sabato 1 marzo 2014

Il DNA dell’Episcopato

Spesso si parla di Vescovi o del proprio Vescovo lasciandosi sfuggire, ammesso che lo si possegga, il contenuto di fondo che deve permeare il compito episcopale nella Chiesa cattolica. Un ruolo che è di servizio nella carità e non di semplice comando e meno che mai di potere autoritativo. 

Per meglio comprendere tutto ciò ci soccorre, papa Francesco che in un discorso alla Congregazione per i Vescovi ha tratteggiato l’identità di un Vescovo oggi. 

Premesso che nella Chiesa non c’è Vescovo senza popolo, così come non c’è popolo senza Vescovo, per rispondere a quest’ultima esigenza, il Pontefice dice: “…non serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui …. La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto”. 

Ma quale volto deve avere un Vescovo ? 

“Il Vescovo è anzitutto un martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la Chiesa. La sua vita e il suo ministero devono rendere credibile la Risurrezione…Il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel “DNA” dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale… L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”. 

Ecco allora che rinvengono le qualità richieste per il ministero episcopale, che tuttavia non possono essere il risultato di una “somma algebrica delle virtù”. “È certo che ci serve uno che eccelle (CIC, can. 378 § 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la misura alta dei discepoli del Signore; la sua preparazione culturale gli permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua capacità di governare con paterna fermezza garantisce la sicurezza dell’autorità che aiuta a crescere; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i beni della comunità conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti".

Ma non è tutto. E infatti "Tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno... La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza”.

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