domenica 22 aprile 2012

A proposito di rigore fiscale e sana amministrazione

Mentre sembra che si sia placato se non esaurito  il filone mediatico sulla Chiesa "evasore fiscale" (ICI e dintorni), un uomo di Chiesa riprende in generale il tema della compartecipazione alla cosa pubblica secondo una prospettiva culturale e ancor prima teologica e scritturistica. 
Si tratta del card. Gianfranco Ravasi, che ha svolto un intervento sull'ultimo numero de L'Espresso dal titolo significativo e allo stesso tempo intrigante: "Chi riscuote le tasse è funzionario di Dio".  Un titolo che evoca un brano della Lettera ai Romani di San Paolo (13,1-7). 
Il taglio del pezzo giornalistico rispetta le precise competenze dell'alto prelato, che, oltre ad essere insigne biblista, è da qualche anno anche a capo del dicastero pontificio che si occupa di cultura nel mondo attuale. 
Il card. Ravasi richiama nel suo articolo l'attenzione di tutti e del mondo cattolico in particolare sulla necessità del rigore in materia fiscale, non solo per ragioni legali ma soprattutto - toccando in pieno il piano della fede cristiana- per motivi morali e di coscienza nel solco dell'insegnamento diretto di Cristo che "pur appartenendo sostanzialmente a una fascia debole della società" è stato "uno scrupoloso contribuente". 
Da par suo, l'illustre porporato nutre quest'ultima affermazione con precisi richiami al Nuovo Testamento secondo cui Cristo pagava le tasse per il tempio (cfr. Mt 17, 24-27); "scelse" un esattore delle tasse (cfr. Mt 9,9); ammoniva a rendere a "Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (cfr. Mt 22,21); esigeva la conversione e il risarcimento da parte dei corrotti (cfr. Lc 19,1-10).
Ma il card. Ravasi va oltre il mero aspetto fiscale, soffermandosi sulla gestione economica della cosa pubblica. Si assiste, infatti, sempre più spesso allo sperpero di risorse, dovuto all'accaparramento per fini privati ovvero  alla dilagante corruzione se non alla inetta amministrazione dei fondi che si è chiamati a gestire e derivanti dal gettito fiscale dei contribuenti. 
Su tutto questo è perciò destata la vigile sollecitudine del mondo ecclesiale, la cui "predicazione e catechesi - parole di Ravasi- non si sono sprecate". Ciò, nonostante  la necessità di coinvolgere i fedeli-cittadini  nella sfera fiscale attraverso il sistema dell'otto per mille. 

venerdì 13 aprile 2012

Il tempo sacro dei cinquanta giorni


I cinquanta giorni (sette volte sette giorni con un domani ) dalla domenica di Risurrezione alla domenica di Pentecoste costituiscono il Tempo di Pasqua da vivere come tempo dello Spirito e  celebrati nella letizia e nella esultanza come un solo giorno di festa, anzi come una “grande domenica” (dalle Norme generali CEI sull’anno liturgico 22).
Nelle domeniche del tempo pasquale si leggono i brani del Vangelo legati alla Resurrezione di Cristo e alla sua presenza in mezzo ai suoi discepoli. 

La preghiera di Colletta della prossima domenica dell'Ottava di Pasqua dà la cifra di questo Tempo.
 “O Dio, che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa' che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell'assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione”.

giovedì 5 aprile 2012

In preparazione alla Pasqua

Per i cattolici iniziano oggi, con la Santa Messa in Coena Domini, le celebrazioni del Triduo Pasquale,  vertice di tutto l’Anno liturgico. Si celebra il Mistero centrale della fede: la passione, morte e risurrezione di Cristo. In vista della Pasqua non c'è di meglio dell'immagine della croce di S. Damiano ad Assisi, con gli occhi aperti del Cristo triumphans sulla morte. 


Papa Benedetto nell'udienza generale di ieri così ha presentato l'evento pasquale: " Nel Vangelo di san Giovanni, questo momento culminante della missione di Gesù viene chiamato la sua «ora», che si apre con l’Ultima Cena. L’Evangelista lo introduce così: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Tutta la vita di Gesù è orientata a questa ora, caratterizzata da due aspetti che si illuminano reciprocamente: è l’ora del «passaggio» (metabasis) ed è l’ora dell’«amore (agape) fino alla fine». In effetti, è proprio l’amore divino, lo Spirito di cui Gesù è ricolmo, che fa «passare» Gesù stesso attraverso l’abisso del male e della morte e lo fa uscire nello «spazio» nuovo della risurrezione. E’ l’agape, l'amore,che opera questa trasformazione, così che Gesù oltre-passa i limiti della condizione umana segnata dal peccato e supera la barriera che tiene l’uomo prigioniero, separato da Dio e dalla vita eterna. Partecipando con fede alle celebrazioni liturgiche del Triduo Pasquale, siamo invitati a vivere questa trasformazione attuata dall’agape. Ognuno di noi è stato amato da Gesù «fino alla fine», cioè fino al dono totale di Sé sulla croce, quando gridò: «E’ compiuto!» (Gv 19,30). Lasciamoci raggiungere da questo amore, lasciamoci trasformare, perché veramente si realizzi in noi la risurrezione". Tutti, nessuno escluso, credenti in Cristo possiamo dire che la Sua risurrezione "è la mia risurrezione". Non sciupiamo questi giorni per contemplare Dio e, contemplandolo, conoscere qualcosa di Lui.