Mentre è in corso alla Camera dei Deputati il dibattito sulla fiducia al governo Letta e imperversa la solita corsa agli spazi televisivi per cercare visibilità, condita da cinismo fondato sul nulla, s’impone qualche considerazione. Intanto, possiamo dire: finalmente c’è un governo. E non un governo qualsiasi ma l’unico possibile e con una sua base politica nonostante la sua costituzione derivi da un accordo tra forze eterogenee che rimangono strategicamente alternative. Un incontro tra queste e non altre di quelle presenti in Parlamento, perché solo queste si sono dette disponibili ad assumersi responsabilità per far fronte alla difficile situazione socio-economica che attraversa il Paese. Un incontro che fino adesso era precluso dall’impossibilità di ogni accordo tra Silvio Berlusconi e il centrosinistra senza il rischio di essere tacciato di “inciucio” ovvero di “tradimento” dai “puristi” di destra e sinistra con l’amplificazione dei rispettivi organi di informazione (giornali e siti web).
A dire il vero, poiché nessuno è nato ieri e meno che mai chi scrive, fino ad oggi ci siamo potuti permettere questo lusso dialettico in nome di sbandierate buone ragioni, fino a quando cioè non si sono rese indifferibili quelle riforme necessarie, in economia e nelle istituzioni, per far fronte in particolare alla crisi che ha spazzato via tutto un modo di produrre e lavorare. Proprio per amore della verità bisogna riconoscere che le colpe dei ritardi vanno ascritte si alla colpevole politica fin qui fatta, ma vanno estese alla classe dirigente italiana tutta e quindi anche a imprenditori, media, cultura e sindacato.
Con il suo discorso al Parlamento nel giorno del giuramento per il tanto auspicato secondo incarico, il presidente Napolitano ha direttamente messo sotto accusa la divisione manichea su cui si era avvitata certa politica, refrattaria a prendere doveroso atto della realtà determinata dal risultato elettorale del febbraio scorso.
Il presidente della Repubblica è stato chiaro nel richiamare alla memoria la situazione di fatto: “Sulla base dei risultati elettorali - di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no - non c'è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale…l fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione - fino allo smarrimento dell'idea stessa di convivenza civile - come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.Lo dicevo già sette anni fa in quest'aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino "il tempo della maturità per la democrazia dell'alternanza" : che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità”.
Per questo motivo il capo dello Stato ha richiamato tutti, compreso Beppe Grillo e il suo M5S, a una collaborazione pur temporanea.
Davanti al «no» di Grillo non restava che l’intesa Pd-Pdl- Scelta Civica.
Venendo al dettaglio, il carattere politico dell’Esecutivo, presieduto da Enrico Letta, vede solo tre “tecnici” su 21 ministri. Nove i "politici" in quota Pd, mentre dal centrodestra ne arrivano cinque. Tre le personalità indicate da Scelta civica, oltre alla radicale Emma Bonino. Vi è poi un "record di presenza femminile" basato su un terzo del totale della compagine ministeriale he vede appunto sette donne. E ancora altra novità di spessore, al di là di certi schiamazzi leghisti, si segnala la presenza del primo ministro di colore della storia repubblicana: Cecile Kyenge, deputato del Pd, a cui è stato assegnato il ministero senza portafoglio dell'Integrazione.
Già si conosce il programma di questo Governo, che ha preso un impegno fondamentale. Andare oltre l’agenda Monti, dedicandosi prevalentemente alla fatica di propiziare la “risalita”.
Purtroppo ieri, proprio mentre i Ministri giuravano davanti al presidente Napolitano, i sampietrini davanti a Palazzo Chigi si sono intrisi del sangue del brigadiere dei carabinieri Giuseppe Giangrande, gravemente ferito insieme ad un altro militare da un attentatore, avendo solo la colpa di difendere la nostra libertà di cittadini. Mi unisco a quanti richiamano tutti e ciascuno a dare l’unica risposta pronta e duratura di fronte ad episodi del genere:fare insieme, ogni giorno, come Giangrande, il nostro dovere.