certamente imprescindibile il presupposto di sapersi ascoltare. Come è possibile , infatti, predisporsi all’altro pieni di ogni contraddizione? Occorre cioè saper ascoltare  se stessi, i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie sensazioni. E in tal senso è importante quella che invece viene ritenuta assolutamente negativa: la solitudine.

Un cristiano, in particolare, non deve temere ciò sul modello di Gesù, che usava stare in “solitudine“  (alla lettera ritirarsi) a pregare (cfr. Lc 5,15-16). Ma per noi è  pedagogico anche il modo  in cui Gesù con semplicità si rapporta con gli altri, adeguandosi alla loro condizione personale, fatta appunto di sentimenti ed emozioni e situata in un determinato contesto. E’ cos’ che si  opera un vero ascolto e si accoglie con curiosità e stupore l’altro.

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