lunedì 25 agosto 2014

Misericordia: né lassismo né rigorismo.

Ispirandosi oltre a san Francesco, alle parole e ai gesti di Papa Bergoglio, il 72° Corso di Studi Cristiani, svoltosi dal 20 al 24 agosto alla Cittadella di Assisi e organizzato dalla Pro Civitate Christiana  in collaborazione con la Comunità Ecumenica di Bose, Editrice Queriniana ed Exodus, ha avuto come tema “Francesco la profezia delle periferie per una civiltà della misericordia”.
Non un confronto ma la ricerca di punti di assonanza tra le due figure, soffermandosi in particolare su questo Papa che ha fatto “irruzione” con la Chiesa e nella Chiesa. E con papa Francesco guardare al tema ricorrente della ‘misericordia’, partendo dalle periferie della nostra umanità, dunque non solo geografiche.
 
Il là ai lavori è stato dato da Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Fondazione ‘Migrantes’, che ha portato il suo ricco contributo di vescovo di frontiera, impegnato com’è con i migranti che giungono a Lampedusa. Mons. Montenegro, che nel suo ministero si è sempre occupato di emarginati, avendo tra l’altro presieduto per diversi anni la Caritas italiana, nella sua relazione ha tratteggiato con sapienza pastorale le direttrici del cristiano oggi alla luce della Sacra Scrittura.
 
Una lectio magistralis  dal titolo "Va', ripara la mia casa" di Enzo Bianchi, ha chiuso il convegno. Il priore di Bose si è soffermato sul carattere riformatore di questo inizio di pontificato:
“Se questa volontà di riforma è vera, occorre però subito chiarire che il Papa non pensa innanzitutto alla riforma delle strutture ecclesiastiche, quali il papato, la curia, le conferenze episcopali, i sinodi... Prima occorre una riforma che tocchi la vita dei cristiani e sappia mutarla: i cristiani devono fare della Chiesa un luogo di dialogo, di partecipazione fervente e viva, di scambio e di confronto libero da paure, uno spazio in cui tutti possano esprimersi ed essere tenuti in considerazione…Riformare è riconoscere i propri peccati e fare la verità in se stessi per esporsi alla misericordia di Dio. Ecco perché Francesco parla di «conversione ecclesiale» (EG 26) e, con sant’Agostino, ne vede l’autore nel Signore Gesù: «“Colui che è stato il tuo formatore, sarà anche il tuo riformatore”. Ogni rinnovamento della Chiesa consiste ssenzialmente in un’accresciuta fedeltà alla sua vocazione» (EG 26)…A me spetta, come vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli … Il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale (EG 32). Sì, c’è anche la volontà di una riforma delle strutture della Chiesa, perché risplenda il primato del Vangelo e perché si giunga all’unità, alla comunione visibile voluta da Cristo per la sua Chiesa”.  
E al riguardo Bianchi ha perciò evocato la “postura” e quindi i gesti eloquenti del Papa in linea con la tensione riformatrice:
 “ Elemento non certo periferico a tale proposito, è il fatto che il Papa abbia subito cercato di attuare la riforma a partire dalla sua persona: abitazione, modo di muoversi, nobile semplicità nella liturgia, prossimità vissuta con la gente, con il popolo di Dio, abolizione di ogni insegna principesca; e, su tutto, la sua convinzione intensa, eloquente, piena di forza, che Gesù è Vivente ed è il Signore della Chiesa e del mondo, al quale vanno l’amore e il servizio obbediente, sempre, senza mai avere paura”.  
Ma questo è tempo di misericordia, che nel magistero di Francesco significa non indulgere al rigorismo ma neppure al lassismo. Da ciò un cammino sinodale che dispieghi nella e per la Chiesa le giuste coordinate per la vita spirituale dei fedeli. Ecco perché col salmista possiamo cantare:
Ma io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa; * mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio (Sal 5,8)

sabato 16 agosto 2014

Per una Chiesa gioiosa e missionaria: la Chiesa deve farsi “prossima”

Il 12 agosto scorso, solennità di San Rufino, la Chiesa che è in Assisi-Nocera U.-Gualdo T. ha aperto la fase celebrativa del Sinodo diocesano. La cerimonia è iniziata con la lettura da parte del cancelliere vescovile, don Salvatore Rugolo, del decreto di apertura del Sinodo.
 
Papa Francesco, con la benedizione, ha inviato un messaggio, auspicando “per codesta chiesa particolare, rinnovata e gioiosa adesione a Cristo per un fecondo slancio missionario al servizio della nuova evangelizzazione, con un attenzione speciale alle periferie esistenziali".

Il vescovo mons. Domenico Sorrentino, che a norma del diritto ha convocato l’importante assise, nella sua omelia ha sottolineato intanto la particolarità dell’evento, visto che il precedente Sinodo della Chiesa di Assisi venne celebrato nel lontano 1938 e dieci anni dopo quello di Nocera. Ma l’importanza del “camminare insieme” sinodalmente è data dall’unione nella nuova diocesi delle due storie, quella assisana e quella nocerina-gualdese, e da ultimo dal Motu Proprio Totius orbis di Papa Benedetto XVI che ha coinvolto pastoralmente nel servizio alla chiesa diocesana le due basiliche papali di San Francesco e Santa Maria degli Angeli.
Monsignor Sorrentino ha enunciato gli aspetti problematici della comunità diocesana, che, pur in un contesto di fede ancora viva, si dibatte di fronte alle sfide epocali del tempo, a partire dalla fragilità della famiglia senza tralasciare la pesante crisi economica, e dei quali l'assemblea sinodale è chiamata ad occuparsi per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene della stessa comunità.  
 
“Noi siamo qui oggi, eredi della fede testimoniata col sangue da San Rufino, a dire a Cristo: ‘tu sei la via, la verità, la vita'. Bisogna che questa professione di fede si consolidi nelle nostre coscienze e diventi credibile nel nostro annuncio. Un annuncio al quale papa Francesco chiede di dare il timbro della gioia. Di qui il titolo del nostro Sinodo: “per una Chiesa gioiosa e missionaria". Questa gioia non può risolversi in un sentimento intimistico e solitario: deve essere gioia di Chiesa, gioia di popolo, gioia di famiglia. Qui si apre un altro scenario di sfide epocali. Quello che per millenni ha costituito la forza della pastorale, e cioè la coesione della famiglia e della società, oggi è sempre più lontano. Le relazioni si indeboliscono e si frammentano. Il nucleo stesso della società, la famiglia, è sempre più fragile. Dobbiamo puntare ad essere sempre più “chiesa-famiglia", anche per dare una risposta al cedimento dell’istituto familiare. Infine, in questa nostra società siamo afflitti da una pesante crisi economica. Anche la nostra diocesi, già ferita dal terremoto, ne è stata investita in pieno. Antiche e nuove povertà ci assillano. La disoccupazione cresce. Aziende chiudono o sono in difficoltà. Sotto i nostri occhi giovani senza futuro e magari tentati da paradisi futili e velenosi, immigrati in cerca di accoglienza. Il senso e la gioia della vita sono messi alla prova, e la vita umana non sempre è rispettata nemmeno nel grembo materno. Di fronte a queste enormi sfide, la politica appare, salvo eccezioni confusa e inconcludente. E se poi guardiamo al paesaggio internazionale, lo vediamo segnato da ingiustizie e disuguaglianze clamorose, e, come non bastasse, punteggiato di conflitti sanguinosi. Non abbiamo ancora concluso la nostra preghiera per la pace in Terra Santa, che dall’Iraq ci arrivano le notizie raccapriccianti di migliaia di cristiani in fuga di fronte a una furia persecutoria che non conosce pietà. Per questo la sera del 15 agosto alle 21 abbiamo indetto una veglia di preghiera nella Basilica inferiore di San Francesco. C’è tanta sofferenza in giro. La Chiesa deve farsi “prossima". Annunciare Cristo è anche impegno a toccare la sua “carne” nei poveri".

venerdì 15 agosto 2014

“La glorificazione di Maria con l'assunzione al cielo in anima e corpo”

L'Assunzione di Maria in Cielo è un dogma cattolico nel quale viene affermato che “l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo”. Il dogma venne proclamato da papa Pio XII il 1º novembre 1950, anno santo, attraverso la costituzione apostolica Munificentissimus Deus.
Si tratta dell'ultimo dogma, finora, proclamato da un Pontefice. Si ricorda il precedente dell’Immacolata Concezione, pronunziato dal papa beato Pio IX l'8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Strettamente connesso a quel dogma questo dell’Assunzione, in quanto - spiega Pio XII – “Ella per privilegio del tutto singolare ha vinto il peccato con la sua concezione immacolata; perciò non fu soggetta alla legge di restare nella corruzione del sepolcro, né dovette attendere la redenzione del suo corpo solo alla fine del mondo”.
 
Così Pio XII illustra le ragioni della sua decisione: “Poiché la chiesa universale nella quale vive lo Spirito di verità e la conduce infallibilmente alla conoscenza delle verità rivelate, nel corso dei secoli ha manifestato in molti modi la sua fede, e poiché tutti i vescovi dell'orbe cattolico con quasi unanime consenso chiedono che sia definita come dogma di fede divina e cattolica la verità dell'assunzione corporea della beatissima vergine Maria al cielo - verità fondata sulla s. Scrittura, insita profondamente nell'animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi - riteniamo giunto il momento prestabilito dalla provvidenza di Dio per proclamare solennemente questo privilegio di Maria vergine”.
 
Il Papa ripercorre il cammino compiuto per giungere a tale definizione di fede. Cammino che prende atto delle attese diffuse tra i fedeli, ma anche tra rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e tra non pochi padri dello stesso Vaticano I, perché si definisse dal supremo magistero della chiesa anche il dogma della corporea assunzione al cielo di Maria vergine. Come del resto l’argomento fu oggetto di studio di teologi e di congressi mariani sia nazionali sia internazionali. E ancora, il percorso si fece veramente collegiale con il coinvolgimento, attraverso la lettera enciclica Deiparae Virginis Mariae, di tutti i Vescovi, che risposero in maniera “pressoché unanimemente affermativa”.
 
Di questa fede comune della Chiesa si ebbero fin dall'antichità lungo il corso dei secoli varie testimonianze, indizi e vestigia. Pio XII ricorda come da sempre nella comunità dei fedeli, sotto la guida dei pastori, alla luce della s. Scrittura si credeva e professava apertamente che la vergine Maria, dopo la morte, non fu soggetto alla corruzione del sepolcro. E di tale fede vi sono svariate attestazioni, come gli “innumerevoli templi dedicati a Dio in onore di Maria vergine assunta al cielo, e le sacre immagini ivi esposte alla venerazione dei fedeli, le quali pongono dinanzi agli occhi di tutti questo singolare trionfo della beata Vergine. Inoltre città, diocesi e regioni furono poste sotto la speciale tutela e patrocinio della Vergine assunta in cielo; parimenti con l'approvazione della chiesa sono sorti Istituti religiosi che prendono nome da tale privilegio. Né va dimenticato che nel rosario mariano, la cui recita è tanto raccomandata da questa sede apostolica, viene proposto alla pia meditazione un mistero che, come tutti sanno, tratta dell'assunzione della beatissima Vergine”.
 
E ancora “fin dall'antichità si celebra in Oriente e in Occidente una solenne festa liturgica”, che, sulle orme dei santi padri e con l’aiuto della riflessione teologica, consentì “di precisare apertamente e con chiarezza il mistero che è oggetto della festa e la sua strettissima connessione con le altre verità rivelate”.
 
Il tutto avendo come “ultimo fondamento la s. Scrittura, la quale ci presenta l'alma Madre di Dio unita strettamente al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Per cui sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo - non diciamo, con l'anima, ma neppure col corpo - colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto. Dal momento che il nostro Redentore è Figlio di Maria, non poteva, come osservatore perfettissimo della divina legge, non onorare oltre l'eterno Padre anche la Madre diletta. Potendo quindi dare alla Madre tanto onore, preservandola immune dalla corruzione del sepolcro, si deve credere che lo abbia realmente fatto”.