domenica 27 dicembre 2015

In cammino verso la Santa Famiglia

Nella Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, che la Chiesa celebra in questa domenica “fra l'ottava di Natale”, ci è data l’occasione per richiamare il disegno di Dio sulla famiglia. Naturalmente questo è possibile se si procede in un’ottica di fede.
 
Più che mai opportuno è farlo in un tempo quale quello che viviamo, in cui si constatano crescenti difficoltà, come la degradazione della sessualità, la visione materialistica ed edonistica della vita, l’atteggiamento permissivo dei genitori, l’indebolirsi dei vincoli familiari e della comunicazione tra generazioni. Per culminare il tutto nella “disintegrazione” della stessa famiglia aperta alla vita e nata dall’amore reciproco di un uomo e di una donna.
 
Del resto, ormai si lega il concetto di famiglia ad una dimensione storico-culturale, che vuole fare giustizia di ogni riferimento trascendente. E tuttavia, la famiglia è la prima cellula della società e della Chiesa. Dio l’ha creata a sua immagine (Gn 1,26) e ha affidato all’uomo il compito di crescere, di moltiplicarsi, di riempire la terra e di sottometterla (Gn 1,28). Questo disegno si avvera quando l’uomo e ha donna, unitisi intimamente, si rendono cooperatori di Dio nell’amore per il servizio della vita.
 
Gli sposi sono chiamati a replicare il loro si nella quotidianità, segnata dalla sofferenza della croce nella speranza della risurrezione. Con lo stile della casa di Nazaret, per dirla col beato Paolo VI, alla famiglia nella Chiesa tocca il compito della evangelizzazione e della catechesi, mentre nella società civile essa è chiamata a testimoniare i valori evangelici annunciati, promuovendo la giustizia sociale, aiutando i poveri e gli oppressi. In questo senso, è fondamentale l’educazione alla libertà, ad un forte senso morale, alla fede e agli autentici valori umani e cristiani.
 
Quest’anno la ricorrenza della Santa Famiglia si carica di un altro speciale significato in coincidenza col Giubileo della Misericordia. Oggi si è celebrato il primo grande evento giubilare dopo l’apertura delle Porte Sante, appunto il Giubileo della famiglia. Un’altra tappa per la famiglia dopo la celebrazione del "doppio" Sinodo 2014-2015, mentre si attende l’Esortazione apostolica, che chiuderà questa lunga e complessa riflessione. Papa Francesco, a conclusione della sua omelia ha detto:
Non perdiamo la fiducia nella famiglia! E’ bello aprire sempre il cuore gli uni agli altri, senza nascondere nulla. Dove c’è amore, lì c’è anche comprensione e perdono. Affido a tutte voi, care famiglie, questo pellegrinaggio domestico di tutti i giorni, questa missione così importante, di cui il mondo e la Chiesa hanno più che mai bisogno”.
 
Nello scrivere questa nota, il pensiero va, perciò, ai giovani che si rendono protagonisti di questa missione nella Chiesa e nella stessa comunità sociale in cui vivono. Consentendomi una digressione personale, rivolgo il mio sguardo a mio figlio Timoteo e a Serena che l’8 dicembre scorso, hanno celebrato il loro matrimonio.

mercoledì 16 dicembre 2015

Quella "Porta"

Domenica scorsa, con l’apertura della Porta Santa in tutte le Chiese particolari del mondo, si è dato avvio all’Anno Giubilare della Misericordia dopo che Papa Francesco l’8 dicembre aveva aperto la  Porta Santa della Basilica di S. Pietro.  E dopo che, per la prima volta, la stessa apertura della Porta Santa nella Basilica vaticana era sta preceduta , nella prima domenica di Avvento, il 29 novembre scorso, da quella della Cattedrale di Bangui (Repubblica Centrafricana). 

Mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti – Vasto, intervenendo su Il Sole 24 Ore, enucleando le ragioni del fatto che il Papa abbia voluto centrare questo Giubileo proprio sul tema della misericordia, le ha individuate a livello storico e teologico. Ciò nel solco del magistero pontificio da san Giovanni XXIII allo stesso Francesco, passando per il beato Paolo VI, S. Giovanni Paolo II, che con l'Enciclica Dives in misericordia aveva evidenziato la necessità della misericordia nella cultura dei nostri giorni, e Benedetto XVI, che proprio alla carità e alla misericordia aveva dedicato l'Enciclica Deus caritas est

Nell'evocare la ragione di carattere storico, Forte scrive: “siamo usciti da poco da un secolo, il Novecento, che, definito da alcuni “il secolo breve” (Eric Hobswam) per la rapidità con cui si sono succeduti eventi epocali quali le due guerre mondiali, il genocidio armeno, la Shoah e la stagione della “guerra fredda”, potrebbe non di meno essere descritto come “il secolo tragico”, segnato come pochi altri dalla violenza, al punto che alla fine di esso un terzo dell’umanità di inizio secolo risultava sterminato dagli eventi drammatici che lo hanno attraversato. È proprio al cuore di questo secolo violento e sanguinario che è risuonato nel mezzo dell'Europa devastata dai totalitarismi e dalla guerra il messaggio ricevuto da una giovane donna polacca, Suor Faustina Kowalska, morta ad appena trentatre anni e canonizzata da Giovanni Paolo II nell'anno 2000: è l'annuncio dell’infinita misericordia di Dio, del suo amore gratuito, tenero e compassionevole per ognuna delle Sue creature, nessuna esclusa. È la rivoluzione del perdono in un mondo stravolto da odi e conflitti e bagnato dal sangue d’innumerevoli vittime… La misericordia di Dio verso ogni uomo e quella di ciascuno verso il suo prossimo è la forza che cambia il mondo e la vita, libera dall'odio ed edifica un'umanità riconciliata per il bene di tutti. La fine del “secolo breve” e gli inizi del terzo millennio non hanno purtroppo modificato gli scenari della violenza: dall’11 Settembre 2001, con l'attacco alle Torri Gemelle, i primi anni del nuovo secolo sono stati un susseguirsi di conflitti e di negazioni dell'altro, tanto da indurre Papa Francesco a parlare di una terza guerra mondiale “a pezzi”. Ecco perché c'è tanto bisogno di misericordia!”.

giovedì 26 novembre 2015

I sentimenti di Gesù e certe tentazioni

Il 10 novembre scorso Papa Francesco nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze ha rivolto un miliare discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana .
 
In linea col tema del convegno, il Papa ha affermato che “L’umanesimo cristiano è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5)”. E, trattando di questi sentimenti, ne ha indicati tre.
 
“Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre”.
Riferendosi poi al “disinteresse”, Francesco ha ammonito:
“ Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo… L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio”.
Il Pontefice ha, quindi, evocato la beatitudine:
“Le beatitudini che leggiamo nel Vangelo iniziano con una benedizione e terminano con una promessa di consolazione…Per essere «beati», per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Sal 34,9)!”.
Per questo, “Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente”. Ma il Santo Padre ha anche messo in guardia dalle tentazioni che la Chiesa può correre a partire da quella pelagiana, che spinge la stessa
 “Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso… la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo”. 
E poi quella dello gnosticismo, che
“porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro… Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo…dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium, 94). Invocando, infine, il dialogo, il Papa ha ricordato che “il modo migliore per dialogare… è quello… di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà…Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca…Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo.”

martedì 10 novembre 2015

La Chiesa che è in Italia si confronta sul passaggio culturale e sociale del nostro tempo

Ieri ha preso il via a Firenze il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, promosso dall’episcopato italiano, che si concluderà il prossimo venerdì 13.
Dopo Evangelizzazione e promozione umana (Roma 1976), Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini (Loreto 1985), Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia (Palermo 1995) e Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo (Verona 2006), titoli dei convegni ecclesiali precedenti, i Vescovi italiani hanno voluto questo nuovo appuntamento decennale col tema  In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
 
Mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente del Comitato preparatorio del Convegno nell’Invito ricorda come “Di fatto nel nostro Paese i cinquant’anni dal Concilio Vaticano II sono stati cadenzati da questi eventi ecclesiali, quasi a rimarcare con anniversari decennali l’eredità conciliare. In questa luce, il tema di ogni Convegno ha incrociato di volta in volta quello degli Orientamenti pastorali del decennio entro cui il Convegno stesso si collocava: Evangelizzazione e sacramenti per il primo decennio (gli anni Settanta), quindi Comunione e comunità (gli anni Ottanta), Evangelizzazione e testimonianza della carità (gli anni Novanta), Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2000-2010) ed Educare alla vita buona del Vangelo per il decennio in corso. 
Il 5° Convegno affronterà il trapasso culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo e che incide sempre più nella mentalità e nel costume delle persone, sradicando a volte principi e valori fondamentali per l’esistenza personale, familiare e sociale. L’atteggiamento che deve ispirare la riflessione è quello a cui richiama quotidianamente papa Francesco: leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore che Gesù ci ha insegnato. Solo una Chiesa che si rende vicina alle persone e alla loro vita reale, infatti, pone le condizioni per l’annuncio e la comunicazione della fede”.
E oggi è stata la giornata del Papa al Convegno.

domenica 25 ottobre 2015

Tornare a “camminare insieme” nel “tempo della misericordia”

Questa è la sintesi di papa Francesco a conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata alla famiglia. Nel discorso di ieri il Santo Padre ha detto che “per la Chiesa concludere il Sinodo significa tornare a “camminare insieme” realmente per portare in ogni parte del mondo, in ogni Diocesi, in ogni comunità e in ogni situazione la luce del Vangelo, l’abbraccio della Chiesa e il sostegno della misericordia di Dio!”.
 
Francesco ha evidenziato, evocando con ciò una continuità con i pontefici che lo hanno immediatamente preceduto sul soglio di Pietro, il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50).” E che “i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule: sono necessarie; l’importanza delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54).”
 
Nell’omelia  di oggi in S. Pietro, il Pontefice ha affermato: “Le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia!” Il Sinodo appena concluso d’altra parte segna un ponte ideale con l’Anno giubilare della Misericordia che si aprirà il prossimo 8 dicembre.
 
Nella Relazione finale viene spiegato come la famiglia faccia parte del piano di Dio e quale sia la sua missione: anche quella di essere soggetto della pastorale, oltre che oggetto. Si ribadisce inoltre l’indissolubilità del matrimonio, la tolleranza zero verso la pedofilia, il rifiuto dell’ideologia del gender, si denunciano le manipolazioni della biotecnologia alla procreazione e si dà grande importanza alla preparazione in vista del matrimonio e poi, una volta formata la famiglia, all’educazione dei figli. Una cura particolare si chiede anche per le famiglie in cui uno dei coniugi non sia cristiano. Quanto alle coppie di fatto, si parte dalla constatazione che in molti casi alla loro base non vi è resistenza nei confronti dell’unione sacramentale, ma «situazioni culturali o contingenti». Così come per la questione dei divorziati risposati civilmente si chiede “di discernere caso per caso” e che questi fedeli "non devono sentirsi scomunicati , ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa". La loro partecipazione, dunque, "può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate". E l’integrazione "è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti”.
 
L’ultima parola adesso spetta al Papa, che nel discorso tenuto il 17 ottobre scorso per commemorare il 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei vescovi ha ribadito: “Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell'ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire». È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7).” Papa Francesco ricorda “ che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”. Una Chiesa “ che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia”, capace di “guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività”.

venerdì 16 ottobre 2015

Tornare a Nazareth

In un’intervista a Luciano Moia di Avvenire il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, vicepresidente Cei per il Nord Italia e relatore al Circolo minore italiano C. del Sinodo dei vescovi in corso di svolgimento in Vaticano, ha richiamato l’attenzione prestata dai padri sinodali alla preparazione al matrimonio dei giovani.
 
“Il "particolare impegno" sollecitato dal nostro circolo per percorsi di "iniziazione dei giovani" al matrimonio e alla famiglia è un lungo cammino che deve iniziare già nel momento adolescenziale e giovanile con l’educazione degli affetti. Pastorale giovanile, familiare, scolastica e insegnamento della religione non devono concorrere insieme a questa opera? Anzi, io direi che si tratta di un "lavoro" che ha come scopo di costruire l’umano, da apprezzare socialmente almeno come l’aumento del Pil. Qui si prepara il patrimonio di un Paese. Bisogna puntare sulla "core generation" (24-40 anni), che è il nostro futuro prossimo”.
 
E il riferimento non può che essere l’esempio lasciato da Gesù con la quotidianità della sua vita incarnata: “Da dove vengono le parabole di Gesù, dove si nutre la sua prossimità ai poveri, alle donne, agli ultimi, i suoi gesti dirompenti e le immagini che hanno cambiato la vita e i costumi del mondo? Vengono dal suo grembo familiare, dal segreto di Nazareth. La prima parola di Gesù sulla famiglia si radica come il granello di senape nel grembo di Nazareth. Questo sguardo, questa terra, è la carne della Parola di Dio. Ad essa dobbiamo sempre tornare.”

domenica 4 ottobre 2015

Dalla solitudine alla famiglia nella fedeltà, verità e carità.

Con la Santa Messa celebrata stamane in S. Pietro, in questa XXVII Domenica del Tempo Ordinario, papa Francesco ha aperto la XIV Assemblea Generale Ordinaria Del Sinodo Dei Vescovi, che fino al 25 ottobre prossimo tratterà il tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. 

All’importante e attesa assise ecclesiale, “evento di grazia” – come lo ha definito lo stesso Pontefice- partecipano 270 sinodali  provenienti da tutto il mondo, che sono chiamati a confrontarsi in base allo Instrumentum laboris  su aspetti che riguardano “L’ascolto delle sfide sulla famiglia” , “Il discernimento della vocazione familiare”, “La missione della famiglia oggi”. 

Nell’omelia  di oggi Francesco ha enucleato i principi a cui attenersi nella discussione, nel rispetto della missione che la Chiesa è chiamata a vivere nella fedeltà, nella verità e nella carità. Il Papa, evocando Gen 2,20, ha richiamato la condizione di solitudine dell’uomo da cui scorga l’amore per un’altra persona a lui complementare (Gen 2,18) e da cui, insostituibile e infungibile, l’amore dell’uomo per la donna e viceversa.

 “Ecco il sogno di Dio per la sua creatura diletta: vederla realizzata nell’unione di amore tra uomo e donna; felice nel cammino comune, feconda nella donazione reciproca. È lo stesso disegno che Gesù nel Vangelo di oggi riassume con queste parole: «Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10,6-8; cfr Gen 1,27; 2,24).” 

E’ da questo amore, gratuito e per sempre, che può nascere la famiglia che la Chiesa è chiamata a custodire e annunciare “nella fedeltà al suo Maestro come voce che grida nel deserto, per difendere l’amore fedele e incoraggiare le numerosissime famiglie che vivono il loro matrimonio come uno spazio in cui si manifesta l’amore divino; per difendere la sacralità della vita, di ogni vita; per difendere l’unità e l’indissolubilità del vincolo coniugale come segno della grazia di Dio e della capacità dell’uomo di amare seriamente”. 

Ma “la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella verità che non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti. La verità che protegge l’uomo e l’umanità dalle tentazioni dell’autoreferenzialità e dal trasformare l’amore fecondo in egoismo sterile, l’unione fedele in legami temporanei. «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità» (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 3). "

"E la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri, ma – fedele alla sua natura di madre – si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia; di essere “ospedale da campo”, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, di uscire dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza”.

martedì 8 settembre 2015

Riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio

L’attesa riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio vede la luce con due Motu Proprio di Papa Francesco, Mitis Iudex Dominus Iesus e, in virtù del peculiare ordinamento ecclesiale e disciplinare, per le Chiese orientali Mitis et misericors Iesus.
 
I documenti firmati il 15 agosto (festa dell’Assunta) e pubblicati nella festa odierna della Natività della Madonna, a circa tre settimane dall’inizio del Sinodo dei Vescovi, entreranno in vigore il prossimo 8 dicembre (Immacolata Concezione).
 
La riforma, che interviene dopo tre secoli di quella di Benedetto XIV e la successiva del secolo scorso di S. Pio X, affonda le radici ecclesiologiche nel Concilio Vaticano II e giunge anche a conclusione del lavoro della commissione speciale per la Riforma del processo matrimoniale canonico che fu creata ad agosto del 2014 e ha consegnato le conclusioni al Papa nei mesi scorsi.
 
Premesso che il Vescovo di Roma non è intervenuto sulla casistica della nullità matrimoniale canonica, con la riforma, intanto, se il caso non presenta particolari difficoltà interpretative sarà sufficiente la "certezza morale" raggiunta dal primo giudice, venendo meno così la cosiddetta decisione conforme in favore della nullità del matrimonio di un tribunale superiore. Al riguardo, il prof. Paolo Moneta , che ha fatto parte del coetus preparatorio della riforma, ha dichiarato: “Era una garanzia decisa tre secoli fa da Benedetto XIV con l’obiettivo di frenare gli abusi e custodire l’indissolubilità del matrimonio. Oggi con una migliore organizzazione dei tribunali si è considerata superflua”.
 
E’ prevista, inoltre, la costituzione del "giudice unico, comunque chierico", di cui è investito direttamente nell'esercizio pastorale della sua potestà giudiziale lo stesso Vescovo diocesano, che, dunque, sarà più coinvolto nel giudizio: "Si auspica che nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiatiche e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria" in materia matrimoniale".
 
Quanto affermato da Francesco richiama alla mente ciò che disse S. Giovanni Paolo II nel suo ultimo Discorso alla Rota Romana : “I sacri Pastori non possono pensare che l'operato dei loro tribunali sia una questione meramente "tecnica" della quale possono disinteressarsi, affidandola interamente ai loro giudici vicari (cfr CIC, cann. 391, 1419, 1423 § 1).”
Sempre Moneta. ricorda: “il vescovo delegava completamente il suo potere – comunque sempre presente – al vicario giudiziale. Ora si è voluto mostrare che la Chiesa non considera i processi di nullità come pratiche burocratiche, ma che c’è sempre sullo sfondo una sollecitudine pastorale.”
 
Oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, "si è disegnata una forma di processo più breve – in aggiunta a quello documentale come attualmente vigente –, da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti”. Su questo il Pontefice precisa: “Non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede nella disciplina”.
 
Per quanto riguarda l’eventuale appello alla Sede Metropolitana, Francesco lo spiega col fatto che “tale ufficio di capo della provincia ecclesiastica, stabile nei secoli, è un segno distintivo della sinodalità nella Chiesa”. Così come si evidenzia il ruolo di servizio delle “Conferenze Episcopali, che devono essere soprattutto spinte dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi" e "avvertano fortemente il dovere di condividere la predetta conversione, e rispettino assolutamente il diritto dei Vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare” con “l’aiuto a mettere in pratica la riforma del processo matrimoniale” in modo che, “salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali… venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”.

Riguardo a ciò va ricordato che la CEI  sin dal 1999 ha istituito  a proprie spese, attingendo ai fondi dell'otto per mille, in ogni Tribunale ecclesiastico regionale la figura del Patrono stabile, avvocato deputato proprio alla consulenza e assistenza gratuita dei fedeli richiedenti la dichiarazione di nullità matrimoniale. 
 
E infine viene mantenuto anche “l’appello al Tribunale ordinario della Sede Apostolica, cioè la Rota Romana, nel rispetto di un antichissimo principio giuridico, così che venga rafforzato il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari, avendo tuttavia cura, nella disciplina di tale appello, di contenere qualunque abuso del diritto, perché non abbia a riceverne danno la salvezza delle anime”.

domenica 23 agosto 2015

Vangelo della misericordia e fenomeno dei migranti e rifugiati

Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEI (presentato dagli ignoranti di turno come capo dei vescovi italiani) e persino papa Francesco si sono meritati negli ultimi tempi gli strali di quanti, professionisti della politica e dunque interessati alla raccolta di consenso facile e remunerato, hanno criticato le posizioni della Chiesa cattolica sul fenomeno dei migranti.
 
Qualcuno, incautamente, ha gettato lì anche l’interrogativo-accusa di cosa faccia la Chiesa di concreto per tale problema globale che affligge il nostro tempo. A costui già sono state date, con cifre alla mano, risposte adeguate sull’impegno ecclesiale ai diversi livelli a favore della carità. E non da oggi, visto che per esempio la prima giornata annuale di sensibilizzazione sul fenomeno della migrazione con relativa colletta per le opere pastorali per gli emigrati Italiani e per la preparazione dei missionari d’emigrazione risale al 21 febbraio 1915!
 
Come si legge in un bollettino della Sala Stampa vaticana "Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia" sarà il tema che Papa Francesco ha scelto per la 102esima Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebrerà il 17 gennaio 2016. “Con la prima parte del tema, “Migranti e rifugiati ci interpellano”, si vuole fare presente la drammatica situazione di tanti uomini e donne, costretti ad abbandonare le proprie terre. Non si devono dimenticare, per esempio, le attuali tragedie del mare che hanno per vittime i migranti.” “Con la seconda parte del tema, “La risposta del Vangelo della misericordia”, si vuole collegare in modo esplicito il fenomeno della migrazione con la risposta del mondo e, in particolare, della Chiesa. In questo contesto, il Santo Padre invita al popolo cristiano a riflettere durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale, tra cui si trova quella di accogliere i forestieri. E questo senza dimenticare che Cristo stesso è presente tra i “più piccoli”, e che alla fine della vita saremmo giudicati dalla nostra risposta d’amore (cfr. Mt 25,31-45)”.
 
A tal proposito il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti "Suggerisce che la giornata giubilare sia celebrata particolarmente a livello diocesano e nazionale, nell'ambito più vicino ai migranti e rifugiati, con la loro partecipazione, e coinvolgendo anche le comunità cristiane"; "propone che l'evento giubilare centrale sia proprio il prossimo 17 gennaio 2016, nella ricorrenza della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato"; "incoraggia le diocesi e comunità cristiane, che ancora non lo fanno, a programmare delle iniziative, approfittando dell'occasione che offre questo Anno della Misericordia"; "invita a non dimenticare l`aspetto della sensibilizzazione nelle comunità cristiane al fenomeno migratorio; "auspica che l'attenzione verso i migranti e la loro situazione non si riduca ad un'unica giornata"; "ricorda che è anche importante realizzare segni concreti di solidarietà, che abbiano un valore simbolico, e che esprimano la vicinanza e l'attenzione ai migranti e rifugiati".
 
Un coinvolgimento fattivo, dunque, dunque della comunità ecclesiale locale, per aiutare anche quanti, all’ombra del campanile, stentano ad aprire il Vangelo in tema di accoglienza come giustamente rileva il priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi.
 

sabato 11 luglio 2015

La “spiritualità dello zapping e la pedagogia del Maestro”

Il discorso che papa Francesco ha rivolto, a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia),  ai sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi, rappresenta certamente un fermo richiamo alla coerenza nella vita della gente e in particolare in quella di chi si professa  seguace di Gesù.
 
Questo viaggio apostolico, in quella “fine del mondo” da cui papa Bergoglio proviene, rimarrà tappa miliare di questo pontificato soprattutto per gli interventi di natura sociale che, sebbene da un’estrema periferia, il Pontefice continua a rivolgere al mondo intero senza tema di strumentalizzazioni.
 
 
E tuttavia, è come se giovedì scorso, nel “Coliseo del Colegio Don Bosco”, il Santo Padre si sia fermato per rivolgere lo sguardo all’interno della Chiesa, quasi facendo un ECG al cuore pulsante della stessa. L’occasione l’ha colta commentando l’episodio di Bartimeo tratto da Mc 10, 46-52  e soffermandosi sulla reazione dei discepoli:
Pensiamo alle diverse reazioni dei vescovi, dei preti, delle religiose, dei seminaristi alle grida che sentiamo, o non sentiamo. È come se l’Evangelista volesse mostrarci quale tipo di eco ha trovato il grido di Bartimeo nella vita della gente e nella vita dei seguaci di Gesù. Come reagiscono al dolore di colui che è sul bordo della strada - che nessuno gli fa caso, al massimo gli fanno un’elemosina - di colui che sta seduto sul suo dolore, che non rientra in quella cerchia che sta seguendo il Signore.
Il Papa ha evocato in tal senso il “cuore blindato” di certi cristiani tanto vicini a Gesù:
Si tratta di un cuore che si è abituato a passare senza lasciarsi toccare; un’esistenza che, passando da una parte all’altra, non riesce a radicarsi nella vita del suo popolo, semplicemente perché sta in quella élite che segue il Signore”. Da ciò scaturisce una spiritualità arida che Francesco definisce “dello zapping”, che “Passa e ripassa, passa e ripassa, ma mai si ferma. Sono quelli che vanno dietro all’ultima novità, all’ultimo best seller, ma non riescono ad avere un contatto, a relazionarsi, a farsi coinvolgere, nemmeno con il Signore che stanno seguendo, perché la sordità aumenta!
 Da questo il fecondo insegnamento pastorale di Francesco "Passare senza ascoltare il dolore della nostra gente, senza radicarci nella loro vita, nella loro terra, è come ascoltare la Parola di Dio senza lasciare che metta radici dentro di noi e sia feconda. Una pianta, una storia senza radici, è una vita arida". Ma il Vescovo di Roma va oltre, richiamando “il dramma della coscienza isolata, di quei discepoli e discepole che pensano che la vita di Gesù è solo per quelli che si credono adatti. Alla base c’è un profondo disprezzo per il santo Popolo fedele di Dio: “Questo cieco dove vuole mettersi? Che stia qui”. Sembrerebbe giusto che trovino spazio solo gli “autorizzati”, una “casta di diversi” che lentamente si separa, si differenzia dal suo popolo. Hanno fatto dell’identità una questione di superiorità. Questa identità che è appartenenza si fa superiore; non sono più pastori ma capisquadra: “Io sono arrivato fino a qui, tu stai al tuo posto”.

Personalmente mi ritrovo in tale descrizione con riferimento a certe celebrazioni liturgiche in cui svettano i “posti riservati” a membri di aggregazioni e confraternite varie. Ovvero la mente va alle processioni che si avviano secondo un ordine per cui alla fine vengono chiamati i “fedeli”.
 
Concludendo, il Papa tratta della logica dell’inclusione, che deve sempre sottendere l’annuncio evangelico nel farsi carico dell’altro secondo la
logica propria dell’amore, del patire-con… che nasce dal non avere paura di avvicinarsi al dolore della nostra gente… E questa è la logica del discepolato, questo è ciò che opera lo Spirito Santo con noi e in noi. Di questo siamo testimoni… Non siamo testimoni di un’ideologia, non siamo testimoni di una ricetta, o di un modo di fare teologia. Non siamo testimoni di questo. Siamo testimoni dell’amore risanante e misericordioso di Gesù. Siamo testimoni del suo agire nella vita delle nostre comunità.

venerdì 26 giugno 2015

Le premesse del magistero pontificio alla Laudato sı’

Nell’approcciare la seconda Enciclica del pontificato di Francesco “Laudato sı', sulla cura della casa comune”, è utile tenere presente quanto emerge dalla tradizione cristiana su un tema di tipo sociale ed ecologico, oltre che di fede, e cioè la tutela dell'ambiente e del Creato.
 
La tradizione cristiana, infatti, non separa giustizia ed ecologia, condivisione della terra e rispetto della terra, attenzione alla vita dell’ambiente e cura per la qualità della vita umana. E su questa linea, denunciandone gli abusi, è intervenuto anche il magistero della Chiesa negli ultimi cinquant’anni.
 
Del resto, papa Bergoglio procede proprio da ciò nell’introdurci in questo documento (cfr. nn. 3-6), destinato a rimanere pietra miliare del magistero sociale della Chiesa, ricordando peraltro “Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni”.
 
 A proposito dei precedenti, il Santo Padre ricorda: “Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva "nonché a tutti gli uomini di buona volontà".
Nel 1971, il beato papa Paolo VI al n. 21 della Octogesima Adveniens, affermava:
Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune”.
Lo stesso Pontefice parlò alla FAO , evocando “una vera catastrofe ecologica “ e sottolineando “ l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità” .

San Giovanni Paolo II nella sua prima Enciclica, Redemptor hominis,  del 1979 al n. 15 osservò:

 Questo stato di minaccia per l'uomo, da parte dei suoi prodotti, ha varie direzioni e vari gradi di intensità. Sembra che siamo sempre più consapevoli del fatto che lo sfruttamento della terra, del pianeta su cui viviamo, esiga una razionale ed onesta pianificazione. Nello stesso tempo, tale sfruttamento per scopi non soltanto industriali, ma anche militari, lo sviluppo della tecnica non controllato né inquadrato in un piano a raggio universale ed autenticamente umanistico, portano spesso con sé la minaccia all'ambiente naturale dell'uomo, lo alienano nei suoi rapporti con la natura, lo distolgono da essa. L'uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che l'uomo comunicasse con la natura come «padrone» e «custode» intelligente e nobile, e non come «sfruttatore» e «distruttore» senza alcun riguardo.”
Il Santo Papa successivamente invitò ad una conversione ecologica globale, mentre con la Enciclica Sollicitudo rei socialis del 1987 ha trattato la questione ecologica in termini di crisi morale e al n. 34 ha scritto:

Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all'ordine che la contraddistingue, chiamavano il «cosmo». Anche tali realtà esigono rispetto, in virtù di una triplice considerazione, su cui giova attentamente riflettere. La prima consiste nella convenienza di prendere crescente consapevolezza che non si può fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati - animali, piante, elementi naturali -come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche. Al contrario, occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo. La seconda considerazione, invece, si fonda sulla costatazione, si direbbe più pressante, della limitazione delle risorse naturali, alcune delle quali non sono, come si dice, rinnovabili. Usarle come se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la generazione presente soprattutto per quelle future. La terza considerazione si riferisce direttamente alle conseguenze che un certo tipo di sviluppo ha sulla qualità della vita nelle zone industrializzate. Sappiamo tutti che risultato diretto o indiretto dell'industrializzazione è, sempre più di frequente, la contaminazione dell'ambiente, con gravi conseguenze per la salute della popolazione. Ancora una volta risulta evidente che lo sviluppo, la volontà di pianificazione che lo governa, l'uso delle risorse e la maniera di utilizzarle non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza dubbio limiti all'uso della natura visibile. Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di «usare e abusare», o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di «mangiare il frutto dell'albero» (Gen 2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni-relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata -, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo”.
Nella Enciclica Centesimus annus del 1991 ai nn. 37-38 dice:

Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future. Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica «ecologia umana». Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un'«ecologia sociale» del lavoro. L'uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza”.
Benedetto XVI, con più matura consapevolezza ecologica, ha fatto proprie, sviluppandole, le istanze del suo predecessore nella Enciclica Caritas in veritate sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità del 2009 ai nn. 48-52, ricordando in particolare:
 
“La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come un'ecologia dell'uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l'« ecologia umana » [124] è rispettata dentro la società, anche l'ecologia ambientale ne trae beneficio. Come le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l'indebolimento di una espone a rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura… Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell'ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l'ambiente e danneggia la società”.
Affermava ancora Benedetto XVI nella Giornata per la pace il 1° gennaio 2007:

Accanto all'ecologia della natura c'è dunque un'ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede una ”ecologia sociale”. E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l'ecologia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L'una e l'altra presuppongono la pace con Dio. La poesia-preghiera di San Francesco, nota anche come « Cantico di Frate Sole », costituisce un mirabile esempio — sempre attuale — di questa multiforme ecologia della pace”.
Interessante risulta, inoltre, quanto detto da Benedetto XVI nell’Udienza del 26 agosto 2009 , riprendendo la Caritas in veritate:

Il creato, materia strutturata in modo intelligente da Dio, è affidato dunque alla responsabilità dell’uomo, il quale è in grado di interpretarlo e di rimodellarlo attivamente, senza considerarsene padrone assoluto. L’uomo è chiamato piuttosto ad esercitare un governo responsabile per custodirlo, metterlo a profitto e coltivarlo, trovando le risorse necessarie per una esistenza dignitosa di tutti.

domenica 24 maggio 2015

Martirio, ministero, missione

La Cei ha chiesto di dedicare la Veglia di Pentecoste ai “martiri nostri contemporanei”, ai cristiani perseguitati, vessati e uccisi a causa della fede in Cristo e fare proprio il monito a “rompere il muro dell’indifferenza e del cinismo”. E così è stato ieri notte con una risposta che da nord a sud ha unito la Chiesa italiana.
 
Ad Assisi, nella cattedrale di san Rufino, il vescovo diocesano, mons. Domenico Sorrentino, nella sua omelia ha proprio esordito evocando il “martirio” del nostro tempo, che vede vittime per la fede tanti fratelli cristiani. Un martirio per noi attualmente lontano, ma che potrebbe diventare prossimo e di fronte al quale bisogna tenersi pronti da cristiani ad accettarlo.
 
Il presule di Assisi-Nocera U.-Gualdo T. si è poi richiamato al concetto di “ministero”, essendo la veglia di Pentecoste, per prassi ecclesiale, l’occasione per il conferimento dei ministeri istituiti di lettore e di accolito, nonché per ricevere il mandato di collaboratore al servizio della Parola e di ministro straordinario dell’Eucaristia. Al riguardo, si ricorda che nel 1973 il beato Paolo VI pubblicò la lettera apostolica Ministeria quaedam, stabilendo i ministeri laicali di lettore e di accolito, da conferire a tutti i candidati ai sacri ordini. La disciplina della materia è stata poi recepita con il Codice di diritto canonico del 1983. Il can. 230 § 1 in particolare statuisce: “I laici di sesso maschile, che abbiano l'età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa”.
Detti ministeri, tuttavia, non esauriscono quelle funzioni che la Chiesa riconosce sulla base della vocazione battesimale dei fedeli laici, uomini e donne, espressa in una forma non generica di apostolato (cfr. AA, 10) e corrispondente ai fini ecclesiali propri della comunità cristiana. Funzioni che trovano nell’ambito parrocchiale la loro specifica attuazione: catechisti, animatori della carità, lettori della Parola nella liturgia, ministri della comunione eucaristica, animatori della liturgia, incaricati per la preparazione degli ambienti dove si svolge il culto. Il legislatore riconosce, dunque, che all’interno della celebrazione eucaristica trovano la loro primaria collocazione alcune funzioni che si configurano tramite un incarico temporaneo (can 230 § 2), oppure come supplenza ad alcuni degli uffici dei lettori e degli accoliti (can 230 § 3).
 
Infine, mons. Sorrentino si è soffermato sulla “missione” affidata da Cristo redentore alla Chiesa, e dunque ad ogni fedele, di diffondere il Vangelo, affinché sia fatta la volontà del Padre. Puntuale, perciò, l’ammonizione del vescovo ad interrogarsi, con lo sguardo al cenacolo di Gerusalemme, a che punto è la propria ”Pentecoste”, qui ed ora.

domenica 17 maggio 2015

Famiglia, realtà concreta da vivere nella gratuità dell’amore complementare

La famiglia il tema della 49esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che la Chiesa celebra oggi e per la quale il papa Francesco ha indirizzato il consueto Messaggio dal titolo "Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell'incontro nella gratuità dell'amore". 

 La prima comunicazione è quella della vita che nasce dalla differenza di maschio e femmina, e si trasmette tra le generazioni, attraverso l’ineludibile incontro tra il maschile e femminile che dà origine a qualcosa di nuovo e irripetibile nel segno di un dono ricevuto e non di un mero prodotto umano. 

Papa Francesco scrive:

“Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un “grembo”, che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella “lingua materna”, cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione”.
Per questo oggi, in presenza degli “irrinunciabili media più moderni”, c’è bisogno di “reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione “, orientando così il “rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse”. 

Al riguardo, il Pontefice aggiunge: 
“L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme”. E infatti, in conclusione Francesco afferma: “I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile”.

sabato 9 maggio 2015

La rotta dell’amore

Nelle ultime due udienze del mercoledì, papa Francesco ha toccato il tema del matrimonio alla luce dell’amore “per sempre”.
 
Il Pontefice non ha omesso di considerare la realtà odierna  che privilegia la “cultura del provvisorio”, per cui “le persone che si sposano sono sempre di meno; questo è un fatto: i giovani non vogliono sposarsi. In molti Paesi aumenta invece il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli. La difficoltà a restare assieme – sia come coppia, sia come famiglia – porta a rompere i legami con sempre maggiore frequenza e rapidità, e proprio i figli sono i primi a portarne le conseguenze. Ma pensiamo che le prime vittime, le vittime più importanti, le vittime che soffrono di più in una separazione sono i figli. Se sperimenti fin da piccolo che il matrimonio è un legame “a tempo determinato”, inconsciamente per te sarà così. In effetti, molti giovani sono portati a rinunciare al progetto stesso di un legame irrevocabile e di una famiglia duratura”.
 
Francesco ha evidenziato la peculiarità del “matrimonio consacrato da Dio” che “custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare”. Per la qualcosa, “il seme cristiano della radicale uguaglianza tra i coniugi deve oggi portare nuovi frutti. La testimonianza della dignità sociale del matrimonio diventerà persuasiva proprio per questa via, la via della testimonianza che attrae, la via della reciprocità fra loro, della complementarietà fra loro”.
 
Ecco allora che il sacramento del matrimonio  “è un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre sé stessi e anche oltre la stessa famiglia. La vocazione cristiana ad amare senza riserve e senza misura è quanto, con la grazia di Cristo, sta alla base anche del libero consenso che costituisce il matrimonio”.
 
E ancora, il Vescovo di Roma si è soffermato su un ulteriore effetto dello  “sposarsi nel Signore” relativo alla  dimensione missionaria, e cioè che "gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa". Impegno non da poco, tanto che il Papa ha esclamato:  "Ci vuole coraggio per questo! Perciò quando io saluto i novelli sposi, dico: “Ecco i coraggiosi!”, perché ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa”.

sabato 2 maggio 2015

Complementarità, matrimonio e famiglia

Papa Francesco, sull’onda del cammino sinodale sulla Famiglia, ha deciso di dedicare durante quest’anno le meditazioni delle udienze del mercoledì   proprio al tema della famiglia. E così il Santo Padre ha parlato della madre,  del padre, dei figli dei fratelli, dei nonni, dei bambini.

All’udienza del 15 aprile scorso,   e a quella successiva,   il Vescovo di Roma si è soffermato sull’essere “maschio e femmina”, cioè sulla differenza e sulla complementarità tra l’uomo e la donna, partendo dal primo racconto della creazione (Gen 1,27). Il Papa, ricordando che l’uomo e la donna individualmente presi e come coppia sono immagine di Dio, ha evidenziato che “La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio”. E dunque “per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna”.
 
Evocando la teoria del gender e i rischi ad essa sottesi, il Pontefice ha detto:” La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita… Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza “. Francesco ha anche auspicato, proprio in nome della reciprocità fra uomini e donne, di fare di più in favore della donna nella società e nella stessa Chiesa, operando “con più creatività e audacia”.
 
Proseguendo col secondo racconto della creazione dell’essere umano (Gen 2), papa Bergoglio ha voluto mettere in luce la solitudine di Adamo nel giardino prima di "incontrare" Eva, per richiamare la necessità per l’uomo della reciprocità con la donna: “Quando finalmente Dio presenta la donna, l’uomo riconosce esultante che quella creatura, e solo quella, è parte di lui: «osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (2,23). Finalmente c’è un rispecchiamento, una reciprocità…La donna non è una “replica” dell’uomo; viene direttamente dal gesto creatore di Dio. L’immagine della “costola” non esprime affatto inferiorità o subordinazione, ma, al contrario, che uomo e donna sono della stessa sostanza e sono complementari e che hanno anche questa reciprocità. E il fatto che – sempre nella parabola – Dio plasmi la donna mentre l’uomo dorme, sottolinea proprio che lei non è in alcun modo una creatura dell’uomo, ma di Dio. Suggerisce anche un’altra cosa: per trovare la donna - e possiamo dire per trovare l’amore nella donna -, l’uomo prima deve sognarla e poi la trova” .
 
Tutto questo, è il caso di dirlo e il Papa non si tira indietro, con buona pace di quanto la storia ci testimonia con le distorsioni “patriarcali”, ovvero “con le molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe”, per giungere alla “strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica”. Pure su questo il Papa ha sollecitato una “un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza”, riportando “in onore il matrimonio e la famiglia!”, con la certezza che “Dio stesso cura e protegge il suo capolavoro”.

sabato 25 aprile 2015

A proposito di divorzio...breve

Dopo 45 anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento civile (Legge I° dicembre 1970 n. 898, detta “Baslini-Fortuna) è arrivato il cosiddetto divorzio breve, con l’approvazione in via definitiva della Camera dei Deputati, dopo che il Senato aveva apportato modifiche al relativo disegno di legge.
 
Le cronache ci dicono che il provvedimento ha visto favorevoli 398 deputati, contrari 30 e 14 astenuti. Una legge, dunque, che nasce con un’ampia maggioranza trasversale che va oltre quella governativa e che consta di soli tre articoli.
 
Premesso che la nuova legge si applica anche ai procedimenti in corso, saranno necessari, in caso di controversia tra i coniugi, dodici mesi fra la separazione (ossia dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale) e la richiesta per ottenere il divorzio, rispetto ai tre anni finora previsti; mentre bastano sei mesi nel caso di separazione consensuale. Viene altresì anticipato il momento dello scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi all’atto in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.
 
Per la verità non si tratta di una prima modifica alla legge sul divorzio. Intanto, i meno giovani, come chi scrive, ricordano l’epoca referendaria sul divorzio del 1974, in cui l’87 per cento degli italiani andarono a votare e i “no” ottennero il 59,30 per cento, i “sì” il 40,7. Successivamente , in particolare con la L. 74/1987 si ridussero i tempi necessari per arrivare alla sentenza definitiva.
 
 
A margine di questo traguardo parlamentare, tuttavia, s’impongono alcune considerazioni, che guardano alle premesse sociali dello stesso provvedimento. Dal film del ’61 “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi ad oggi tanta acqua è passata anche sotto i ponti del bel paese. Il tempo in cui l’adulterio era un reato, con l’aggravante se commesso da una donna, per cui c’era l’attenuante per il delitto d’onore, così come la violenza carnale poteva essere “emendata” se il reo si impegnava a sposare la vittima.
 
 
E allora, se è vero come è vero, che le leggi, frutto di scelte politiche, servono a regolare fenomeni che sono già presenti nella società, non possiamo non rilevare che la maggioranza degli italiani, in linea con l’occidente, abbia una visione del matrimonio per così dire contrattualistica che si può fare e disfare secondo il proprio volere.
 
Per dirla con Michele Brambilla , insomma,
"Ad esempio l’idea che c’è pure una bellezza nello stare insieme nonostante le difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. L’idea dunque che fare una famiglia è anche - pure qui l’anche è sottolineato - una storia di fatica, di sacrifici da compiere, di gesti e parole da perdonare, di rinunce, perfino di sopportazioni. Non è questione di chiedere l’eroismo. È questione di discernere fra il matrimonio-martirio, che nessuno vuole, e il matrimonio banalizzato, il matrimonio che si sta insieme finché si prova quello che si prova nei romanzi di Moccia, in un’eterna adolescenza. Chiunque si innamora prova il desiderio che quel che sta provando non finisca mai: e certo non si può esigere l’eternità dell’amore per legge, ma il «ti amo» dei tempi nostri, cioè a tempo determinato, magari a tutele crescenti, beh insomma, forse un po’ di fascino l’ha perso. Non si vuole ovviamente giudicare nessuno, solo constatare che oggi molto spesso ci si lascia alla prima difficoltà. Il divorzio breve, se giudicato in superficie, è certamente una legge utile, che semplifica molte situazioni che altrimenti si trascinerebbero per anni, con il loro codazzo di rancori. Se guardato un po’ più in profondità, è invece anche la spia di come siamo cambiati di fronte appunto a termini come fatica, sacrificio, rinunce, perdono, responsabilità, fedeltà a un impegno preso e a una parola data. Tutte cose che abbiamo smarrito non solo riguardo al matrimonio".

domenica 12 aprile 2015

“Misericordiosi come il Padre”


Ieri, vigilia di questa II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, papa Francesco ha consegnato, con la Lettera Apostolica Misericordiae Vultus , la bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, il cui motto sarà proprio l’espressione tratta dal Vangelo di Luca (6,36) “Misericordiosi come il Padre”.
 
Misericordia, dunque, tema tanto caro a questo Papa che lo ha scelto, evocando San Beda il venerabile, come proprio motto: “miserando atque eligendo”. Giubileo sulla misericordia che nasce, per il Pontefice, da un insopprimibile bisogno del credente di contemplarne il mistero, “fonte di gioia, di serenità e di pace” ed essendo “la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita… la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”.
 
Un Giubileo Straordinario della Misericordia, quindi, “come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti”. L’Anno Santo inizierà il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione, con l’apertura della Porta Santa da parte di Francesco, mentre la domenica successiva, Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma, e successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali.
 
C’è poi una novità voluta dal Papa, quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa , e cioè che “nella stessa domenica… in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale... a Roma così come nelle Chiese particolari”.
 
Non casuale la scelta della data, ricorrendo il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, per cui “La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento”. Proseguendo nella disamina delle tappe “L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. “In quel giorno –scrive papa Francesco - , chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi”.
 
Del resto, papa Bergoglio ricorda la sostanza della missione della Chiesa: “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia». Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza”. 
 
A tal proposito, il Santo Padre fa suoi i rilievi e le urgenze ecclesiali evidenziate da san Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia. Ed è per questo che "Misericordiosi come il Padre", deve diventare un programma di vita, ma per fare ciò occorre “recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita”, personale e comunitario, cosicché “dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia”.
 
Un'attenzione particolare, tra l’altro, il Papa la rivolge al sacramento della ministero sacerdotale della riconciliazione: “Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia”.
 
Un tempo annuale che non lascia alcuno “indifferente”, neppure quegli uomini e quelle donne lontani dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita criminale, organizzata o no e fonte di corruzione: “Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia”. Anche perché “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere”.
 
E ancora, non sono esclusi gli altri credenti: “La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione”.
 
Papa Francesco, infine, invita a lasciarsi “sorprendere da Dio”, che “non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita” .