domenica 28 ottobre 2012

"Riconoscere" il Credo

Con l’Udienza generale del 17 ottobre scorso, Benedetto XVI ha avviato un nuovo ciclo di catechesi del mercoledì che svilupperà lungo tutto l’Anno della fede e avente per tema “le verità centrali della fede su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa, su tutta la realtà sociale e cosmica”. 

Interessante e pedagogico, come sempre, il metodo indicato dal Papa per approfondire e vivere “con maggiore coraggio” la propria fede oggi, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, che fa leva sul Simbolo della fede. “Ma dove troviamo la formula essenziale della fede? Dove troviamo le verità che ci sono state fedelmente trasmesse e che costituiscono la luce per la nostra vita quotidiana?"- si chiede Benedetto XVI, che ovviamente va oltre la domanda- "La risposta è semplice: nel Credo, nella Professione di Fede o Simbolo della fede, noi ci riallacciamo all’evento originario della Persona e della Storia di Gesù di Nazaret; si rende concreto quello che l’Apostolo delle genti diceva ai cristiani di Corinto: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1 Cor 15,3)”. 

Papa Benedetto insiste, evidenziando l’importanza di quello che si può dare per scontato, ma così non è ai tempi che viviamo: “Anche oggi abbiamo bisogno che il Credo sia meglio conosciuto, compreso e pregato. Soprattutto è importante che il Credo venga, per così dire, «riconosciuto». Conoscere, infatti, potrebbe essere un’operazione soltanto intellettuale, mentre «riconoscere» vuole significare la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo nel Credo e la nostra esistenza quotidiana, perché queste verità siano veramente e concretamente - come sempre sono state - luce per i passi del nostro vivere, acqua che irrora le arsure del nostro cammino, vita che vince certi deserti della vita contemporanea. Nel Credo si innesta la vita morale del cristiano, che in esso trova il suo fondamento e la sua giustificazione”. 

Questo per aiutare a prevenire ed evitare i rischi di “un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo”, che non può ridursi ad una religione «fai-da-te», perché oltretutto non è una “religione” ovvero un semplice progetto di vita, ma l’incontro “con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio”.

domenica 7 ottobre 2012

"Dio questo sconosciuto"


Non è cosa di tutti i giorni assistere ad un colloquio pubblico tra il presidente della Repubblica un Cardinale e per di più su un tema tanto impegnativo quanto coinvolgente sul piano personale: "Dio questo sconosciuto". Ebbene ciò è accaduto venerdì scorso ad Assisi davanti alla basilica inferiore di san Francesco tra Giorgio Napolitano e Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. L'incontro tra i due illustri interlocutori, moderati dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, ha aperto la sessione del Cortile dei Gentili, tenutasi appuntoil 5 e 6 ottobre nella città serafica. 

 Nel rappresentare le "ragioni" di chi crede e di chi non crede, Napolitano e Ravasi hanno dato da par loro la cifra di un incontro ad alto livello culturale fatto di riferimenti a letture comuni seppure mediate da esperienze di vita così diverse. Toccante un passaggio commosso del Presidente Napolitano, cui ha fatto specchio la cordiale condivisione del card. Ravasi, che ha ricordato la "base comune" data dall'umanità. Interessante l'esposizione del Presidente della Repubblica quando ha evocato lo spirito costruttivo dell'Assemblea Costituente, ove hanno trovato sintesi politica le diverse ispirazioni in vista del bene comune e dell'interesse generale.

Proprio quello di cui in questo tempo si avverte maggiormente la necessità, al netto del degrado morale e politico che affligge la nostra società. Il card. Ravasi a tal proposito ha ammonito come oggi domini l'amoralità, che,intrisa di indifferenza, non distingue tra bianco e nero, tra bene e male e culmina nell'orgoglio dell'immoralità. Un esempio edificante di dialogo franco ma scevro da banalizzazioni e pregiudizi.