martedì 25 dicembre 2012

Dalle tenebre alla Luce

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.  (Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa)

sabato 15 dicembre 2012

La luce vera

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta… Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità…Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.(Gv 1, 4-5.9.14.18).

lunedì 3 dicembre 2012

Tempo di speranza


Ieri liturgicamente si è entrati in Avvento, tempo di attesa vigilante verso il Natale. Tempo di speranza, per cui sento di formulare un auspicio e un augurio. Quanto sarebbe bello se ci fossero meno luminarie e più Luce nel cuore di ciascuno.

domenica 4 novembre 2012

"La fede della Chiesa"

Cristo si, la Chiesa no. Non è raro di questi tempi sentire questa affermazione anche da parte di credenti battezzati nella Chiesa cattolica che non riescono più a cogliere il senso di un’appartenenza salvifica. Benedetto XVI, il papa teologo-catechista, proseguendo il “cammino di meditazione sulla fede cattolica” durante l’Udienza generale del mercoledì, ha affrontato proprio il tema della fede della Chiesa.

 Il Santo Padre in particolare ha evidenziato l’essenzialità della Chiesa nella missione di salvezza per ciascuno di cui la stessa è portatrice per mandato divino. Essenzialità che deriva dal carattere intrinsecamente comunitario della fede, sebbene assunta individualmente. Il Papa spiega: “Certo, l’atto di fede è un atto eminentemente personale, che avviene nell’intimo più profondo e che segna un cambiamento di direzione, una conversione personale: è la mia esistenza che riceve una svolta, un orientamento nuovo”. 

Per cui quando si afferma “Credo”, ricorda il Papa “ questo mio credere non è il risultato di una mia riflessione solitaria, non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un dialogo, in cui c’è un ascoltare, un ricevere e un rispondere; è il comunicare con Gesù che mi fa uscire dal mio «io» racchiuso in me stesso per aprirmi all’amore di Dio Padre. E’ come una rinascita in cui mi scopro unito non solo a Gesù, ma anche a tutti quelli che hanno camminato e camminano sulla stessa via; e questa nuova nascita, che inizia con il Battesimo, continua per tutto il percorso dell’esistenza. Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce così nella moltitudine dei credenti in una comunione che non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio, che in Se stesso è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore trinitario. La nostra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede dell’unica Chiesa”. 

D’altra parte, dice Benedetto XVI: “Alla domenica, nella Santa Messa, recitando il «Credo», noi ci esprimiamo in prima persona, ma confessiamo comunitariamente l’unica fede della Chiesa. Quel «credo» pronunciato singolarmente si unisce a quello di un immenso coro nel tempo e nello spazio, in cui ciascuno contribuisce, per così dire, ad una concorde polifonia nella fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo chiaro così: «”Credere” è un atto ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. “Nessuno può dire di avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa come Madre” [san Cipriano]» (n. 181). Quindi la fede nasce nella Chiesa, conduce ad essa e vive in essa. Questo è importante ricordarlo”. 

Altrettanto interessante la conclusione di questa catechesi del Papa: “La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice quindi la sua stessa natura. Abbiamo bisogno della Chiesa per avere conferma della nostra fede e per fare esperienza dei doni di Dio: la sua Parola, i Sacramenti, il sostegno della grazia e la testimonianza dell’amore. Così il nostro «io» nel «noi» della Chiesa potrà percepirsi, ad un tempo, destinatario e protagonista di un evento che lo supera: l’esperienza della comunione con Dio, che fonda la comunione tra gli uomini”.

domenica 28 ottobre 2012

"Riconoscere" il Credo

Con l’Udienza generale del 17 ottobre scorso, Benedetto XVI ha avviato un nuovo ciclo di catechesi del mercoledì che svilupperà lungo tutto l’Anno della fede e avente per tema “le verità centrali della fede su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa, su tutta la realtà sociale e cosmica”. 

Interessante e pedagogico, come sempre, il metodo indicato dal Papa per approfondire e vivere “con maggiore coraggio” la propria fede oggi, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, che fa leva sul Simbolo della fede. “Ma dove troviamo la formula essenziale della fede? Dove troviamo le verità che ci sono state fedelmente trasmesse e che costituiscono la luce per la nostra vita quotidiana?"- si chiede Benedetto XVI, che ovviamente va oltre la domanda- "La risposta è semplice: nel Credo, nella Professione di Fede o Simbolo della fede, noi ci riallacciamo all’evento originario della Persona e della Storia di Gesù di Nazaret; si rende concreto quello che l’Apostolo delle genti diceva ai cristiani di Corinto: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1 Cor 15,3)”. 

Papa Benedetto insiste, evidenziando l’importanza di quello che si può dare per scontato, ma così non è ai tempi che viviamo: “Anche oggi abbiamo bisogno che il Credo sia meglio conosciuto, compreso e pregato. Soprattutto è importante che il Credo venga, per così dire, «riconosciuto». Conoscere, infatti, potrebbe essere un’operazione soltanto intellettuale, mentre «riconoscere» vuole significare la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo nel Credo e la nostra esistenza quotidiana, perché queste verità siano veramente e concretamente - come sempre sono state - luce per i passi del nostro vivere, acqua che irrora le arsure del nostro cammino, vita che vince certi deserti della vita contemporanea. Nel Credo si innesta la vita morale del cristiano, che in esso trova il suo fondamento e la sua giustificazione”. 

Questo per aiutare a prevenire ed evitare i rischi di “un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo”, che non può ridursi ad una religione «fai-da-te», perché oltretutto non è una “religione” ovvero un semplice progetto di vita, ma l’incontro “con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio”.

domenica 7 ottobre 2012

"Dio questo sconosciuto"


Non è cosa di tutti i giorni assistere ad un colloquio pubblico tra il presidente della Repubblica un Cardinale e per di più su un tema tanto impegnativo quanto coinvolgente sul piano personale: "Dio questo sconosciuto". Ebbene ciò è accaduto venerdì scorso ad Assisi davanti alla basilica inferiore di san Francesco tra Giorgio Napolitano e Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. L'incontro tra i due illustri interlocutori, moderati dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, ha aperto la sessione del Cortile dei Gentili, tenutasi appuntoil 5 e 6 ottobre nella città serafica. 

 Nel rappresentare le "ragioni" di chi crede e di chi non crede, Napolitano e Ravasi hanno dato da par loro la cifra di un incontro ad alto livello culturale fatto di riferimenti a letture comuni seppure mediate da esperienze di vita così diverse. Toccante un passaggio commosso del Presidente Napolitano, cui ha fatto specchio la cordiale condivisione del card. Ravasi, che ha ricordato la "base comune" data dall'umanità. Interessante l'esposizione del Presidente della Repubblica quando ha evocato lo spirito costruttivo dell'Assemblea Costituente, ove hanno trovato sintesi politica le diverse ispirazioni in vista del bene comune e dell'interesse generale.

Proprio quello di cui in questo tempo si avverte maggiormente la necessità, al netto del degrado morale e politico che affligge la nostra società. Il card. Ravasi a tal proposito ha ammonito come oggi domini l'amoralità, che,intrisa di indifferenza, non distingue tra bianco e nero, tra bene e male e culmina nell'orgoglio dell'immoralità. Un esempio edificante di dialogo franco ma scevro da banalizzazioni e pregiudizi.

venerdì 28 settembre 2012

"Spendersi" per l'amico

Al tempo di Facebook in cui basta un click per definirsi amici, parlare dell’amicizia può sembrare pleonastico. E invece, senza presunzione, serve perché aiuta a riscoprire un valore di sempre. 

Una volta qualcuno distingueva tra amici e conoscenti, amando precisare la distinzione. Così come c’era chi mostrava le dita di una mano per indicare che erano abbondanti per enumerare i suoi amici. 

 In fondo l’amicizia, quella vera, comporta una grande responsabilità, quella di prendersi cura dell’amico, che ci si senta, in qualche modo, custodi del suo cuore, che ci si preoccupi di lui. In poche parole , che ci si faccia in quattro per lui. Proprio l'affetto, il tempo, le energie, il pensiero, che si "spendono" per l'amico sono la riprova di quanto l'amico stesso sia importante. 

 Personalmente proprio qualche giorno fa ho avuto modo di condividere spazi di amicizia altrui che sono diventati miei, edificandomi. 

E mi sono ritrovato con S. Agostino : “Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio. Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi?".

mercoledì 19 settembre 2012

Educarsi alla prossimità

Nella società "veloce" sembra non esserci tempo per l'altro. Da ciò la difficoltà sempre più diffusa di vivere amicizie vere, profonde, con la conseguente situazione di progressivo isolamento, di appartamentare la propria vita. 

E invece c'è bisogno di valorizzare ogni presenza che incrociamo nella quotidianità, anche col semplice gesto di accorgersi di essa, ossia di alzare lo sguardo, ritraendolo dalla visione del proprio ombelico. Per questo è opportuno creare luoghi in cui ciascuno possa esprimersi ed essere ascoltato. Ma ciò comporta anche un impegno ad aggiornarsi spiritualmente e culturalmente, in modo da osservare la realtà con spirito critico e affrontarla in ogni ambito con una coscienza formata, che permetta di stare accanto ad uomini e donne di questo tempo attraverso il confronto e l'accoglienza.

giovedì 6 settembre 2012

La giovinezza della vecchiaia

Da qualche giorno (il 4 di questo mese) sono entrato nel “club” dei sessantenni. Una bella età tutto sommato, in cui il tempo passato è certamente di più di ciò che rimane davanti.
“ Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo ” (Sal 90 [89], 10).

Settant'anni erano tanti al tempo in cui il Salmista scriveva queste parole, e non erano in molti ad oltrepassarli; oggi, grazie ai progressi della medicina nonché alle migliorate condizioni sociali ed economiche, in molte regioni del mondo la vita si è notevolmente allungata. Resta, però, sempre vero che gli anni passano in fretta; il dono della vita, nonostante la fatica e il dolore che la segnano, è troppo bello e prezioso perché ce ne possiamo stancare".
 
Questo l’incipit della Lettera che nel 1999 il beato Giovanni Paolo II rivolse agli anziani. E’ vero, ancora di più oggi, dopo quasi tre lustri di tempo dal documento pontificio, che a questa età ancora rimane da fare, bisogna cioè essere attivi (riforma Fornero docet). E questo risulta giusto alla luce delle mutate condizioni socio-economiche (allungamento della speranza di vita, decremento demografico, ecc.). Ma non solo. 

Per la Parola di Dio l'anzianità non è proprio un tempo di decadimento, come ammonisce san Paolo: " Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione, ci produce un sempre più grande, smisurato, peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiche le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne"(2Cor. 4,16-18). 

Nell’A.T. la vecchiaia è corona del giusto ( Pr 10,27 ), per cui "I giusti nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi" ( Sal 92,15 ), come Abramo e gli altri patriarchi amici di Dio. E così il giusto muore "sazio di giorni" ( Gen 25,8 ) cosciente che la sua vita è stata piena ( Sir 44,14-15 ). Esemplare la nascita di Isacco da un uomo vecchio e da una donna sterile e anch’ella vecchia, con cui si manifesta la potenza di Dio, dove l’uomo è ricondotto a credere che solo Dio è la sorgente della vita e nessun altro. E ancora nel corpo di Abramo, segno di morte, Dio si rivela sorgente di vita, segno di una nuova creazione che avverrà per i credenti nella Pasqua di Gesù, quando Dio risuscita il corpo senza vita di Gesù (cfr. Rm 4,17-21). E allora con Karl Barth ricordiamo che “La vecchiaia si offre all’uomo come la possibilità straordinaria di vivere non per dovere, ma per grazia”, e dire così grazie per il passato e si al futuro.

domenica 2 settembre 2012

Un gesuita, un professore, un vescovo, un cardinale, ma soprattutto un uomo di Dio, padre della Chiesa del nostro tempo

Le cronache ci dicono che decine di migliaia di persone, credenti e non credenti provenienti da tutta Italia, stanno rendendo omaggio per l’ultimo saluto al card. Martini nel Duomo di Milano.

 La mole della variegata affluenza conferma la portata della testimonianza di cristiano resa da quest’uomo di Chiesa nelle sue diverse fasi della vita. Fasi che il card. Ravasi ha descritto, evocando una parabola indiana, come le “quattro stagioni”: il tempo dell’imparare e dell’ascolto, il tempo dell’insegnamento, il tempo del ritiro nel silenzio e il tempo del mendicante. 

Guardando al tempo dell'insegnamento, si ricorda che il card. Martini fu a lungo docente a Roma di critica testuale biblica, divenendone uno dei maggiori esperti a livello internazionale. "Martini" -dice Ravasi- "ha saputo presentare sia il Dio glorioso del Sinai e della Pasqua, ma anche soprattutto con la sua vicenda finale, anche il Dio muto del Calvario che non risponde neppure al Figlio. Ha indicato a uomini e donne di buona volontà il Dio della parola luminosa, e il Dio silenzioso che molti credono sia assente o inesistente, mentre è solo un mistero altissimo da scoprire". E ha fatto ciò con la nitidezza del linguaggio, di cui Vito Mancuso ricorda la peculiarità, in quanto "lontano dalla retorica ecclesiastica, fatto di parole semplici ma severe, comprensibili ma profonde, riferite sempre alle cose e alle situazioni e mai dette per se stesse, per far colpo sull’uditorio".

Una chiarezza che nasce da un amore per la Parola, per cui si può dire, con Enzo Bianchi , "Dall’ascolto attento, della Parola e dell’altro, nasceva nel card. Martini la capacità di gesti profetici, la sollecitudine per la chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti fino a considerarli propri maestri cui affidare cattedre per la ricerca del senso delle cose e della dignità delle persone". 
Libertà interiore, ascolto dell’altro, ascolto di Dio, queste le tre componenti che mons. Bruno Forte richiama come presenti e fuse nel Cardinale in modo esemplare. 

Dal 1979 al 2002 il card. Martini è stato pastore di una delle diocesi più vaste e importanti del mondo: Milano. E nell’attività pastorale trasfuse i frutti di tale amore, caratterizzando il suo magistero episcopale sul piano del “farsi prossimo” e del dialogo. Segno particolare di quest’ultimo aspetto è stata certamente l’esperienza della Cattedra dei non credenti, modello di confronto col mondo laico. Massimo Cacciari , che collaborò col cardinale in tale iniziativa, precisa: "La fede che Martini ha testimoniato nella sua vita e ha reso palese anche su quella cattedra è la fede che responsabilizza…quella che è in grado di rispondere. E rispondere a tutte le domande del secolo, al di là di ogni astratta separatezza tra intelletto e ragione, tra credenza e non credenza. Una fede adulta che comprende il secolo e che in quanto fede è capace di dare risposte concrete". 

Ma in questi giorni di riconoscimenti e di lodi postume al card. Martini non manncano le note stonate, effetto di una scarsa conoscenza soprattutto della Chiesa e della sua natura. Accade ciò quando si addita lo stesso card. Martini come esponente “progressista” della Chiesa, contrapponendolo ai “conservatori” dal Papa in giù. E addirittura si parla di sconfitta dello stesso Martini, usando categorie sociologiche assolutamente estranee alla natura teandrica della Chiesa. E comunque, deve rimanere chiara una cosa, opportunamente precisata dal teologo Pierangelo Sequeri , che "il primo erede delle parole di Carlo Maria Martini è, di diritto, la Chiesa. Nessuno, meglio della Chiesa, sa che cosa fare di questa eredità, e con questa eredità. La Chiesa, custode della Parola di Dio, discerne la sua tradizione. E sa che c’è un solo Maestro. Anche questo rispetto e questa obbedienza ecclesiale ereditiamo da Martini. La parola “discernimento” è diventata famosa proprio come una cifra caratteristica del suo insegnamento. Essa rimanda, per definizione, alla necessità di non farci presuntuose controfigure dell’autorevolezza della Parola di Dio, fronteggiando la Chiesa. Noi siamo parte, affettuosa e solidale, del discernimento della Chiesa. Non lo rendiamo più difficile, lo agevoliamo con le mille risorse dell’intelligenza di agape (1Cor 13, 4–13)".

giovedì 30 agosto 2012

Dal sé all'altro



Nella società del 2.0, così ricca di strumenti comunicativi “in tempo reale”, paradossalmente ma non troppo si rischia di non comunicare.  
Il problema non sono gli strumenti come taluni ,impermeabili allo sviluppo tecnologico, sono portati a ritenere ed affermare. No, la causa di tale afasia comprensiva sta in noi stessi.

Nella relazione interpersonale, come si sa, è fondamentale la capacità di ascolto dell’altro, ossia la capacità di comprensione verso l’altro. Una capacità che si acquisisce e quindi occorre “imparare”  ad ascoltare in modo “attivo”. Ciò vuol dire non assumere un atteggiamento di silenzio di fronte all’altro che magari ci alluviona con la sua logorrea, ma mostrare attenzione a quanto l’altro dice e farlo in modo visibile con il corpo a partire dagli occhi e dalla postura corporale. Significa non rimanere zitti ma interloquire con domande, ponendosi in una condizione di accogliere l’altro, accettandolo, senza la pretesa di interpretarlo o peggio di giudicarlo.

Si tratta di passare alla cosiddetta fase empatica, che ci consente di “entrare “ dentro l’altro per comprendere il modo con cui questi vive una determinata esperienza. Sentire, quindi, sul campo i bisogni di chi ci parla e ciò che sta provando, sintonizzandosi col suo mondo interiore attraverso i suoi vissuti, le sue idee e senza che il nostro io corra il rischio di sovrastare l’altro.
Come si vede si va ben oltre la semplice simpatia spontanea, in cui si rimane emotivamente coinvolti dalla situazione ;  l’empatia è uno sforzo di comprensione dello stato emotivo dell’altro, durante il quale permane un lucido e consapevole distaccamento della nostra identità personale nei confronti dell’interlocutore.

Ma per fare tutto questo è certamente imprescindibile il presupposto di sapersi ascoltare. Come è possibile , infatti, predisporsi all’altro pieni di ogni contraddizione? Occorre cioè saper ascoltare  se stessi, i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie sensazioni. E in tal senso è importante quella che invece viene ritenuta assolutamente negativa: la solitudine.

Un cristiano, in particolare, non deve temere ciò sul modello di Gesù, che usava stare in “solitudine“  (alla lettera ritirarsi) a pregare (cfr. Lc 5,15-16). Ma per noi è  pedagogico anche il modo  in cui Gesù con semplicità si rapporta con gli altri, adeguandosi alla loro condizione personale, fatta appunto di sentimenti ed emozioni e situata in un determinato contesto. E’ cos’ che si  opera un vero ascolto e si accoglie con curiosità e stupore l’altro.

giovedì 23 agosto 2012

L’inesperienza, la sapienza divina e la via dell’intelligenza


La sapienza si è costruita la sua casa, 
ha intagliato le sue sette colonne. 
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola. 
Ha mandato le sue ancelle a proclamare 
sui punti più alti della città: 
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice: 
«Venite, mangiate il mio pane, 
bevete il vino che io ho preparato. 
Abbandonate l'inesperienza e vivrete, 
andate diritti per la via dell'intelligenza».
Pr 9, 1-6   

sabato 18 agosto 2012

Fatica e sapienza di Dio


Dio dei padri e Signore di misericordia…

Con te è la sapienza che conosce le tue opere, 
che era presente quando creavi il mondo; 
essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi 
e ciò che è conforme ai tuoi decreti. 

Inviala dai cieli santi, 
mandala dal tuo trono glorioso, 
perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica 
e io sappia ciò che ti è gradito. 

Essa infatti tutto conosce e tutto comprende, 
e mi guiderà prudentemente nelle mie azioni 
e mi proteggerà con la sua gloria.( Sap 9,1.9-11)

Sia gloria al Padre altissimo e a Cristo l'unigenito, sia lode al Santo Spirito. Amen.

domenica 10 giugno 2012

... camminare con il Signore su un tappeto di fiori


"La processione del Corpus Domini non è soltanto  un semplice cammino verso il Signore, verso la celebrazione eucaristica, ma è cammino con il Signore, è essa stessa una parte della celebrazione eucaristica, una dimensione dell'evento eucaristico. Il Signore, che è divenuto il nostro pane, è proprio in questo modo la nostra vita, colui che ci indica il cammino e ci conduce." (Joseph Ratzinger Benedetto XVI, Cercate le cose di lassù..., Paoline, 99).
La presenza concreta di Dio tra noi evoca un avvenimento che proprio oggi  comincia a Dublino, in Irlanda: il Congresso Eucaristico Internazionale, che ha per tema "L'Eucaristia: comunione con Cristo e tra di noi".

venerdì 1 giugno 2012

La Visitazione

Ieri si è concluso il mese mariano, dedicato dalla devozione popolare cristiana al culto della Madre di Dio, celebrando l’antica festa della “Visitazione”  di  Maria vergine alla cugina Elisabetta (cfr. Lc1, 39-56) . Fu Papa Bonifacio IX a introdurla nel calendario universale della Chiesa, dopo che  i  Francescani la celebravano  fin dal secolo XIII.  Un tempo la festa ricorreva il 2 luglio, successivamente è stata  anticipata dal nuovo calendario, ponendola tra l’Annunciazione del Signore il 25 marzo e la nascita di Giovanni Battista il 24 giugno.

sabato 26 maggio 2012

Domenica di Pentecoste



Vieni, Santo Spirito...
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

domenica 20 maggio 2012

Ascensione del Signore



Oggi, quaranta giorni dopo la Pasqua, nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo.
Con sant’Agostino aggiungiamo “con lui salga pure il nostro cuore”, perché inizi veramente un’altra fase della storia della salvezza con la Chiesa, chiamata a continuare la missione e la predicazione di Cristo, annunciando il Regno e rendendo testimonianza al Signore sotto la guida dello Spirito Santo.

sabato 19 maggio 2012

Bomba a scuola

Di fronte all'attentato di questa mattina a Brindisi  davanti alla scuola Morvillo Falcone, in cui ha perso la vita la sedicenne Melissa Bassi, mentre altre ragazze sono rimaste ferite di cui una in modo molto grave, la reazione corale in tutta Italia non si è fatta attendere.