venerdì 28 settembre 2012

"Spendersi" per l'amico

Al tempo di Facebook in cui basta un click per definirsi amici, parlare dell’amicizia può sembrare pleonastico. E invece, senza presunzione, serve perché aiuta a riscoprire un valore di sempre. 

Una volta qualcuno distingueva tra amici e conoscenti, amando precisare la distinzione. Così come c’era chi mostrava le dita di una mano per indicare che erano abbondanti per enumerare i suoi amici. 

 In fondo l’amicizia, quella vera, comporta una grande responsabilità, quella di prendersi cura dell’amico, che ci si senta, in qualche modo, custodi del suo cuore, che ci si preoccupi di lui. In poche parole , che ci si faccia in quattro per lui. Proprio l'affetto, il tempo, le energie, il pensiero, che si "spendono" per l'amico sono la riprova di quanto l'amico stesso sia importante. 

 Personalmente proprio qualche giorno fa ho avuto modo di condividere spazi di amicizia altrui che sono diventati miei, edificandomi. 

E mi sono ritrovato con S. Agostino : “Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio. Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi?".

mercoledì 19 settembre 2012

Educarsi alla prossimità

Nella società "veloce" sembra non esserci tempo per l'altro. Da ciò la difficoltà sempre più diffusa di vivere amicizie vere, profonde, con la conseguente situazione di progressivo isolamento, di appartamentare la propria vita. 

E invece c'è bisogno di valorizzare ogni presenza che incrociamo nella quotidianità, anche col semplice gesto di accorgersi di essa, ossia di alzare lo sguardo, ritraendolo dalla visione del proprio ombelico. Per questo è opportuno creare luoghi in cui ciascuno possa esprimersi ed essere ascoltato. Ma ciò comporta anche un impegno ad aggiornarsi spiritualmente e culturalmente, in modo da osservare la realtà con spirito critico e affrontarla in ogni ambito con una coscienza formata, che permetta di stare accanto ad uomini e donne di questo tempo attraverso il confronto e l'accoglienza.

giovedì 6 settembre 2012

La giovinezza della vecchiaia

Da qualche giorno (il 4 di questo mese) sono entrato nel “club” dei sessantenni. Una bella età tutto sommato, in cui il tempo passato è certamente di più di ciò che rimane davanti.
“ Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo ” (Sal 90 [89], 10).

Settant'anni erano tanti al tempo in cui il Salmista scriveva queste parole, e non erano in molti ad oltrepassarli; oggi, grazie ai progressi della medicina nonché alle migliorate condizioni sociali ed economiche, in molte regioni del mondo la vita si è notevolmente allungata. Resta, però, sempre vero che gli anni passano in fretta; il dono della vita, nonostante la fatica e il dolore che la segnano, è troppo bello e prezioso perché ce ne possiamo stancare".
 
Questo l’incipit della Lettera che nel 1999 il beato Giovanni Paolo II rivolse agli anziani. E’ vero, ancora di più oggi, dopo quasi tre lustri di tempo dal documento pontificio, che a questa età ancora rimane da fare, bisogna cioè essere attivi (riforma Fornero docet). E questo risulta giusto alla luce delle mutate condizioni socio-economiche (allungamento della speranza di vita, decremento demografico, ecc.). Ma non solo. 

Per la Parola di Dio l'anzianità non è proprio un tempo di decadimento, come ammonisce san Paolo: " Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione, ci produce un sempre più grande, smisurato, peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiche le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne"(2Cor. 4,16-18). 

Nell’A.T. la vecchiaia è corona del giusto ( Pr 10,27 ), per cui "I giusti nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi" ( Sal 92,15 ), come Abramo e gli altri patriarchi amici di Dio. E così il giusto muore "sazio di giorni" ( Gen 25,8 ) cosciente che la sua vita è stata piena ( Sir 44,14-15 ). Esemplare la nascita di Isacco da un uomo vecchio e da una donna sterile e anch’ella vecchia, con cui si manifesta la potenza di Dio, dove l’uomo è ricondotto a credere che solo Dio è la sorgente della vita e nessun altro. E ancora nel corpo di Abramo, segno di morte, Dio si rivela sorgente di vita, segno di una nuova creazione che avverrà per i credenti nella Pasqua di Gesù, quando Dio risuscita il corpo senza vita di Gesù (cfr. Rm 4,17-21). E allora con Karl Barth ricordiamo che “La vecchiaia si offre all’uomo come la possibilità straordinaria di vivere non per dovere, ma per grazia”, e dire così grazie per il passato e si al futuro.

domenica 2 settembre 2012

Un gesuita, un professore, un vescovo, un cardinale, ma soprattutto un uomo di Dio, padre della Chiesa del nostro tempo

Le cronache ci dicono che decine di migliaia di persone, credenti e non credenti provenienti da tutta Italia, stanno rendendo omaggio per l’ultimo saluto al card. Martini nel Duomo di Milano.

 La mole della variegata affluenza conferma la portata della testimonianza di cristiano resa da quest’uomo di Chiesa nelle sue diverse fasi della vita. Fasi che il card. Ravasi ha descritto, evocando una parabola indiana, come le “quattro stagioni”: il tempo dell’imparare e dell’ascolto, il tempo dell’insegnamento, il tempo del ritiro nel silenzio e il tempo del mendicante. 

Guardando al tempo dell'insegnamento, si ricorda che il card. Martini fu a lungo docente a Roma di critica testuale biblica, divenendone uno dei maggiori esperti a livello internazionale. "Martini" -dice Ravasi- "ha saputo presentare sia il Dio glorioso del Sinai e della Pasqua, ma anche soprattutto con la sua vicenda finale, anche il Dio muto del Calvario che non risponde neppure al Figlio. Ha indicato a uomini e donne di buona volontà il Dio della parola luminosa, e il Dio silenzioso che molti credono sia assente o inesistente, mentre è solo un mistero altissimo da scoprire". E ha fatto ciò con la nitidezza del linguaggio, di cui Vito Mancuso ricorda la peculiarità, in quanto "lontano dalla retorica ecclesiastica, fatto di parole semplici ma severe, comprensibili ma profonde, riferite sempre alle cose e alle situazioni e mai dette per se stesse, per far colpo sull’uditorio".

Una chiarezza che nasce da un amore per la Parola, per cui si può dire, con Enzo Bianchi , "Dall’ascolto attento, della Parola e dell’altro, nasceva nel card. Martini la capacità di gesti profetici, la sollecitudine per la chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti fino a considerarli propri maestri cui affidare cattedre per la ricerca del senso delle cose e della dignità delle persone". 
Libertà interiore, ascolto dell’altro, ascolto di Dio, queste le tre componenti che mons. Bruno Forte richiama come presenti e fuse nel Cardinale in modo esemplare. 

Dal 1979 al 2002 il card. Martini è stato pastore di una delle diocesi più vaste e importanti del mondo: Milano. E nell’attività pastorale trasfuse i frutti di tale amore, caratterizzando il suo magistero episcopale sul piano del “farsi prossimo” e del dialogo. Segno particolare di quest’ultimo aspetto è stata certamente l’esperienza della Cattedra dei non credenti, modello di confronto col mondo laico. Massimo Cacciari , che collaborò col cardinale in tale iniziativa, precisa: "La fede che Martini ha testimoniato nella sua vita e ha reso palese anche su quella cattedra è la fede che responsabilizza…quella che è in grado di rispondere. E rispondere a tutte le domande del secolo, al di là di ogni astratta separatezza tra intelletto e ragione, tra credenza e non credenza. Una fede adulta che comprende il secolo e che in quanto fede è capace di dare risposte concrete". 

Ma in questi giorni di riconoscimenti e di lodi postume al card. Martini non manncano le note stonate, effetto di una scarsa conoscenza soprattutto della Chiesa e della sua natura. Accade ciò quando si addita lo stesso card. Martini come esponente “progressista” della Chiesa, contrapponendolo ai “conservatori” dal Papa in giù. E addirittura si parla di sconfitta dello stesso Martini, usando categorie sociologiche assolutamente estranee alla natura teandrica della Chiesa. E comunque, deve rimanere chiara una cosa, opportunamente precisata dal teologo Pierangelo Sequeri , che "il primo erede delle parole di Carlo Maria Martini è, di diritto, la Chiesa. Nessuno, meglio della Chiesa, sa che cosa fare di questa eredità, e con questa eredità. La Chiesa, custode della Parola di Dio, discerne la sua tradizione. E sa che c’è un solo Maestro. Anche questo rispetto e questa obbedienza ecclesiale ereditiamo da Martini. La parola “discernimento” è diventata famosa proprio come una cifra caratteristica del suo insegnamento. Essa rimanda, per definizione, alla necessità di non farci presuntuose controfigure dell’autorevolezza della Parola di Dio, fronteggiando la Chiesa. Noi siamo parte, affettuosa e solidale, del discernimento della Chiesa. Non lo rendiamo più difficile, lo agevoliamo con le mille risorse dell’intelligenza di agape (1Cor 13, 4–13)".