domenica 2 settembre 2012

Un gesuita, un professore, un vescovo, un cardinale, ma soprattutto un uomo di Dio, padre della Chiesa del nostro tempo

Le cronache ci dicono che decine di migliaia di persone, credenti e non credenti provenienti da tutta Italia, stanno rendendo omaggio per l’ultimo saluto al card. Martini nel Duomo di Milano.

 La mole della variegata affluenza conferma la portata della testimonianza di cristiano resa da quest’uomo di Chiesa nelle sue diverse fasi della vita. Fasi che il card. Ravasi ha descritto, evocando una parabola indiana, come le “quattro stagioni”: il tempo dell’imparare e dell’ascolto, il tempo dell’insegnamento, il tempo del ritiro nel silenzio e il tempo del mendicante. 

Guardando al tempo dell'insegnamento, si ricorda che il card. Martini fu a lungo docente a Roma di critica testuale biblica, divenendone uno dei maggiori esperti a livello internazionale. "Martini" -dice Ravasi- "ha saputo presentare sia il Dio glorioso del Sinai e della Pasqua, ma anche soprattutto con la sua vicenda finale, anche il Dio muto del Calvario che non risponde neppure al Figlio. Ha indicato a uomini e donne di buona volontà il Dio della parola luminosa, e il Dio silenzioso che molti credono sia assente o inesistente, mentre è solo un mistero altissimo da scoprire". E ha fatto ciò con la nitidezza del linguaggio, di cui Vito Mancuso ricorda la peculiarità, in quanto "lontano dalla retorica ecclesiastica, fatto di parole semplici ma severe, comprensibili ma profonde, riferite sempre alle cose e alle situazioni e mai dette per se stesse, per far colpo sull’uditorio".

Una chiarezza che nasce da un amore per la Parola, per cui si può dire, con Enzo Bianchi , "Dall’ascolto attento, della Parola e dell’altro, nasceva nel card. Martini la capacità di gesti profetici, la sollecitudine per la chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti fino a considerarli propri maestri cui affidare cattedre per la ricerca del senso delle cose e della dignità delle persone". 
Libertà interiore, ascolto dell’altro, ascolto di Dio, queste le tre componenti che mons. Bruno Forte richiama come presenti e fuse nel Cardinale in modo esemplare. 

Dal 1979 al 2002 il card. Martini è stato pastore di una delle diocesi più vaste e importanti del mondo: Milano. E nell’attività pastorale trasfuse i frutti di tale amore, caratterizzando il suo magistero episcopale sul piano del “farsi prossimo” e del dialogo. Segno particolare di quest’ultimo aspetto è stata certamente l’esperienza della Cattedra dei non credenti, modello di confronto col mondo laico. Massimo Cacciari , che collaborò col cardinale in tale iniziativa, precisa: "La fede che Martini ha testimoniato nella sua vita e ha reso palese anche su quella cattedra è la fede che responsabilizza…quella che è in grado di rispondere. E rispondere a tutte le domande del secolo, al di là di ogni astratta separatezza tra intelletto e ragione, tra credenza e non credenza. Una fede adulta che comprende il secolo e che in quanto fede è capace di dare risposte concrete". 

Ma in questi giorni di riconoscimenti e di lodi postume al card. Martini non manncano le note stonate, effetto di una scarsa conoscenza soprattutto della Chiesa e della sua natura. Accade ciò quando si addita lo stesso card. Martini come esponente “progressista” della Chiesa, contrapponendolo ai “conservatori” dal Papa in giù. E addirittura si parla di sconfitta dello stesso Martini, usando categorie sociologiche assolutamente estranee alla natura teandrica della Chiesa. E comunque, deve rimanere chiara una cosa, opportunamente precisata dal teologo Pierangelo Sequeri , che "il primo erede delle parole di Carlo Maria Martini è, di diritto, la Chiesa. Nessuno, meglio della Chiesa, sa che cosa fare di questa eredità, e con questa eredità. La Chiesa, custode della Parola di Dio, discerne la sua tradizione. E sa che c’è un solo Maestro. Anche questo rispetto e questa obbedienza ecclesiale ereditiamo da Martini. La parola “discernimento” è diventata famosa proprio come una cifra caratteristica del suo insegnamento. Essa rimanda, per definizione, alla necessità di non farci presuntuose controfigure dell’autorevolezza della Parola di Dio, fronteggiando la Chiesa. Noi siamo parte, affettuosa e solidale, del discernimento della Chiesa. Non lo rendiamo più difficile, lo agevoliamo con le mille risorse dell’intelligenza di agape (1Cor 13, 4–13)".

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