Nella meditazione mattutina a Santa Marta del 14 ottobre, papa Francesco,
commentando le letture della liturgia tratte dalla lettera di san Paolo ai Romani (1, 1-7) e dal Vangelo di Luca (11, 29-32), ha richiamato la “ sindrome di Giona”, quella che “ci porta all’ipocrisia, a quella sufficienza che crediamo di raggiungere perché siamo cristiani puliti, perfetti, perché compiamo queste opere osserviamo i comandamenti, tutto. Una grossa malattia, la sindrome di Giona!”.
Il Santo Padre ha ricordato che il Signore "davanti a questa generazione, malata della sindrome di Giona, promette il segno di Giona", che altro non è che "« il suo perdono tramite la sua morte e la sua risurrezione. Il segno che Gesù promette è la sua misericordia, quella che già chiedeva Dio da tempo: misericordia voglio e non sacrifici".
Il Pontefice ha ammonito dunque che "il vero segno di Giona è quello che ci dà la fiducia di essere salvati dal sangue di Cristo. Ci sono tanti cristiani che pensano di essere salvati solo per quello che fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva".