E’ Natale. Viviamo tempi non facili in questa nostra società che vede restringersi gli spazi di ben-essere. E tuttavia permane la cosiddetta atmosfera natalizia, fatta di cornice festosa.
Ma il Natale non si può ridurre a semplice poesia. E’ più che mai necessario recuperare o non perdere di vista il senso teologico della venuta di Cristo, per collocare la festa nel suo giusto contesto.
Fermiamo e manteniamo il nostro sguardo ammirato sul Bambino, ricordando che la sua fragilità è tenerezza che diventa forza in quanto Verbo incarnato.
Partiamo da questa certezza con l’aiuto della Rivelazione. L’evangelista Luca ( 2,1-14) si sofferma su alcuni particolari storici che ci garantiscono la storicità e credibilità dell’evento. Gesù che, nel segno delle promesse dell’Antico Testamento, nasce povero in una remota provincia dell’impero romano in modo diverso da quello atteso e sospirato dal popolo ebraico.
San Leone Magno presenta così il senso e la portata di ciò che accade: “ Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita” (Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193).
Da ciò, quindi, “sgorga un messaggio di speranza in questo mondo che rischia di non sperare più; un fascio di luce in questo mondo che sembra sprofondare nelle tenebre; un elemento di novità in una società che talora ci appare decrepita. Un bambino che nasce è un destino nuovo che si apre, una speranza che si ridesta” (M. Magrassi).
Col Natale un nuovo inizio è sempre possibile. Per tutti. Per ciascuno di noi. Auguri!