Il 10 novembre scorso Papa Francesco nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze ha rivolto un miliare discorso
ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana .
In linea col tema del convegno, il Papa ha affermato che “L’umanesimo cristiano è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5)”. E, trattando di questi sentimenti, ne ha indicati tre.
“Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre”.
Riferendosi poi al “disinteresse”, Francesco ha ammonito:
“ Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo… L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio”.
Il Pontefice ha, quindi, evocato la beatitudine:
“Le beatitudini che leggiamo nel Vangelo iniziano con una benedizione e terminano con una promessa di consolazione…Per essere «beati», per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Sal 34,9)!”.
Per questo, “Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente”.
Ma il Santo Padre ha anche messo in guardia dalle tentazioni che la Chiesa può correre a partire da quella pelagiana, che spinge la stessa
“Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso… la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo”.
E poi quella dello gnosticismo, che
“porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro… Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo…dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium, 94). Invocando, infine, il dialogo, il Papa ha ricordato che “il modo migliore per dialogare… è quello… di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà…Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca…Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo.”