Con il consueto discorso tenuto lo scorso 22 dicembre per la tradizionale presentazione degli auguri natalizi della Curia Romana, Papa Francesco ha chiuso un ideale trittico avente ad aggetto questo importante organismo mediante il quale “il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese” (can. 360 CIC).
Il Pontefice nel suo primo incontro del 2013 aveva messo in luce proprio le caratteristiche di quanti operano in Curia, quali la professionalità, il servizio e la santità della vita, indicando come modello da imitare la figura di san Giuseppe. In quello successivo del 2014 si è soffermato sulla necessità per la Curia di migliorarsi, anzi di curarsi da certe “malattie curiali”, arrivando ad enumerarne ben 15.
Nel 2015, nel contesto dell’Anno della Misericordia, ha dettato “un non esaustivo “catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa… un elenco che parte proprio da un’analisi acrostica della parola “misericordia”.
Quest’anno il Santo Padre è andato alle ragioni di fondo della riforma della Curia, perché “come per tutta la Chiesa, anche nella Curia il semper reformanda deve trasformarsi in una personale e strutturale conversione permanente”. A tal proposito, ha richiamato la presenza di “resistenze”, precisandone le diverse tipologie: “le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione. L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi, perché è un segno che il corpo è vivo. Tutto questo sta a dire che la riforma della Curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera - tanta preghiera! -, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno. E, per questo, preghiera, preghiera e preghiera”.
Papa Francesco ha, quindi, indicato i dodici principali criteri guida della riforma: “individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità”.
Tra gli altri, il criterio della pastoralità, per cui “L’impegno di tutto il personale della Curia deve essere animato da una pastoralità e da una spiritualità di servizio e di comunione, poiché questo è l’antidoto contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità. In questo senso il beato Paolo VI ammonì: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonistica e ritualistica, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione; di fratelli e di figli del Papa, che tutto fanno, ciascuno con rispetto all’altrui competenza e con senso di collaborazione, per servirlo nel suo servizio ai fratelli ed ai figli della Chiesa universale e della terra intera»”.
Così come per quello della cattolicità “È opportuno prevedere l’accesso a un numero maggiore di fedeli laici specialmente in quei Dicasteri dove possono essere più competenti dei chierici o dei consacrati. Di grande importanza è inoltre la valorizzazione del ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa e la loro integrazione nei ruoli-guida dei Dicasteri, con una particolare attenzione alla multiculturalità.”.