domenica 24 maggio 2015

Martirio, ministero, missione

La Cei ha chiesto di dedicare la Veglia di Pentecoste ai “martiri nostri contemporanei”, ai cristiani perseguitati, vessati e uccisi a causa della fede in Cristo e fare proprio il monito a “rompere il muro dell’indifferenza e del cinismo”. E così è stato ieri notte con una risposta che da nord a sud ha unito la Chiesa italiana.
 
Ad Assisi, nella cattedrale di san Rufino, il vescovo diocesano, mons. Domenico Sorrentino, nella sua omelia ha proprio esordito evocando il “martirio” del nostro tempo, che vede vittime per la fede tanti fratelli cristiani. Un martirio per noi attualmente lontano, ma che potrebbe diventare prossimo e di fronte al quale bisogna tenersi pronti da cristiani ad accettarlo.
 
Il presule di Assisi-Nocera U.-Gualdo T. si è poi richiamato al concetto di “ministero”, essendo la veglia di Pentecoste, per prassi ecclesiale, l’occasione per il conferimento dei ministeri istituiti di lettore e di accolito, nonché per ricevere il mandato di collaboratore al servizio della Parola e di ministro straordinario dell’Eucaristia. Al riguardo, si ricorda che nel 1973 il beato Paolo VI pubblicò la lettera apostolica Ministeria quaedam, stabilendo i ministeri laicali di lettore e di accolito, da conferire a tutti i candidati ai sacri ordini. La disciplina della materia è stata poi recepita con il Codice di diritto canonico del 1983. Il can. 230 § 1 in particolare statuisce: “I laici di sesso maschile, che abbiano l'età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa”.
Detti ministeri, tuttavia, non esauriscono quelle funzioni che la Chiesa riconosce sulla base della vocazione battesimale dei fedeli laici, uomini e donne, espressa in una forma non generica di apostolato (cfr. AA, 10) e corrispondente ai fini ecclesiali propri della comunità cristiana. Funzioni che trovano nell’ambito parrocchiale la loro specifica attuazione: catechisti, animatori della carità, lettori della Parola nella liturgia, ministri della comunione eucaristica, animatori della liturgia, incaricati per la preparazione degli ambienti dove si svolge il culto. Il legislatore riconosce, dunque, che all’interno della celebrazione eucaristica trovano la loro primaria collocazione alcune funzioni che si configurano tramite un incarico temporaneo (can 230 § 2), oppure come supplenza ad alcuni degli uffici dei lettori e degli accoliti (can 230 § 3).
 
Infine, mons. Sorrentino si è soffermato sulla “missione” affidata da Cristo redentore alla Chiesa, e dunque ad ogni fedele, di diffondere il Vangelo, affinché sia fatta la volontà del Padre. Puntuale, perciò, l’ammonizione del vescovo ad interrogarsi, con lo sguardo al cenacolo di Gerusalemme, a che punto è la propria ”Pentecoste”, qui ed ora.

domenica 17 maggio 2015

Famiglia, realtà concreta da vivere nella gratuità dell’amore complementare

La famiglia il tema della 49esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che la Chiesa celebra oggi e per la quale il papa Francesco ha indirizzato il consueto Messaggio dal titolo "Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell'incontro nella gratuità dell'amore". 

 La prima comunicazione è quella della vita che nasce dalla differenza di maschio e femmina, e si trasmette tra le generazioni, attraverso l’ineludibile incontro tra il maschile e femminile che dà origine a qualcosa di nuovo e irripetibile nel segno di un dono ricevuto e non di un mero prodotto umano. 

Papa Francesco scrive:

“Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un “grembo”, che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella “lingua materna”, cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione”.
Per questo oggi, in presenza degli “irrinunciabili media più moderni”, c’è bisogno di “reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione “, orientando così il “rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse”. 

Al riguardo, il Pontefice aggiunge: 
“L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme”. E infatti, in conclusione Francesco afferma: “I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile”.

sabato 9 maggio 2015

La rotta dell’amore

Nelle ultime due udienze del mercoledì, papa Francesco ha toccato il tema del matrimonio alla luce dell’amore “per sempre”.
 
Il Pontefice non ha omesso di considerare la realtà odierna  che privilegia la “cultura del provvisorio”, per cui “le persone che si sposano sono sempre di meno; questo è un fatto: i giovani non vogliono sposarsi. In molti Paesi aumenta invece il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli. La difficoltà a restare assieme – sia come coppia, sia come famiglia – porta a rompere i legami con sempre maggiore frequenza e rapidità, e proprio i figli sono i primi a portarne le conseguenze. Ma pensiamo che le prime vittime, le vittime più importanti, le vittime che soffrono di più in una separazione sono i figli. Se sperimenti fin da piccolo che il matrimonio è un legame “a tempo determinato”, inconsciamente per te sarà così. In effetti, molti giovani sono portati a rinunciare al progetto stesso di un legame irrevocabile e di una famiglia duratura”.
 
Francesco ha evidenziato la peculiarità del “matrimonio consacrato da Dio” che “custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare”. Per la qualcosa, “il seme cristiano della radicale uguaglianza tra i coniugi deve oggi portare nuovi frutti. La testimonianza della dignità sociale del matrimonio diventerà persuasiva proprio per questa via, la via della testimonianza che attrae, la via della reciprocità fra loro, della complementarietà fra loro”.
 
Ecco allora che il sacramento del matrimonio  “è un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre sé stessi e anche oltre la stessa famiglia. La vocazione cristiana ad amare senza riserve e senza misura è quanto, con la grazia di Cristo, sta alla base anche del libero consenso che costituisce il matrimonio”.
 
E ancora, il Vescovo di Roma si è soffermato su un ulteriore effetto dello  “sposarsi nel Signore” relativo alla  dimensione missionaria, e cioè che "gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa". Impegno non da poco, tanto che il Papa ha esclamato:  "Ci vuole coraggio per questo! Perciò quando io saluto i novelli sposi, dico: “Ecco i coraggiosi!”, perché ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa”.

sabato 2 maggio 2015

Complementarità, matrimonio e famiglia

Papa Francesco, sull’onda del cammino sinodale sulla Famiglia, ha deciso di dedicare durante quest’anno le meditazioni delle udienze del mercoledì   proprio al tema della famiglia. E così il Santo Padre ha parlato della madre,  del padre, dei figli dei fratelli, dei nonni, dei bambini.

All’udienza del 15 aprile scorso,   e a quella successiva,   il Vescovo di Roma si è soffermato sull’essere “maschio e femmina”, cioè sulla differenza e sulla complementarità tra l’uomo e la donna, partendo dal primo racconto della creazione (Gen 1,27). Il Papa, ricordando che l’uomo e la donna individualmente presi e come coppia sono immagine di Dio, ha evidenziato che “La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio”. E dunque “per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna”.
 
Evocando la teoria del gender e i rischi ad essa sottesi, il Pontefice ha detto:” La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita… Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza “. Francesco ha anche auspicato, proprio in nome della reciprocità fra uomini e donne, di fare di più in favore della donna nella società e nella stessa Chiesa, operando “con più creatività e audacia”.
 
Proseguendo col secondo racconto della creazione dell’essere umano (Gen 2), papa Bergoglio ha voluto mettere in luce la solitudine di Adamo nel giardino prima di "incontrare" Eva, per richiamare la necessità per l’uomo della reciprocità con la donna: “Quando finalmente Dio presenta la donna, l’uomo riconosce esultante che quella creatura, e solo quella, è parte di lui: «osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (2,23). Finalmente c’è un rispecchiamento, una reciprocità…La donna non è una “replica” dell’uomo; viene direttamente dal gesto creatore di Dio. L’immagine della “costola” non esprime affatto inferiorità o subordinazione, ma, al contrario, che uomo e donna sono della stessa sostanza e sono complementari e che hanno anche questa reciprocità. E il fatto che – sempre nella parabola – Dio plasmi la donna mentre l’uomo dorme, sottolinea proprio che lei non è in alcun modo una creatura dell’uomo, ma di Dio. Suggerisce anche un’altra cosa: per trovare la donna - e possiamo dire per trovare l’amore nella donna -, l’uomo prima deve sognarla e poi la trova” .
 
Tutto questo, è il caso di dirlo e il Papa non si tira indietro, con buona pace di quanto la storia ci testimonia con le distorsioni “patriarcali”, ovvero “con le molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe”, per giungere alla “strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica”. Pure su questo il Papa ha sollecitato una “un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza”, riportando “in onore il matrimonio e la famiglia!”, con la certezza che “Dio stesso cura e protegge il suo capolavoro”.