sabato 25 aprile 2015

A proposito di divorzio...breve

Dopo 45 anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento civile (Legge I° dicembre 1970 n. 898, detta “Baslini-Fortuna) è arrivato il cosiddetto divorzio breve, con l’approvazione in via definitiva della Camera dei Deputati, dopo che il Senato aveva apportato modifiche al relativo disegno di legge.
 
Le cronache ci dicono che il provvedimento ha visto favorevoli 398 deputati, contrari 30 e 14 astenuti. Una legge, dunque, che nasce con un’ampia maggioranza trasversale che va oltre quella governativa e che consta di soli tre articoli.
 
Premesso che la nuova legge si applica anche ai procedimenti in corso, saranno necessari, in caso di controversia tra i coniugi, dodici mesi fra la separazione (ossia dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale) e la richiesta per ottenere il divorzio, rispetto ai tre anni finora previsti; mentre bastano sei mesi nel caso di separazione consensuale. Viene altresì anticipato il momento dello scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi all’atto in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.
 
Per la verità non si tratta di una prima modifica alla legge sul divorzio. Intanto, i meno giovani, come chi scrive, ricordano l’epoca referendaria sul divorzio del 1974, in cui l’87 per cento degli italiani andarono a votare e i “no” ottennero il 59,30 per cento, i “sì” il 40,7. Successivamente , in particolare con la L. 74/1987 si ridussero i tempi necessari per arrivare alla sentenza definitiva.
 
 
A margine di questo traguardo parlamentare, tuttavia, s’impongono alcune considerazioni, che guardano alle premesse sociali dello stesso provvedimento. Dal film del ’61 “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi ad oggi tanta acqua è passata anche sotto i ponti del bel paese. Il tempo in cui l’adulterio era un reato, con l’aggravante se commesso da una donna, per cui c’era l’attenuante per il delitto d’onore, così come la violenza carnale poteva essere “emendata” se il reo si impegnava a sposare la vittima.
 
 
E allora, se è vero come è vero, che le leggi, frutto di scelte politiche, servono a regolare fenomeni che sono già presenti nella società, non possiamo non rilevare che la maggioranza degli italiani, in linea con l’occidente, abbia una visione del matrimonio per così dire contrattualistica che si può fare e disfare secondo il proprio volere.
 
Per dirla con Michele Brambilla , insomma,
"Ad esempio l’idea che c’è pure una bellezza nello stare insieme nonostante le difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. L’idea dunque che fare una famiglia è anche - pure qui l’anche è sottolineato - una storia di fatica, di sacrifici da compiere, di gesti e parole da perdonare, di rinunce, perfino di sopportazioni. Non è questione di chiedere l’eroismo. È questione di discernere fra il matrimonio-martirio, che nessuno vuole, e il matrimonio banalizzato, il matrimonio che si sta insieme finché si prova quello che si prova nei romanzi di Moccia, in un’eterna adolescenza. Chiunque si innamora prova il desiderio che quel che sta provando non finisca mai: e certo non si può esigere l’eternità dell’amore per legge, ma il «ti amo» dei tempi nostri, cioè a tempo determinato, magari a tutele crescenti, beh insomma, forse un po’ di fascino l’ha perso. Non si vuole ovviamente giudicare nessuno, solo constatare che oggi molto spesso ci si lascia alla prima difficoltà. Il divorzio breve, se giudicato in superficie, è certamente una legge utile, che semplifica molte situazioni che altrimenti si trascinerebbero per anni, con il loro codazzo di rancori. Se guardato un po’ più in profondità, è invece anche la spia di come siamo cambiati di fronte appunto a termini come fatica, sacrificio, rinunce, perdono, responsabilità, fedeltà a un impegno preso e a una parola data. Tutte cose che abbiamo smarrito non solo riguardo al matrimonio".

domenica 12 aprile 2015

“Misericordiosi come il Padre”


Ieri, vigilia di questa II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, papa Francesco ha consegnato, con la Lettera Apostolica Misericordiae Vultus , la bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, il cui motto sarà proprio l’espressione tratta dal Vangelo di Luca (6,36) “Misericordiosi come il Padre”.
 
Misericordia, dunque, tema tanto caro a questo Papa che lo ha scelto, evocando San Beda il venerabile, come proprio motto: “miserando atque eligendo”. Giubileo sulla misericordia che nasce, per il Pontefice, da un insopprimibile bisogno del credente di contemplarne il mistero, “fonte di gioia, di serenità e di pace” ed essendo “la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita… la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”.
 
Un Giubileo Straordinario della Misericordia, quindi, “come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti”. L’Anno Santo inizierà il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione, con l’apertura della Porta Santa da parte di Francesco, mentre la domenica successiva, Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma, e successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali.
 
C’è poi una novità voluta dal Papa, quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa , e cioè che “nella stessa domenica… in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale... a Roma così come nelle Chiese particolari”.
 
Non casuale la scelta della data, ricorrendo il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, per cui “La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento”. Proseguendo nella disamina delle tappe “L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. “In quel giorno –scrive papa Francesco - , chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi”.
 
Del resto, papa Bergoglio ricorda la sostanza della missione della Chiesa: “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia». Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza”. 
 
A tal proposito, il Santo Padre fa suoi i rilievi e le urgenze ecclesiali evidenziate da san Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia. Ed è per questo che "Misericordiosi come il Padre", deve diventare un programma di vita, ma per fare ciò occorre “recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita”, personale e comunitario, cosicché “dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia”.
 
Un'attenzione particolare, tra l’altro, il Papa la rivolge al sacramento della ministero sacerdotale della riconciliazione: “Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia”.
 
Un tempo annuale che non lascia alcuno “indifferente”, neppure quegli uomini e quelle donne lontani dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita criminale, organizzata o no e fonte di corruzione: “Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia”. Anche perché “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere”.
 
E ancora, non sono esclusi gli altri credenti: “La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione”.
 
Papa Francesco, infine, invita a lasciarsi “sorprendere da Dio”, che “non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita” .

venerdì 10 aprile 2015

Ottava di Pasqua, venerdì

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te».
Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora».

Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. (Gv 21,1-14).

Dio onnipotente ed eterno, che nella Pasqua del tuo Figlio hai offerto agli uomini il patto della riconciliazione e della pace, donaci di testimoniare nella vita il mistero che celebriamo nella fede (Preghiera di Colletta).

domenica 5 aprile 2015

L'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre

“L’annuncio pasquale risuona oggi nella Chiesa: Cristo è risorto, egli vive al di là della morte, è il Signore dei vivi e dei morti. Nella «notte più chiara dei giorno» la parola onnipotente di Dio che ha creato i cieli e la terra e ha formato l’uomo a sua immagine e somiglianza, chiama a una vita immortale l’uomo nuovo, Gesù di Nazaret, figlio di Dio e figlio di Maria.
 
Pasqua è dunque annuncio del fatto della risurrezione, della vittoria sulla morte, della vita che non sarà distrutta. Fu questa la realtà testimoniata dagli apostoli; ma l’annuncio che Cristo è vivo deve risuonare continuamente. La Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, custodisce questo annuncio e lo trasmette in vari modi ad ogni generazione: nei sacramenti lo rende attuale e contemporaneo ad ogni comunità riunita nel nome dei Signore; con la propria vita di comunione e di servizio si sforza di testimoniano davanti al mondo…Questa vita è tutta da costruire nell’oggi, non da proiettare in un futuro dai contorni imprecisi: Pasqua è oggi, è ogni giorno dell’esistenza umana e cristiana”(da maranatha.it).
Santa Pasqua!

venerdì 3 aprile 2015

"Stanchezza sacerdotale"

In tutte le chiese cattedrali, il pomeriggio del mercoledì santo ovvero al mattino del giovedì santo, si celebra la messa del Crisma, nel segno dell’unità della Chiesa particolare, adunata intorno al proprio pastore e alla quale partecipano tutti i presbiteri della diocesi. Questi ultimi dopo l’omelia del vescovo diocesano sono chiamati a rinnovare le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale. Il vescovo inoltre consacra gli oli che verranno usati durante il corso dell’anno per celebrare i sacramenti: il crisma (usato nel battesimo, nella cresima e nell'ordinazione dei sacerdotale); l'olio dei catecumeni e l'olio degli infermi.

Proprio in questa circostanza , ieri il vescovo di Roma, prendendo spunto del Salmo 88 ha parlato della “stanchezza dei sacerdoti”, ricordando che “il compito di ungere il popolo fedele non è facile, è duro; ci porta alla stanchezza e alla fatica. Lo sperimentiamo in tutte le forme: dalla stanchezza abituale del lavoro apostolico quotidiano fino a quella della malattia e della morte, compreso il consumarsi nel martirio.”
 
Francesco però ha precisato che detta stanchezza “ è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo (cfr Sal 140,2; Ap 8,3-4). La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre” Il Santo Padre ha poi ammonito i sacerdoti a sfuggire per il peso del lavoro pastorale alla tentazione “di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio”. A tal proposito, il Papa ha parlato di “fecondità sacerdotale”, che “sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza”, soffermandosi, quindi, sulla natura del riposo nello Spirito Santo, ben diverso da quello che offre la società dei consumi, ripiegato su se stesso per soddisfare una sorta di auto-compiacimento individuale e non aperto al dialogo “con Gesù, con il Padre, con la Vergine e san Giuseppe, con i miei Santi protettori amici per riposarmi nelle loro esigenze “. E ancora Francesco continua: “So riposare dai miei nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me, rimuginando più volte la mia difesa, o mi affido allo Spirito Santo che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo riposo dicendo: «So in chi ho posto la mia fede» (2 Tm 1,12)?”.
 
Il Pontefice ha evocato gli impegni non facili dei sacerdoti e cioè “portare ai poveri la Buona Notizia, annunciare la liberazione ai prigionieri e la guarigione ai ciechi, dare la libertà agli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Isaia dice anche curare quelli che hanno il cuore spezzato e consolare gli afflitti”. Impegni che in concreto si traducono col tenere il cuore aperto alle emozioni provate nel condividere le vicende umane della comunità affidata al sacerdote, per cui : “ridiamo con il bimbo che portano a battezzare; accompagniamo i giovani che si preparano al matrimonio e alla famiglia; ci addoloriamo con chi riceve l’unzione nel letto di ospedale; piangiamo con quelli che seppelliscono una persona cara… E così la nostra vita sacerdotale si va donando nel servizio, nella vicinanza al Popolo fedele di Dio… che sempre, sempre stanca”.
 
Ma tale stanchezza che profuma “di pecore” non stanca, perché è fonte di gioia. E infatti, papa Francesco precisa: “Siamo gli amici dello Sposo, questa è la nostra gioia. Se Gesù sta pascendo il gregge in mezzo a noi non possiamo essere pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati. Odore di pecore e sorriso di padri… Sì, molto stanchi, ma con la gioia di chi ascolta il suo Signore che dice: «Venite, benedetti del Padre mio» (Mt 25,34)”. Così come, senza tregua, bisogna difendere se stessi e il gregge (cfr. Evangelii gaudium, 83) dalle lusinghe del demonio e dei suoi seguaci, che “non sopportano la Parola di Dio” e “lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla”. In tal senso, per il Papa “occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare il male” , senza la pretesa “di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere”.
 
 “Tutto questo” – dice Francesco- “aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33)”. E infine, il Papa ha accennato alla “stanchezza di se stessi” (cfr. Evangelii gaudium, 277), cioè quella di “civettare con la mondanità spirituale”, la cui causa è indicata in Apocalisse 2, 3-4:”Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Solo l’amore dà riposo. Ciò che non si ama, stanca male, e alla lunga stanca peggio”.