domenica 13 marzo 2016

“Effetto Francesco”

Si potrebbe dire che fu il “buonasera"  pronunciato da Papa Francesco la sera della sua elezione, quel 13 marzo 2013, dalla loggia di San Pietro al popolo della Chiesa che è in Roma e, dunque alla Chiesa universale (Urbi et Orbi), ad essere l’incipit del cosiddetto “Effetto Francesco”.
 
In verità, al di là di ogni tentazione retorica, non si può non tenere conto di altri elementi che comunque caratterizzano l’elevazione al soglio di Pietro dello “ Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesia Cardinalem Bergoglio “. A partire dal fatto che, per la prima volta, “sibi nomen imposuit Franciscum “. Ma non solo, trattandosi del primo Pontefice latino-americano e gesuita.
 
Ed è in fondo questa sua connotazione geopolitica e di formazione religiosa, che ne caratterizza il tratto umano e spirituale, permeato della radicalità di chi vive del Vangelo. Di chi, cioè, non fa calcoli nei gesti, nel linguaggio, nelle stesse iniziative, privilegiando sempre e comunque l’attenzione agli ultimi. Un'opzione, questa, imprescindibile resa con uno stile di sobrietà. Il Papa che si fa ultimo nella ordinarietà del suo impegno straordinario. Magari con la borsa nera che porta con sé nei suoi spostamenti e nell'uso di  autovetture utilitarie.   Uno stile che tocca il cuore e, dunque, si fa capire. Non viceversa.
 
Uno stile diretto, che in campo sociale aggiorna l’insegnamento della Chiesa, confrontandosi con le sfide del mondo contemporaneo senza indugiare nel definire i fenomeni o chiamare le cose con il loro nome. Espressioni semplici, ma incisive, come la denuncia della “cultura dello scarto”, della “cultura dell’indifferenza” specie nei confronti dei drammi dei migranti, del “denaro che deve servire e non comandare”, della “terza guerra mondiale che viene combattuta a pezzi”, della necessità di “costruire ponti anziché erigere muri”.
 
Francesco, Papa del tempo che viviamo, con l’avvertenza, però, che rimane figlio – come lui stesso ha voluto ribadire- della Chiesa. A certi interessati fan di Papa Bergoglio va ricordata questa elementare verità. Non c’è stata nessuna presa del palazzo d’inverno: cardinale scelto dalla maggioranza degli altri cardinali elettori. A comprendere meglio il passaggio di questo Pontificato, può essere utile ricordare con il cardinale Angelo Scola che “Francesco ci ha messo davanti l’urgenza di assumere il nostro compito di cristiani in maniera diversa”. Di essere, quindi, nella Chiesa attenti interpreti del segno dei tempi, scuotendoci da certe pigrizie intellettuali e anche pastorali.
 
E in questi tre anni Francesco non ha perso occasione per testimoniare il suo impegno di essere “ponte”, di aprirsi al confronto e al dialogo, di “attrezzare” la Chiesa come “ospedale da campo”, privilegiando la decentralizzazione e con essa le necessarie riforme, in primis  quella del cuore che inizia con il sentirsi peccatore (cfr. Misericordiae Vultus). Per passare a  quella delle strutture e dei mezzi iniziando dalla Curia Romana, perché possa sempre più aiutare il Papa e la Chiesa nel difficile compito dell'annuncio a tutti del Vangelo di Cristo. Senza dimenticare la recente riforma in materia di nullità matrimoniale.
 
Il tutto al servizio dell’anima, del quale il Giubileo della Misericordia costituisce una salutare risposta. In particolare, il Papa ha invitato a rivolgersi alle famiglie, sempre più ferite e in difficoltà, con lo sguardo misericordioso di Dio. Così come, occorre rivedere e rilanciare “l’alleanza tra l’uomo e la natura”, alla luce della “Laudato sı’”. E via dicendo con le altre iniziative prese dal Pontefice, che ama stare con la gente e che non fa mancare il suo calore di sommo padre nella fede con le sue quotidiane omelie di S. Marta.