Il 12 agosto scorso, solennità di San Rufino, la Chiesa che è in Assisi-Nocera U.-Gualdo T. ha aperto la fase celebrativa del Sinodo diocesano. La cerimonia è iniziata con la lettura da parte del cancelliere vescovile, don Salvatore Rugolo, del decreto di apertura del Sinodo.
Papa Francesco, con la benedizione, ha inviato un messaggio, auspicando “per codesta chiesa particolare, rinnovata e gioiosa adesione a Cristo per un fecondo slancio missionario al servizio della nuova evangelizzazione, con un attenzione speciale alle periferie esistenziali".
Il vescovo mons. Domenico Sorrentino, che a norma del diritto ha convocato l’importante assise, nella sua omelia ha sottolineato intanto la particolarità dell’evento, visto che il precedente Sinodo della Chiesa di Assisi venne celebrato nel lontano 1938 e dieci anni dopo quello di Nocera. Ma l’importanza del “camminare insieme” sinodalmente è data dall’unione nella nuova diocesi delle due storie, quella assisana e quella nocerina-gualdese, e da ultimo dal Motu Proprio Totius orbis di Papa Benedetto XVI che ha coinvolto pastoralmente nel servizio alla chiesa diocesana le due basiliche papali di San Francesco e Santa Maria degli Angeli.
Monsignor Sorrentino ha enunciato gli aspetti problematici della comunità diocesana, che, pur in un contesto di fede ancora viva, si dibatte di fronte alle sfide epocali del tempo, a partire dalla fragilità della famiglia senza tralasciare la pesante crisi economica, e dei quali l'assemblea sinodale è chiamata ad occuparsi per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene della stessa comunità.
“Noi siamo qui oggi, eredi della fede testimoniata col sangue da San Rufino, a dire a Cristo: ‘tu sei la via, la verità, la vita'. Bisogna che questa professione di fede si consolidi nelle nostre coscienze e diventi credibile nel nostro annuncio. Un annuncio al quale papa Francesco chiede di dare il timbro della gioia. Di qui il titolo del nostro Sinodo: “per una Chiesa gioiosa e missionaria". Questa gioia non può risolversi in un sentimento intimistico e solitario: deve essere gioia di Chiesa, gioia di popolo, gioia di famiglia. Qui si apre un altro scenario di sfide epocali. Quello che per millenni ha costituito la forza della pastorale, e cioè la coesione della famiglia e della società, oggi è sempre più lontano. Le relazioni si indeboliscono e si frammentano. Il nucleo stesso della società, la famiglia, è sempre più fragile. Dobbiamo puntare ad essere sempre più “chiesa-famiglia", anche per dare una risposta al cedimento dell’istituto familiare. Infine, in questa nostra società siamo afflitti da una pesante crisi economica. Anche la nostra diocesi, già ferita dal terremoto, ne è stata investita in pieno. Antiche e nuove povertà ci assillano. La disoccupazione cresce. Aziende chiudono o sono in difficoltà. Sotto i nostri occhi giovani senza futuro e magari tentati da paradisi futili e velenosi, immigrati in cerca di accoglienza. Il senso e la gioia della vita sono messi alla prova, e la vita umana non sempre è rispettata nemmeno nel grembo materno. Di fronte a queste enormi sfide, la politica appare, salvo eccezioni confusa e inconcludente. E se poi guardiamo al paesaggio internazionale, lo vediamo segnato da ingiustizie e disuguaglianze clamorose, e, come non bastasse, punteggiato di conflitti sanguinosi. Non abbiamo ancora concluso la nostra preghiera per la pace in Terra Santa, che dall’Iraq ci arrivano le notizie raccapriccianti di migliaia di cristiani in fuga di fronte a una furia persecutoria che non conosce pietà. Per questo la sera del 15 agosto alle 21 abbiamo indetto una veglia di preghiera nella Basilica inferiore di San Francesco. C’è tanta sofferenza in giro. La Chiesa deve farsi “prossima". Annunciare Cristo è anche impegno a toccare la sua “carne” nei poveri".
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