domenica 30 marzo 2014

“Apostolato di prossimità” per una cultura dell’incontro

Papa Francesco andrà in visita pastorale a Cassano allo Jonio in Calabria, il paese di cui è vescovo Nunzio Galantino, neo segretario generale della CEI, ma anche il luogo ove dalla ‘ndragheta è stato ucciso e bruciato insieme al nonno il bimbo Cocò Campolongo, che il Papa ha ricordato all’Angelus del 26 gennaio scorso.

 Il “parroco” del mondo prosegue il suo apostolato di prossimità, con l’intento di promuovere sempre una cultura dell’incontro e sconfiggere la cultura dell’esclusione e del pregiudizio. Proprio di questo ha parlato lo stesso Pontefice nell’udienza di ieri agli aderenti al Movimento Apostolico Ciechi (MAC) e alla Piccola Missione per i Sordomuti. 
 “Testimone del Vangelo è uno che ha incontrato Gesù Cristo, che lo ha conosciuto, o meglio, si è sentito conosciuto da Lui, riconosciuto, rispettato, amato, perdonato, e questo incontro lo ha toccato in profondità, lo ha riempito di una gioia nuova, un nuovo significato per la vita. E questo traspare, si comunica, si trasmette agli altri. Ho ricordato la Samaritana perché è un esempio chiaro del tipo di persone che Gesù amava incontrare, per fare di loro dei testimoni: persone emarginate, escluse, disprezzate. La samaritana lo era in quanto donna e in quanto samaritana, perché i samaritani erano molto disprezzati dai giudei. Ma pensiamo a tanti che Gesù ha voluto incontrare, soprattutto persone segnate dalla malattia e dalla disabilità, per guarirle e restituirle alla piena dignità. E’ molto importante che proprio queste persone diventano testimoni di un nuovo atteggiamento, che possiamo chiamare cultura dell’incontro. Esempio tipico è la figura del cieco nato, che ci verrà ripresentata domani, nel Vangelo della Messa (Gv 9,1-41)”.

domenica 16 marzo 2014

Metodo Bergoglio

Il 13 marzo scorso si è compiuto il primo anno di pontificato di Francesco. Tanto si è detto e scritto e tanto si continuerà a dire per la “novità” dello stile di questo Papa. Uno stile proprio dell’uomo di Chiesa Bergoglio, messo in atto da Vescovo di Buenos Aires e che prosegue da Vescovo di Roma. E cioè quello di mettersi «in cammino» verso le periferie come «Chiesa samaritana» chiamata a «curare i feriti» e annunciare il kerygma , l’essenziale del Vangelo. 

Ecco proprio questo richiama l’immagine evangelica di Gesù che accosta e accompagna i discepoli di Emmaus. Come non vedere ciò per esempio nella ricerca continua dell’accostamento all’altro, che gli si fa incontro, in qualsiasi occasione tra gli ormai milioni di persone che accorrono per vedere il Papa. Una per tutte valga l’immagine, che ha subito fatto il giro del mondo, del Papa che attende che una ragazza prepari lo smartphone e poi l’inquadratura per fare un selfie sorridente. Con semplicità e naturalezza, come quando arriva al Quirinale a bordo di una comunissima Ford Focus. O quando sale la scaletta dell’aereo con la borsa nera oppure in pullmann si reca, insieme ad altri prelati, ad Ariccia per gli esercizi spirituali. E l’elenco potrebbe continuare.

Ma non è certamente solo una questione di immagine, perché il metodo Bergoglio si riempie di contenuti per il modo come papa Francesco parla, come ascolta, come sorride. E soprattutto per il modo positivo con cui annuncia la verità custodita dalla Chiesa, di cui è, come ogni fedele,e  si sente figlio

Anche questo rappresenta una novità che aiuta a farsi strada nel cuore di chi non superficialmente ascolta. Si pensi per esempio al matrimonio, di cui descrive la peculiarità data dalla bellezza e dall'armonia che si crea nella differenza risultante dall'alleanza tra un uomo e una donna. In questo contesto positivo emerge, senza quasi doverlo far notare, quanto sia inadeguato usare lo stesso termine per altro tipo di unioni. 

Il magistero di Papa Francesco, dunque, si nutre di questo vitale scambio, naturale e diretto, con i fratelli di fede. E non solo.

sabato 8 marzo 2014

Povertà e non miseria

Nel suo Messaggio  per questa Quaresima, papa Francesco auspica attenzione e responsabilità verso la miseria umana. Il Pontefice, nell’evocare la povertà di Cristo, volta alla pienezza della condivisione (cfr Fil 2,7; Eb 4,15), la distingue dalla “miseria” nella sua triplice espressione: materiale, morale e spirituale. 

La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale… Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato…Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore”.

Da ciò l’impegno, nel “seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana”.

lunedì 3 marzo 2014

Per un «cammino di discernimento»

Commentando il Vangelo nella messa celebrata venerdì 28 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta,  il Papa si è soffermato sul fallimento del matrimonio: "Quando lasciare il padre e la madre per unirsi a una donna, farsi una sola carne e andare avanti, quando questo amore fallisce — perché tante volte fallisce — dobbiamo sentire il dolore del fallimento". E proprio in quel momento dobbiamo anche “accompagnare quelle persone che hanno avuto questo fallimento nel loro amore”. Non bisogna “condannare” ma “camminare con loro”.

Ancora una riflessione sulla famiglia e sul matrimonio, dopo le recenti giornate di studio del Concistoro e la Lettera alle famiglie in vista del Sinodo straordinario di ottobre e di un intero anno della vita della Chiesa molto concentrato su questi temi. Una riflessione che evoca un “come” per quanti, e non solo, chiamati al discernimento. 

D’altra parte non è la prima volta che questo Pontefice si occupa della questione, soprattutto con riferimento alla comunione ai divorziati risposati. E col tempo aumentano anche i contributi autorevoli sul tema. Come ricorda Sandro Magister , da ultimo a farlo è stato il card. Kasper con il suo intervento proprio allo scorso Concistoro, ripreso per la cronaca dal quotidiano Il Foglio

Il porporato tedesco presenta così il complesso e spinoso problema: “Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo – come lo ha fatto il buon Samaritano – considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto”. 

Non si tratta di rimettere in discussione l’indissolubilità di un matrimonio sacramentale, che rimane intangibile, ma se, per esempio, quella giudiziaria debba essere l’unica via per risolvere il problema o se non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali. Tenuto conto oltretutto di quanto detto da papa Francesco nel suo primo discorso alla Rota Romana  a proposito del rapporto di pastorale e misericordia con la giustizia.

sabato 1 marzo 2014

Il DNA dell’Episcopato

Spesso si parla di Vescovi o del proprio Vescovo lasciandosi sfuggire, ammesso che lo si possegga, il contenuto di fondo che deve permeare il compito episcopale nella Chiesa cattolica. Un ruolo che è di servizio nella carità e non di semplice comando e meno che mai di potere autoritativo. 

Per meglio comprendere tutto ciò ci soccorre, papa Francesco che in un discorso alla Congregazione per i Vescovi ha tratteggiato l’identità di un Vescovo oggi. 

Premesso che nella Chiesa non c’è Vescovo senza popolo, così come non c’è popolo senza Vescovo, per rispondere a quest’ultima esigenza, il Pontefice dice: “…non serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui …. La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto”. 

Ma quale volto deve avere un Vescovo ? 

“Il Vescovo è anzitutto un martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la Chiesa. La sua vita e il suo ministero devono rendere credibile la Risurrezione…Il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel “DNA” dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale… L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”. 

Ecco allora che rinvengono le qualità richieste per il ministero episcopale, che tuttavia non possono essere il risultato di una “somma algebrica delle virtù”. “È certo che ci serve uno che eccelle (CIC, can. 378 § 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la misura alta dei discepoli del Signore; la sua preparazione culturale gli permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua capacità di governare con paterna fermezza garantisce la sicurezza dell’autorità che aiuta a crescere; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i beni della comunità conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti".

Ma non è tutto. E infatti "Tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno... La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza”.