venerdì 26 giugno 2015

Le premesse del magistero pontificio alla Laudato sı’

Nell’approcciare la seconda Enciclica del pontificato di Francesco “Laudato sı', sulla cura della casa comune”, è utile tenere presente quanto emerge dalla tradizione cristiana su un tema di tipo sociale ed ecologico, oltre che di fede, e cioè la tutela dell'ambiente e del Creato.
 
La tradizione cristiana, infatti, non separa giustizia ed ecologia, condivisione della terra e rispetto della terra, attenzione alla vita dell’ambiente e cura per la qualità della vita umana. E su questa linea, denunciandone gli abusi, è intervenuto anche il magistero della Chiesa negli ultimi cinquant’anni.
 
Del resto, papa Bergoglio procede proprio da ciò nell’introdurci in questo documento (cfr. nn. 3-6), destinato a rimanere pietra miliare del magistero sociale della Chiesa, ricordando peraltro “Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni”.
 
 A proposito dei precedenti, il Santo Padre ricorda: “Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva "nonché a tutti gli uomini di buona volontà".
Nel 1971, il beato papa Paolo VI al n. 21 della Octogesima Adveniens, affermava:
Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune”.
Lo stesso Pontefice parlò alla FAO , evocando “una vera catastrofe ecologica “ e sottolineando “ l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità” .

San Giovanni Paolo II nella sua prima Enciclica, Redemptor hominis,  del 1979 al n. 15 osservò:

 Questo stato di minaccia per l'uomo, da parte dei suoi prodotti, ha varie direzioni e vari gradi di intensità. Sembra che siamo sempre più consapevoli del fatto che lo sfruttamento della terra, del pianeta su cui viviamo, esiga una razionale ed onesta pianificazione. Nello stesso tempo, tale sfruttamento per scopi non soltanto industriali, ma anche militari, lo sviluppo della tecnica non controllato né inquadrato in un piano a raggio universale ed autenticamente umanistico, portano spesso con sé la minaccia all'ambiente naturale dell'uomo, lo alienano nei suoi rapporti con la natura, lo distolgono da essa. L'uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che l'uomo comunicasse con la natura come «padrone» e «custode» intelligente e nobile, e non come «sfruttatore» e «distruttore» senza alcun riguardo.”
Il Santo Papa successivamente invitò ad una conversione ecologica globale, mentre con la Enciclica Sollicitudo rei socialis del 1987 ha trattato la questione ecologica in termini di crisi morale e al n. 34 ha scritto:

Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all'ordine che la contraddistingue, chiamavano il «cosmo». Anche tali realtà esigono rispetto, in virtù di una triplice considerazione, su cui giova attentamente riflettere. La prima consiste nella convenienza di prendere crescente consapevolezza che non si può fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati - animali, piante, elementi naturali -come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche. Al contrario, occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo. La seconda considerazione, invece, si fonda sulla costatazione, si direbbe più pressante, della limitazione delle risorse naturali, alcune delle quali non sono, come si dice, rinnovabili. Usarle come se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la generazione presente soprattutto per quelle future. La terza considerazione si riferisce direttamente alle conseguenze che un certo tipo di sviluppo ha sulla qualità della vita nelle zone industrializzate. Sappiamo tutti che risultato diretto o indiretto dell'industrializzazione è, sempre più di frequente, la contaminazione dell'ambiente, con gravi conseguenze per la salute della popolazione. Ancora una volta risulta evidente che lo sviluppo, la volontà di pianificazione che lo governa, l'uso delle risorse e la maniera di utilizzarle non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza dubbio limiti all'uso della natura visibile. Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di «usare e abusare», o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di «mangiare il frutto dell'albero» (Gen 2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni-relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata -, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo”.
Nella Enciclica Centesimus annus del 1991 ai nn. 37-38 dice:

Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future. Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica «ecologia umana». Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un'«ecologia sociale» del lavoro. L'uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza”.
Benedetto XVI, con più matura consapevolezza ecologica, ha fatto proprie, sviluppandole, le istanze del suo predecessore nella Enciclica Caritas in veritate sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità del 2009 ai nn. 48-52, ricordando in particolare:
 
“La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come un'ecologia dell'uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l'« ecologia umana » [124] è rispettata dentro la società, anche l'ecologia ambientale ne trae beneficio. Come le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l'indebolimento di una espone a rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura… Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell'ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l'ambiente e danneggia la società”.
Affermava ancora Benedetto XVI nella Giornata per la pace il 1° gennaio 2007:

Accanto all'ecologia della natura c'è dunque un'ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede una ”ecologia sociale”. E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l'ecologia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L'una e l'altra presuppongono la pace con Dio. La poesia-preghiera di San Francesco, nota anche come « Cantico di Frate Sole », costituisce un mirabile esempio — sempre attuale — di questa multiforme ecologia della pace”.
Interessante risulta, inoltre, quanto detto da Benedetto XVI nell’Udienza del 26 agosto 2009 , riprendendo la Caritas in veritate:

Il creato, materia strutturata in modo intelligente da Dio, è affidato dunque alla responsabilità dell’uomo, il quale è in grado di interpretarlo e di rimodellarlo attivamente, senza considerarsene padrone assoluto. L’uomo è chiamato piuttosto ad esercitare un governo responsabile per custodirlo, metterlo a profitto e coltivarlo, trovando le risorse necessarie per una esistenza dignitosa di tutti.