mercoledì 25 dicembre 2013

Rallegrarsi nella gioia del Natale

E’ Natale. Viviamo tempi non facili in questa nostra società che vede restringersi gli spazi di ben-essere. E tuttavia permane la cosiddetta atmosfera natalizia, fatta di cornice festosa. 

Ma il Natale non si può ridurre a semplice poesia. E’ più che mai necessario  recuperare o non perdere di vista il senso teologico della venuta di Cristo, per collocare la festa nel suo giusto contesto. Fermiamo e manteniamo il nostro sguardo ammirato sul Bambino, ricordando che la sua fragilità è tenerezza che diventa forza in quanto Verbo incarnato. 

Partiamo da questa certezza con l’aiuto della Rivelazione. L’evangelista Luca ( 2,1-14) si sofferma su alcuni particolari storici che ci garantiscono la storicità e credibilità dell’evento. Gesù che, nel segno delle promesse dell’Antico Testamento, nasce povero in una remota provincia dell’impero romano in modo diverso da quello atteso e sospirato dal popolo ebraico. 
San Leone Magno presenta così il senso e la portata di ciò che accade: “ Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita” (Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193).

Da ciò, quindi, “sgorga un messaggio di speranza in questo mondo che rischia di non sperare più; un fascio di luce in questo mondo che sembra sprofondare nelle tenebre; un elemento di novità in una società che talora ci appare decrepita. Un bambino che nasce è un destino nuovo che si apre, una speranza che si ridesta” (M. Magrassi). 

Col Natale un nuovo inizio è sempre possibile. Per tutti. Per ciascuno di noi. Auguri!

sabato 14 dicembre 2013

Col Signore “il silenzio è musica” che porta gioia

“Il Natale è una festa nella quale si fa tanto rumore. Mentre viviamo questo periodo di attesa sarebbe importante invece riscoprire il silenzio, come momento ideale per cogliere la musicalità del linguaggio con il quale il Signore ci parla. Un linguaggio — ha detto papa Francesco  durante la messa celebrata giovedì mattina, 12 dicembre, nella cappella di Santa Marta — tanto simile a quello di un padre e di una madre: rassicurante, pieno di amore e di tenerezza”. 

Il Papa, richiamando l’incontro del Signore con Elia (cfr 1 Re 19,11-13), ha aggiunto: “è usata una parola bellissima che non si può tradurre con precisione: era in un filo sonoro di silenzio. Un filo sonoro di silenzio: così si avvicina il Signore, con quella sonorità del silenzio che è propria dell’amore”. Ecco perché “Dobbiamo fare silenzio in questo tempo perché, come dice il prefazio, noi siamo vigilanti in attesa”. Col cuore colmo di gioia, come la Chiesa c’indirizza in questa terza domenica di Avvento, detta “domenica della gioia”

Papa Francesco, con la sua recente esortazione apostolica "Evangelii gaudium"  ha voluto sottolineare l'importanza della gioia nella vita di ogni cristiano. La gioia cristiana richiede una vita interiore ed umana sempre più qualificata ed elevata, così da annunciare e testimoniare in questo tempo il Vangelo, appunto con gioia, come il Papa insegna già con le prime parole e dell’Esortazione apostolica: "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia".

sabato 30 novembre 2013

Aspettare Cristo …

Inizia il nuovo anno liturgico: è tempo di Avvento, tempo di attesa ma anche tempo di vigilanza. 

“Avvento”, un termine latino che significa camminare verso... La riforma liturgica, introdotta dal Concilio Vaticano II, ha voluto mantenere due significati dell’Avvento: quello di preparazione al Natale e quello di attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. 

Come vivere questo tempo attraverso i convulsi ritmi della vita odierna, dove si cerca con ragionieristica determinazione di pianificare ogni momento magari con l’uso degli strumenti dell’intelligenza artificiale? Ma Cristo non può essere programmato. 

Cristo, se lo incontri, ti sconvolge, trasformando la «routine» quotidiana. Da qui l’attesa con vigilanza cristiana che permette di leggere i fatti per scoprirvi, negli incontri con gli altri, la «venuta» del Signore.

venerdì 22 novembre 2013

Quella Nuova Frontiera

Cinquant’anni orsono a Dallas moriva, ucciso, John Fitzegerald Kennedy, 35° presidente USA. 

Quando venne eletto aveva appena 43 anni e mezzo e perciò, dopo Teddy Roosevelt, fu il più giovane presidente. Oggi ci si divide su un uomo, che, al di là dei risultati, è stato uno dei presidenti americani più amati di sempre, la cui popolarità si è certo alimentata indirettamente anche con la sua tragica morte. 

Cattolico, era di origini irlandesi e ricco di famiglia. Sensibile al fascino femminile, dalla moglie Jacqueline ebbe quattro figli, dei quali solo due sopravvissero: Caroline e John John, morto tragicamente nel 1999 in un incidente aereo. Esponente dell’ala liberal del Partito democratico, aveva vinto le presidenziali contro il vicepresidente repubblicano uscente, Richard Nixon.

Personalmente ricordo Kennedy come tanti della mia generazione: un mito, tra la retorica e la speranza in quella Nuova Frontiera che fu il suo motto politico alla convenzione democratica di Los Angeles del 1960. Kennedy, evocando appunto un termine derivante dalla frontiera americana che si spostava continuamente durante la corsa all'Ovest, disse: “Ci troviamo oggi alle soglie di una nuova frontiera, la frontiera degli anni sessanta. Non è una frontiera che assicuri promesse, ma soltanto sfide, ricca di sconosciute occasioni, ma anche di pericoli, di incompiute speranze e di minacce”. 

Parole? Illusioni? Mi piace riportare la conclusione di Gianni Riotta su La Stampa di oggi : “I miti nascono così, e così, in segreto, vivono nella realtà. «Un liberal guarda al futuro non al passato, accoglie le idee nuove senza rigidità, si preoccupa del benessere della gente, salute, casa, scuola, lavoro, diritti civili e libertà, crede alla fine dei blocchi, dei sospetti, al cammino verso la pace… e per questo sono liberal» (JFK 4 novembre 1960).”

domenica 10 novembre 2013

Saluto a Gerusalemme, città di pace, nel ricordo di un'esperienza

Quale gioia, quando mi dissero:
»Andremo alla casa del Signore!».
2 Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
3 Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
4 È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d'Israele,
per lodare il nome del Signore.
5 Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
6 Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
7 sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.
8 Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su te sia pace!».
9 Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.
Sal 122

mercoledì 6 novembre 2013

"La nostra coscienza ottenebrata e la luce della verità (politicamente scorretta) che ce la guarisce"


Pubblico con l'autorizzazione dell'autore questa riflessione di Marco Guzzi.

Uno degli aspetti più inquietanti di questo tempo convulso e faticoso è la spaventosa confusione mentale in cui stiamo precipitando giorno dopo giorno, per cui risulta sempre più difficile non dico concordare su qualsiasi punto di discussione, ma perfino intenderci sui concetti basilari su cui impostare un qualunque discorso. 

Credo che la recente controversia nata dalla conversazione tra il Papa ed Eugenio Scalfari sul tema del primato della coscienza individuale mostri con chiarezza il livello di fraintendimento concettuale in cui continuiamo a comunicare.

 I due interlocutori infatti parlavano evidentemente di due cose del tutto diverse: uno si riferiva alla coscienza come sacrario ultimo dello spirito umano, come cioè spazio di ascolto della voce di Dio in noi, e l’altro intendeva invece quel mutevolissimo discorso interiore dell’individuo, che il più delle volte legittima tutti i nostri più grossolani errori. Il Papa pensava probabilmente alla coscienza illuminata dalla fede, e cioè resa giusta, giustificata appunto dalla luce della Rivelazione di Cristo (come precisa il Catechismo della chiesa Cattolica al n. 1794: “La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera”, e come Papa Francesco ci illustra in tutta la sua Enciclica Lumen fidei), mentre l’altro difendeva semplicemente quell’arbitrario e superficiale opinare individualistico, irrelato e rigidamente a-teo, privo cioè di qualsiasi autentica umiltà e disponibilità all’ascolto e alla conversione, in base al quale, come dice san Paolo gli uomini “hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa” (Rm 1,21). Papa Ratzinger ha chiarito molto bene questi fraintendimenti nel suo saggio su “L’elogio della coscienza”, dove per esempio scrive: “Chi fa coincidere la coscienza con convinzioni superficiali, la identifica con una sicurezza pseudo-razionale, intessuta di autogiustificazione, conformismo e pigrizia”. (sulla complessità e sull’ambiguità del concetto di “coscienza” vi segnalo anche questo mio scritto: http://www.marcoguzzi.it/index.php3?cat=nuove_visioni/visualizza.php&giorno=2012-06-04 ).

 Ma questo è solo uno dei molteplici esempi della confusione mentale in cui stiamo annegando. Ogni giorno assistiamo infatti a dibattiti in cui letteralmente non si capisce più di che cosa si discuta, in cui cioè gli interlocutori non hanno più quasi nessun punto in comune, nessun concetto condiviso, per cui semplicemente si attaccano e si azzannano come cani rabbiosi, alla cieca. Ciò risulta particolarmente drammatico nelle sempre più accese discussioni intorno alle questioni morali, alla valutazione cioè di ciò che sia bene e di ciò che sia male. 

Qui davvero le acque già torbide delle nostre menti contemporanee si fanno tenebrose, assumendo la densità e la pesantezza del petrolio. Ci si chiede, ad esempio, in ogni talk show e ormai da anni: ma è bene andare con le ragazzine a settant’anni come fa Berlusconi, ed è bene andare con vecchi ricconi se sei una ragazzina emancipata e scaltra che vuole fare rapida carriera? E perché no, che male c’è, se sono tutti adulti e consenzienti? E’ bene poi sposare una persona del proprio stesso sesso, e magari produrre qualche figlio affittando un utero di qualche giovane ragazza indiana? E perché no? Se vogliono un figlio? Chi sei tu per giudicare? Sei forse meglio tu? E perché un ricco anziano non può spassarsela un po’ anche con un ragazzino? Come facevano Pasolini o Whitman o Caravaggio o papa Giulio III che nominò addirittura cardinale e segretario di stato il suo amante diciassettenne? E a che età poi l’amore diventa pedofilia? Il grande poeta protoromantico tedesco Novalis amava Sophie che aveva solo 12 anni, e allora? Non basta l’amore a giustificare ogni cosa, come dice Obama? E perché impedire allora l’amore per due persone contemporaneamente? Perché dovrei amare solo una donna o solo un uomo, e non una donna e un uomo insieme? E perché non posso sposarmeli entrambi? Non è questa una violenta prevaricazione, un voler imporre un arcaico moralismo monogamico agli aneliti più liberi e polimorfi del cuore? Chi sono io per giudicare un bigamo o un poligamo o un evasore fiscale o lo stesso Priebke che in fondo ha semplicemente obbedito alla propria coscienza, come tutti i membri delle SS d’altronde che, come scrive ancora Papa Ratzinger: “portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione ed anche con un’assoluta certezza di coscienza”, e che quindi dovrebbero essere “giustificati e dovremmo cercarli in paradiso”? 

E via così confondendo ogni cosa, servendosi perfino della dolcissima misericordia di Gesù per legittimare la propria corruzione e l’ostinazione impenitente e piena di orgoglio a non cambiare vita. Ma il Cristo accoglie tutti noi peccatori e stanchi, per curarci e per guarirci dal cancro dei nostri peccati, sui quali emette da lucido chirurgo diagnosi prive di qualsiasi indulgenza, col suo stile come sempre politicamente scorretto: “Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno” (Mt 18,8). 

Senza questa durezza terapeutica si rischia di confondere la misericordia di Dio con la legittimazione del peccato, causando così la rovina del peccatore, che prima o poi purtroppo pagherà comunque amaramente e, come dice Gesù, “fino all’ultimo spicciolo” (Lc 12,59), il prezzo salato della propria menzogna non riconosciuta come tale: “E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,28-31)…. 

Ottima descrizione di tutti noi, fratelli, non vi pare? di una società mostruosamente ipocrita, moralista e oscena al contempo. No, fratelli, siamo seri e non inganniamoci: la misericordia di Dio è il dono costante della vita per chi, pentendosi delle proprie follie, ritorna liberamente nel regno di amore e di abbondanza del Padre. Senza questa conversione/ritorno restiamo imprigionati nei nostri inferni di menzogna, e rifiutando il dono della grazia rifiutiamo noi stessi il perdono. Questo rifiuto è infatti la vera bestemmia contro lo Spirito Santo, quell’unico peccato cioè che, secondo il Cristo, non verrà perdonato “né in questo mondo né in quello futuro” (Mc 3,29). Chi rifiuta la conversione e il perdono, in altri termini, non vuole e quindi non può essere perdonato. 

Sant’Agostino, nel suo LXXI Discorso, è molto preciso su questo punto: “Contro questo dono gratuito, contro questa grazia di Dio parla il cuore impenitente. La bestemmia contro lo Spirito, dunque, è il non volersi pentire (impoenitentia)”. Questa confusione però, carissimi, io credo che porti con sé un elemento di grande positività, e cioè ci sta mostrando con chiarezza lancinante tutti i limiti del puro ragionamento, il fatto cioè che queste controversie fondamentali non possano più risolversi sul piano dialettico del confronto razionale. Stiamo comprendendo che la ragione è uno strumento necessario ma insufficiente per dare un qualsiasi ordine al pensiero e alla vita, in quanto può essere messo al servizio della stessa menzogna. Tutti noi cioè possiamo benissimo utilizzare la nostra ragione anche con finezza per difendere i nostri errori più grossolani, e costruire così la via della nostra distruzione. 

D'altronde, come diceva Baudelaire, Satana non è uno dei migliori maestri di dialettica?… Il problema della ricerca della verità e quindi della giustizia, di ciò che è giusto o ingiusto, non è cioè un problema della ragione, quanto piuttosto della mente, intesa come totalità del nostro essere, come mistero del nostro Io, e più precisamente dello stato in cui si trova la nostra mente. Una mente alienata e distorta, infatti, un Io dis-integrato e scisso, ragiona in modo distorto e trova sempre moltissime ragioni per giustificare i propri errori. Per cui se desideriamo per davvero cercare la verità e la salvezza, dobbiamo imparare innanzitutto e sempre di nuovo a rinnovare la nostra mente ottenebrata, a svuotare e a rovesciare il nostro vecchio Io, per farlo rigenerare e illuminare dalla luce che illumina ogni cosa, e cioè dalla luce di Dio, dal suo pensiero, dal suo Respiro beatificante, dal Cristo-Verità-Amore che è in noi. 

Questa gravissima confusione mentale ci sta cioè spingendo verso una ricomprensione post-moderna, e cioè successiva al delirio razionalistico degli ultimi 2 secoli, del carattere iniziatico della vera conoscenza, e quindi anche dello sviluppo in noi di una coscienza retta in grado di giudicare/ragionare perfetta-mente, come ci chiede il Cristo: “perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12,57). 

 Solo incamminandoci lungo il faticoso cammino della purificazione e della conversione (meta-noia) della nostra mente, del quotidiano riconoscimento di tutte le nostre strategie di mascheramento e di autoinganno, solo nella ricerca umile e sincera di quell’aiuto che viene dall’Alto, di quella luce che dà respiro e ristoro al nostro cuore malato, solo così possiamo uscire dalla confusione mentale e gustare la limpidezza di una verità che ci libera e ci salva. Potremmo arrivare a dire che solo una mente, un cuore, un Io perdonato, e cioè sciolto e liberato e assolto dalle sue lebbre/tenebre interiori, possa realmente capire la bellezza del vero Bene, e incominciare a seguirlo. 

Perciò il primo biennio di approfondimento dei nostri Gruppi “Darsi pace” si chiama proprio “Per donarsi”. Solo perdonati e assolti infatti troviamo la vera pace, e possiamo anche imparare ad amare, possiamo cioè comprendere che cosa significhi amare nella verità (caritas in veritate), purificando anche i nostri desideri e le nostre forme di amore spesso distorti, compensatori, e frutto di pure e semplici alienazioni e aberrazioni spirituali. In quanto, come scrive Papa Francesco nella sua Enciclica: “Senza verità l’amore non può offrire un vincolo solido, non riesce a portare l’io al si là del suo isolamento, né a liberarlo dall’istante fugace per edificare la vita e portare frutto” (n. 27). 

Il percorso dei nostri Gruppi, dopo il Triennio di base “Darsi pace”, e il primo Biennio di Approfondimento “Per donarsi”, si conclude perciò col secondo Biennio di Approfondimento, che si chiama proprio “Imparare ad amare”; ma in realtà la ricerca della Pace, del Perdono, dell’Amore, della Giustizia, e della Verità sono la stessa cosa: il processo di trasformazione della nostra mente dall’alienazione all’integrità divina: il processo iniziatico, battesimale e pasquale, della nostra realizzazione umana in Cristo, nostra Nuova Umanità. E’ appena uscito l’ultimo Manuale dei nostri Gruppi, che si intitola appunto “Imparare ad amare – Un manuale di realizzazione umana” (Ed. Paoline 2013), e che conclude l’opera scritta del Movimento “Darsi pace”, proprio in concomitanza con l’avvio di tutti i Gruppi fisico-telematici per la prima volta attivati insieme: le tre annualità del Triennio di base, il primo biennio e il secondo biennio di approfondimento, e il Gruppo Formatori, che attraverso le videoconferenze coinvolge ormai 25 persone di Roma, Torino, Cesena, Bergamo, e Fano. 

 Questo 15° anno dell’avventura dei nostri Gruppi rappresenta perciò un punto cruciale di compimento e di nuovo avvio, di bilancio e di rilancio. Siamo arrivati a 300 praticanti regolari, presenti in ogni parte d’Italia, ma anche in diverse zone del mondo, da Santo Domingo a Kinshasa, da Varsavia a Taiwan; mentre il nostro sito www.darsipace.it è ormai visitato da più di 60.000 persone ogni anno, con oltre 100.000 visite: davvero un bel corpo in movimento… Speriamo che lo Spirito di Dio effonda con sempre maggiore forza la sua luce su di noi, e ci guidi con la dolcezza travolgente del suo vento maestrale nell’esecuzione dell’opera che ci ha consegnato. Tutti i Gruppi sono dunque partiti, ma le iscrizioni alla prima annualità fisico-telematica, che ha già superato i 90 partecipanti, e che è seguibile fisicamente a Roma e on line da ogni parte d’Italia e anche dall’estero, sono ancora aperte (www.darsipace.it). Potete seguirci inoltre su Fb (https://www.facebook.com/darsipace ), Twitter (https://twitter.com/DarsiPace ) e Youtube (http://www.youtube.com/darsipace ).

venerdì 25 ottobre 2013

"La sindrome di Giona"

Nella meditazione mattutina a Santa Marta del 14 ottobre, papa Francesco, commentando le letture della liturgia tratte dalla lettera di san Paolo ai Romani (1, 1-7) e dal Vangelo di Luca (11, 29-32), ha richiamato la “ sindrome di Giona”, quella che “ci porta all’ipocrisia, a quella sufficienza che crediamo di raggiungere perché siamo cristiani puliti, perfetti, perché compiamo queste opere osserviamo i comandamenti, tutto. Una grossa malattia, la sindrome di Giona!”. 

Il Santo Padre ha ricordato che il Signore "davanti a questa generazione, malata della sindrome di Giona, promette il segno di Giona", che altro non è che "« il suo perdono tramite la sua morte e la sua risurrezione. Il segno che Gesù promette è la sua misericordia, quella che già chiedeva Dio da tempo: misericordia voglio e non sacrifici". 

Il Pontefice ha ammonito dunque che "il vero segno di Giona è quello che ci dà la fiducia di essere salvati dal sangue di Cristo. Ci sono tanti cristiani che pensano di essere salvati solo per quello che fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva".

domenica 13 ottobre 2013

Servizio e non "servidumbre"

“La vocazione e la missione della donna nel nostro tempo” è stato il tema di un seminario promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici in occasione del 25° anniversario della Lettera apostolica Mulieris dignitatem.

 Incontrandone ieri i partecipanti nella Sala Clementina, papa Francesco ha ricordato innanzitutto la peculiarità della Mulieris dignitatem dal punto di vista storico, in quanto primo documento del Magistero pontificio dedicato interamente al tema della donna. E poiché il seminario ha approfondito il n. 30 della Lettera in cui si dice dell’affidamento da parte di Dio dell’essere umano alla donna, il Pontefice ha richiamato il concetto di maternità, spiegando: “Tante cose possono cambiare e sono cambiate nell’evoluzione culturale e sociale, ma rimane il fatto che è la donna che concepisce, porta in grembo e partorisce i figli degli uomini. E questo non è semplicemente un dato biologico, ma comporta una ricchezza di implicazioni sia per la donna stessa, per il suo modo di essere, sia per le sue relazioni, per il modo di porsi rispetto alla vita umana e alla vita in genere. Chiamando la donna alla maternità, Dio le ha affidato in una maniera del tutto speciale l’essere umano”. 

Il Papa però ha ammonito circa il pericolo “di ridurre la maternità ad un ruolo sociale, ad un compito, anche se nobile, ma che di fatto mette in disparte la donna con le sue potenzialità, non la valorizza pienamente nella costruzione della comunità. Questo sia in ambito civile, sia in ambito ecclesiale”. E ha messo in guardia dal pericolo opposto “quello di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano”. 

Il Santo Padre, sul ruolo della donna nella Chiesa, ha poi detto: “Io soffro - dico la verità - quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni ecclesiali che il ruolo di servizio – che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere – che il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servidumbre[tr. servitù]. Non so se si dice così in italiano. Mi capite? Servizio. Quando io vedo donne che fanno cose di servidumbre, è che non si capisce bene quello che deve fare una donna”.

martedì 8 ottobre 2013

"Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell'evangelizzazione"

E' il tema dell'Assemblea generale straordinaria del sinodo dei Vescovi, che, indetta da Papa Francesco, si svolgerà dal 5 al 19 ottobre 2014.

Il Codice di diritto canonico stabilisce che “Il sinodo dei Vescovi è un'assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell'orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo” (can. 342). 

E ancora “Il sinodo dei Vescovi può riunirsi in assemblea generale, in cui cioè vengono trattati argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa universale: tale assemblea è ordinaria o straordinaria; oppure può anche riunirsi in assemblea speciale, in cui cioè vengono trattate questioni che riguardano direttamente una o più regioni determinate” (can. 345).

In passato si sono avute solo due assemblee straordinarie come appunto quella del prossimo anno: nel 1969 sui rapporti tra Santa Sede e Conferenze Episcopali e nel 1985 per il 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. 

 Il sinodo dei Vescovi, riunito in assemblea generale straordinaria per trattare affari che richiedono una soluzione sollecita, è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi, deputati dal diritto peculiare del sinodo in ragione dell'ufficio svolto; altri poi nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali eletti a norma del medesimo diritto (can. 346 § 2).

sabato 5 ottobre 2013

Echi di una visita itinerante

Quella del Pontefice di ieri ad Assisi è stata una visita particolare per le modalità del suo svolgimento, che ha visto tante tappe concentrate in un solo giorno. 

Come si sa, la città serafica dal beato Giovanni XXIII in poi (senza contare gli altri precedenti storici) ha, per così dire, una consuetudine con le visite papali. Ma certamente, quest’ultima ad opera del Papa, che per la prima volta nella storia della Chiesa si è dato il nome del poverello di Assisi, si distingue per il carattere dell’itineranza. 

Francesco ieri ha infatti toccato tutti i luoghi francescani in ed intorno ad Assisi. Oltre alle due mete tradizionali di S. Francesco  e della Porziuncola,  il Papa, infatti, è stato al Santuario di S. Damiano, all’Eremo delle Carceri, alla Basilica di S. Chiara  e al Sacro Tugurio di Rivotorto. Ma il Santo Padre non ha omesso di rendere visita alla Cattedrale di S. Rufino,  dopo essere stato, per la prima volta di un Papa in 800 anni, nella Sala della Spoliazione in Vescovado e nella antica S. Maria Maggiore. 

Il filo conduttore di questa visita è rappresentato più che mai dai poveri, con i quali il Papa si è intrattenuto anche a pranzo nella mensa della locale Caritas. Senza dimenticare che la sua visita è iniziata proprio dai disabili pluriminorati dell’Istituto Serafico
E,  rivolgendosi ai poveri, Francesco ha ricordato: “Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero! Qualcuno dirà: "Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?". Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. E’ un idolo! E l’idolatria è il peccato più forte!” 

Mentre all'omelia della Messa celebrata sulla piazza inferiore della Basilica di S. Francesco,  ha precisato:“La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12). E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore.” 

Nell'incontro riservato alla Diocesi di Assisi-Nocera U.-Gualdo T., ha richiamato le coordinate pastorali della nostra Chiesa particolare dopo la conclusa visita pastorale e alla vigilia della celebrazione del Sinodo diocesano: “La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio…diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole. Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio? Via queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente…Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia, che andavano a trovarli; anche come uno mi diceva: “Io conosco il nome del cane di ogni famiglia”, anche il nome del cane, conoscevano! Che bello che era! Che cosa c’è di più bello? Lo ripeto spesso: camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi…annunciare fino alle periferie…Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva!”. 

Alle monache di clausura di Santa Chiara, il Papa  ha evocato il carattere della contemplazione nel mondo di oggi:  “Le suore di clausura sono chiamate ad avere grande umanità, un’umanità come quella della Madre Chiesa; umane, capire tutte le cose della vita, essere persone che sanno capire i problemi umani, che sanno perdonare, che sanno chiedere al Signore per le persone. La vostra umanità. E la vostra umanità viene per questa strada, l’Incarnazione del Verbo, la strada di Gesù Cristo. E qual è il segno di una suora così umana? La gioia, la gioia, quando c’è gioia! A me da tristezza quando trovo suore che non sono gioiose. Forse sorridono, mah, con il sorriso di un’assistente di volo. Ma non con il sorriso della gioia, di quella che viene da dentro. Sempre con Gesù Cristo. Oggi nella Messa, parlando del Crocifisso, dicevo che Francesco lo aveva contemplato con gli occhi aperti, con le ferite aperte, con il sangue che veniva giù. E questa è la vostra contemplazione: la realtà. La realtà di Gesù Cristo. Non idee astratte, non idee astratte, perché seccano la testa. La contemplazione delle piaghe di Gesù Cristo! E le ha portate in Cielo, e le ha! E’ la strada dell’umanità di Gesù Cristo: sempre con Gesù, Dio-uomo. E per questo è tanto bello quando la gente va al parlatorio dei monasteri e chiedono preghiere e dicono i loro problemi.”

Nell'incontro con le migliaia di giovani umbri sulla piazza della Porziuncola il Pontefice si è soffermato, rispondendo a precise domande rivoltegli  sull'importanza dell'evangelizzazione con la testimonianza della propria vita di fede: “Non avere paura di fare passi definitivi, come quello del matrimonio: approfondite il vostro amore, rispettandone i tempi e le espressioni, pregate, preparatevi bene, ma poi abbiate fiducia che il Signore non vi lascia soli! Fatelo entrare nella vostra casa come uno di famiglia, Lui vi sosterrà sempre…ma c’è un’altra vocazione complementare al matrimonio: la chiamata al celibato e alla verginità per il Regno dei cieli. E’ la vocazione che Gesù stesso ha vissuto. Come riconoscerla? Come seguirla? E’ la terza domanda che mi avete fatto. Ma qualcuno di voi può pensare: ma questo vescovo, che bravo! Abbiamo fatto la domanda e ha le risposte tutte pronte, scritte! Io ho ricevuto le domande alcuni giorni fa. Per questo le conosco. E vi rispondo con due elementi essenziali su come riconoscere questa vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata. Pregare e camminare nella Chiesa. Queste due cose vanno insieme, sono intrecciate. All’origine di ogni vocazione alla vita consacrata c’è sempre un’esperienza forte di Dio, un’esperienza che non si dimentica, la si ricorda per tutta la vita! E’ quella che ha avuto Francesco. E questo noi non lo possiamo calcolare o programmare. Dio ci sorprende sempre! E’ Dio che chiama; però è importante avere un rapporto quotidiano con Lui, ascoltarlo in silenzio davanti al Tabernacolo e nell’intimo di noi stessi, parlargli, accostarsi ai Sacramenti. Avere questo rapporto familiare con il Signore è come tenere aperta la finestra della nostra vita perché Lui ci faccia sentire la sua voce, che cosa vuole da noi...il Vangelo, questo messaggio di salvezza, ha due destinazioni che sono legate: la prima, suscitare la fede, e questa è l’evangelizzazione; la seconda, trasformare il mondo secondo il disegno di Dio, e questa è l’animazione cristiana della società. Ma non sono due cose separate, sono un’unica missione: portare il Vangelo con la testimonianza della nostra vita trasforma il mondo! Questa è la via: portare il Vangelo con la testimonianza della nostra vita. Guardiamo Francesco: lui ha fatto tutt’e due queste cose, con la forza dell’unico Vangelo. Francesco ha fatto crescere la fede, ha rinnovato la Chiesa; e nello stesso tempo ha rinnovato la società, l’ha resa più fraterna, ma sempre col Vangelo, con la testimonianza. Sapete che cosa ha detto Francesco una volta ai suoi fratelli? “Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!”. Ma, come? Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole! Ma la testimonianza".

lunedì 30 settembre 2013

“La Chiesa del funzionalismo!”

Nella sua quotidiana omelia a S. Marta, Papa Francesco oggi ha ammonito per i rischi di una Chiesa volta all’efficientismo, evocando l’entusiasmo dei discepoli che facevano programmi e discutevano su chi fosse il più grande e impedivano allo stesso tempo di fare il bene in nome di Gesù a quanti non appartenevano al loro gruppo. 

Al riguardo il Pontefice ha detto: “Io capisco, i discepoli volevano l’efficacia, volevano che la Chiesa andasse avanti senza problemi e questo può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo! La Chiesa ben organizzata! Tutto a posto, ma senza memoria e senza promessa! Questa Chiesa, così, non andrà: sarà la Chiesa della lotta per il potere, sarà la Chiesa delle gelosie fra i battezzati e tante altre cose che ci sono quando non c’è memoria e non c’è promessa”. 

E ha aggiunto: “Il segno della presenza di Dio è questo, così disse il Signore: ‘Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e fanciulle che giocheranno sulle sue piazze’. Gioco ci fa pensare a gioia: è la gioia del Signore. E questi anziani, seduti col bastone in mano, tranquilli, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia: questa è l’aria della Chiesa!”.

domenica 29 settembre 2013

Capolinea

I cinque ministri del Pdl si sono dimessi su richiesta dell'ex premier Silvio Berlusconi, aprendo la strada alla crisi del governo di Enrico Letta a cinque mesi dalla sua formazione.

Dimissioni prontamente presentate senza una discussione all’interno del Pdl ma semplicemente per obbedienza al capo indiscusso e indiscutibile e dunque al “padrone”. 

E' stato lo stesso presidente del Consiglio a sottolineare con una nota: "Berlusconi per cercare di giustificare il gesto folle e irresponsabile di oggi, tutto finalizzato esclusivamente a coprire le sue vicende personali, tenta di rovesciare la frittata utilizzando l'alibi dell'Iva. La responsabilità dell'aumento dell'Iva è invece proprio di Berlusconi e della sua decisione di far dimettere i propri parlamentari mercoledì, fatto senza precedenti, che priva il Parlamento e la maggioranza della certezza necessaria per assumere provvedimenti che vanno poi convertiti". 

Questo è lo stato dell’arte, che rappresenta il capolinea della nostra “povera” Italia. Ma “Questa volta viene prima l’Italia” . Così conclude il proprio editoriale di oggi il direttore de LA STAMPA, Mario Calabresi, dopo aver auspicato “Gli italiani meritano rispetto. È tempo di chiarezza, di passaggi netti, definitivi. Sappiamo con certezza che la maggioranza dei politici del Pdl non approva questa decisione. Sarebbe ora che trovassero la dignità e la forza di non scambiare l’affetto, la fedeltà e la riconoscenza per il Capo con l’adesione a un gesto che fa del male a tutto il Paese”. 

Non c’è che da unirsi a questo grido dicendo basta e sostenendo il da farsi perché si eviti l’esercizio provvisorio in materia finanziaria e relativo commissariamento da parte degli organismi europei con effetti sanguinosi, economicamente parlando, su noi cittadini. E anche perché si giunga finalmente ad una nuova legge elettorale capace di assicurare vera rappresentanza e governabilità a questo Paese.

giovedì 26 settembre 2013

La lezione

C’è un tempo per ogni cosa. E’ questo che viviamo evidentemente è quello del dialogo tra atei e non credenti, iniziato con l’ormai celebre Cortile dei Gentili. Dopo la risposta di Papa Francesco  a Eugenio Scalfari , caratterizzatasi oltre che per il metodo innovativo anche per il tenore e la profondità dei contenuti, sempre su La Repubblica si è registrato un ulteriore passo sul cammino del confronto dialogico con la pubblicazione di uno stralcio della lettera scritta da Benedetto XVI  a Piergiorgio Odifreddi in risposta al libro di quest’ultimo Caro papa, ti scrivo (Mondadori, 2011). 
Il Papa emerito confuta al suo interlocutore la descrizione della teologia come «fantascienza», impartendo, quasi tornando in cattedra, una sottile lezione di epistemologia ad Odifreddi, cui spiega come «in tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto» e «l’essenziale è che si applichi un metodo verificabile che garantisca la razionalità». 

Benedetto XVI, inoltre, senza giri di parole aggiunge:"Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po' più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica>>. 

E tuttavia alla fine Ratzinger conclude: "Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze".

domenica 25 agosto 2013

“Diamoci del tu"

Quando nella comunicazione interpersonale si passa dal formale "lei" al più informale "tu”, ciò può accadere per ragioni diverse,  ma soprattutto per rendere più intima la relazione con un atteggiamento confidenziale che richiama il "tu" rispetto al "lei" d’obbligo della lingua italiana. Generalmente è la persona maggiore di età che propone il tono più amicale. Così nella quotidianità dei rapporti tra persone “normali”. 

Certamente il discorso cambia se a dire “diamoci del tu” è niente di meno che il Papa e per di più al telefono. E’ quello che accaduto nei giorni scorsi ad un giovane veneto che si è visto telefonare proprio dal Pontefice , il quale, nel dirgli di darsi il tu, ha aggiunto: "Credi che gli apostoli dessero del Lei a Gesù - gli ha chiesto Bergoglio -? O lo chiamassero Sua eccellenza? Erano amici come lo siamo adesso io e te, ed io agli amici son o abituato a dare del Tu".

Quanta verità, in una conversazione durata circa otto minuti, che rende per così dire giustizia anche dei felpati rapporti tra gli stessi Vescovi, segnati incomprensibilmente dal rigoroso “lei”. Il gesto di Papa Bergoglio, che probabilmente ha suscitato qualche perplessità se non sconcerto negli ambienti più tradizionali della Chiesa, è destinato comunque a lasciare il “segno”. Come sempre.

lunedì 12 agosto 2013

La Chiesa e la comunione ai divorziati risposati

Come hanno raccontato le cronache, durante il volo di ritorno da Rio de Janiero Papa Francesco non si è sottratto al fuoco di domande senza “filtro” dei giornalisti al seguito. 

Tra gli argomenti trattati quello della “comunione ai cattolici divorziati e risposati”. La questione posta investe la pastorale matrimoniale, della quale il Papa ha anticipato che se ne occuperà, tra l’altro, il gruppo degli otto cardinali  da lui costituito proprio per consigliarlo nell’affrontare le problematiche ecclesiali più urgenti . La tematica inoltre sarà al vaglio del prossimo Sinodo dei Vescovi, che approfondirà come "la fede aiuta la famiglia". 

A buona memoria però  va detto che dell’argomento se ne occupò il card. Joseph Ratzinger da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede già nel 1998 con uno scritto  in cui si precisano gli ambiti del problema:” Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte. Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici, can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi”.

 E non va dimenticato che la problematica è stata presente nella cura di Papa Benedetto XVI, che ne parlò nell’estate del 2005 ad un incontro con il clero della Diocesi di Aosta: “Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire “.

Approfondire un tema si complesso ma nel segno della misericordia, cui si richiama costantemente Papa Francesco:”Con riferimento al problema della Comunione alle persone in seconda unione, perché i divorziati possono fare la Comunione, non c’è problema, ma quando sono in seconda unione, non possono. .. credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale…Siamo in cammino per una pastorale matrimoniale un po’ profonda. E questo è un problema di tutti, perché ci sono tanti, no? Per esempio, ne dico uno soltanto: il cardinale Quarracino, il mio predecessore, diceva che per lui la metà dei matrimoni sono nulli. Ma diceva così, perché? Perché si sposano senza maturità, si sposano senza accorgersi che è per tutta la vita, o si sposano perché socialmente si devono sposare. E in questo entra anche la pastorale matrimoniale. E anche il problema giudiziale della nullità dei matrimoni, quello si deve rivedere, perché i Tribunali ecclesiastici non bastano per questo. E’ complesso, il problema della pastorale matrimoniale”.

giovedì 8 agosto 2013

Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme

Tra le tante cose destinate a restare del viaggio Apostolico a Rio de Janeiro in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù vi è il discorso del Santo Padre Francesco tenuto il 27 luglio all’episcopato brasiliano. 

Qualcuno l’ha definito pietra miliare in quanto “la sintesi più appassionata della sua visione sulla missione odierna della Chiesa”. 
Bella l’evocazione dell’icona di Emmaus per leggere la Chiesa del presente e del futuro. 

Papa Bergoglio, nel richiamare l’episodio evangelico (cfr Lc 24, 13-15) ha detto: “. I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (vv. 17-21). Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica”. 

Importante è la domanda che si pone il Pontefice e soprattutto la risposta che dà: “Di fronte a questa situazione che cosa fare?Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso”.

Dopo aver descritto, al di là degli aspetti positivi (come per esempio, la diminuzione delle distanze, l’avvicinamento tra le persone e le culture, la diffusione dell’informazione e dei servizi), gli effetti negativi della globalizzazione quali “la confusione circa il senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenere a un “nido”, la mancanza di un luogo e di legami profondi”, Francesco ha aggiunto: “Davanti a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus”.

sabato 13 luglio 2013

ITALIA

Sul giornale di Torino di oggi, nell'inserto "Accadeva 50 anni fa" viene riportata la prima pagina del quotidiano  di sabato 13 luglio 1963.

 Piena corrispondenza di giorno e mese con la differenza appunto di 50 anni. Ma il tempo per il nostro paese sembra non essere trascorso. E infatti il titolo di apertura di un articolo di Vittorio Gorresio dice:
 "Comincia una nuova fase nella vita politica ialiana.  
Intensa lotta di correnti nella dc e nel psi nell'attesa che si apra il dialogo dei partiti
I fanfaniani tengono un'agitata riunione notturna - Subito dopo si sparge la voce che il loro esponente Forlani si è dimesso da vice segretario dc, ma la notizia viene smentita. Fra gli autonomisti socialisti la frattura persiste: decisioni definitive saranno prese da Lombardi e dai suoi seguaci mercoledì o giovedì". 

Come si vede, facendo un salto nel presente, nulla di nuovo sotto il cielo italico. Sono cambiate le sigle, i nomi (soprattutto per la selezione naturale della vita), ma certe dinamiche frazioniste o correntizie, che dir si voglia,  della politica con la "p" minuscola restano le stesse. Quella era l'Italia (e la sua rappresentanza politica). Questa è l'Italia (e la sua rappresentanza politica).

lunedì 8 luglio 2013

Papa Francesco a Lampedusa

Significato profetico del viaggio del Papa, venuto dalla "fine del mondo", a Lampedusa. Un viaggio  che  segnala la visione geografica di questo pontefice, che  ha compiuto la sua prima visita apostolica proprio  nella terra della tragedia e della speranza di immigrati e rifugiati del sud del mondo.

All'omelia  Francesco ha evocato la condizione dei migranti come "una spina nel cuore che porta sofferenza" . Eppure ha aggiunto il Santo Padre: "  La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza".

venerdì 28 giugno 2013

Quel mattone di una vita

All’Udienza generale di mercoledì scorso Papa Francesco ha evidenziato l’importanza che nella Chiesa ha e deve avere ogni battezzato. 

Ciò sulla base di un preciso disposto recepito nella legge universale della Chiesa : “I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo” (Can. 204 - §1 CIC). 

Al riguardo si comprende meglio, dunque, il pensiero di Papa Francesco: “La Chiesa non è un intreccio di cose e di interessi, ma è il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio in cui ognuno di noi con il dono del Battesimo è pietra viva. Questo ci dice che nessuno è inutile nella Chiesa e se qualcuno a volte dice ad un altro: ‘Vai a casa, tu sei inutile’, questo non è vero, perché nessuno è inutile nella Chiesa, tutti siamo necessari per costruire questo Tempio! Nessuno è secondario. Nessuno è il più importante nella Chiesa, tutti siamo uguali agli occhi di Dio. Qualcuno di voi potrebbe dire: ‘Senta Signor Papa, Lei non è uguale a noi’. Sì, sono come ognuno di voi, tutti siamo uguali, siamo fratelli! Nessuno è anonimo: tutti formiamo e costruiamo la Chiesa. Questo ci invita anche a riflettere sul fatto che se manca il mattone della nostra vita cristiana, manca qualcosa alla bellezza della Chiesa. Alcuni dicono: ‘Io con la Chiesa non c’entro’, ma così salta il mattone di una vita in questo bel Tempio. Nessuno può andarsene, tutti dobbiamo portare alla Chiesa la nostra vita, il nostro cuore, il nostro amore, il nostro pensiero, il nostro lavoro: tutti insieme”.

mercoledì 12 giugno 2013

Il “progressismo adolescente” e il Popolo di Dio

Papa Francesco prosegue a instillare la sua la catechesi, giorno dopo giorno con i gesti e con la Parola. 
Stamani, durante l’ormai attesa omelia nella Messa celebrata quotidianamente alla Casa Santa Marta, ha ammonito la Chiesa e dunque i cristiani dal non cadere nella tentazione del “progressismo adolescente”, che fa “uscire dalla strada”, rimanendo succubi di certa cultura .

 Nell’udienza generale del mercoledì, si è poi soffermato sul termine “Popolo di Dio”, evocando il Concilio Vaticano II e in particolare la Costituzione dogmatica Lumen gentium n. 9 e il Catechismo della Chiesa Cattolica n. 782. Il Papa ha spiegato cosa vuol dire essere “Popolo di Dio”, come si diventa membri di questo popolo, quali sono la legge, la missione e il fine dello stesso. 

Con riferimento alla legge, indicata in quella “dell’amore, amore a Dio e amore al prossimo secondo il comandamento nuovo che ci ha lasciato il Signore (cfr Gv 13,34)”, ha aggiunto: “ Un amore, però, che non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma che è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi…Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne…Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell'amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!”

Circa la missione, il Santo Padre ha ricordato essere quella “di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio: essere segno dell’amore di Dio che chiama tutti all’amicizia con Lui; essere lievito che fa fermentare tutta la pasta, sale che dà il sapore e che preserva dalla corruzione, essere una luce che illumina”. 

Enunciato il fine di questo popolo, che è il Regno di Dio, Papa Bergoglio ha così concluso: “Cari fratelli e sorelle, essere Chiesa, essere Popolo di Dio, secondo il grande disegno di amore del Padre, vuol dire essere il fermento di Dio in questa nostra umanità, vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso è smarrito, bisognoso di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l’altro accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo”.

sabato 8 giugno 2013

Incontro “sulla stessa strada tra i due colli”

Giorgio Napolitano in visita ufficiale in Vaticano ha incontrato oggi, primo capo di Stato, papa Francesco. Il Pontefice e il Presidente si erano già visti, il 19 marzo in San Pietro, al termine della messa per l’inizio del ministero petrino.
Questa visita ufficiale avviene dopo la rielezione di Napolitano per il suo secondo mandato: la precedente, a Benedetto XVI, era avvenuta il 20 novembre 2006. 
Papa Francesco  ha reso il rapporto tra i due Stati, avente “come fine principale il bene del popolo italiano e come sfondo ideale il suo ruolo storicamente unico in Europa e nel mondo con l'immagine dei due colli, “il Quirinale e il Vaticano, che si guardano con stima e simpatia”.
Sia il Pontefice che il Presidente hanno richiamato anche il rapporto di stima e di amicizia di quest’ultimo, nella sua funzione, e Sua Santità Benedetto XVI. 

Al centro dei discorsi i temi della libertà' religiosa e della crisi economica che ormai non conosce confini. A proposito della prima, il Papa ha detto tra l’altro: “Nel mondo di oggi la libertà religiosa è più spesso affermata che realizzata. Essa, infatti, è costretta a subire minacce di vario tipo e non di rado viene violata. I gravi oltraggi inflitti a tale diritto primario sono fonte di seria preoccupazione e devono vedere la concorde reazione dei Paesi del mondo nel riaffermare, contro ogni attentato, l’intangibile dignità della persona umana. E’ un dovere di tutti difendere la libertà religiosa e promuoverla per tutti. Nella tutela condivisa di tale bene morale si trova, inoltre, anche una garanzia di crescita e di sviluppo dell’intera comunità”. 

Ma Francesco si è poi soffermato sulla necessità dell’impegno politico soprattutto tra i giovani perché “credenti e non credenti insieme collaborino nella promozione di una società dove le ingiustizie possano essere superate e ogni persona venga accolta e possa contribuire al bene comune secondo la propria dignità e mettendo a frutto le proprie capacità “. E ha aggiunto: “Anche noi, cattolici, abbiamo il dovere di impegnarci sempre di più in un serio cammino di conversione spirituale affinché ci avviciniamo ogni giorno al Vangelo, che ci spinge ad un servizio concreto ed efficace alle persone e alla società”.

 Napolitano, richiamando la problematica sociale dell’oggi, ha affermato: “La necessità di una nuova visione dello sviluppo dell'economia e della società si pone per l'Europa nel suo complesso, stimolandone drammaticamente l'unione e chiamandola ad una piena comprensione delle nuove realtà emergenti e delle istanze ancora inascoltate dei popoli di diversi continenti rimasti nel passato ai margini dello sviluppo mondiale.Il cambiamento che s'impone in Italia non può non toccare anche comportamenti diffusi, allontanatisi gravemente da valori spirituali e morali che soli possono ispirare la ricerca di soluzioni sostenibili per i nostri problemi, di prospettive più serene e sicure”. 

Da ciò la necessità sempre maggiore di una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa, quest’ultima con il “suo magistero educativo" e il suo quotidiano esercizio pastorale : la Chiesa attraverso i suoi Vescovi, e tra essi, in primis, il Vescovo di Roma, il Santo Padre”. Un rapporto che -ha detto il Presidente- “tra Stato e Chiesa cattolica in Italia non è qualcosa di freddamente istituzionale ma qualcosa di profondamente vissuto, radicato nella storia, e cresciuto, sempre di più, parallelamente al dialogo interreligioso e al dialogo tra credenti e non credenti”.

Nel concludere il capo dello Stato si è così rivolto al Papa: “ Sono certo, Santità, che ci incontreremo con eguale slancio sulla stessa strada tra i due colli, con attenzione a quel che si muove ed evolve attorno a noi, e sempre in spirito di reciproco rispetto, di chiara distinzione e di fattiva collaborazione”.