mercoledì 28 dicembre 2016

Papa Francesco e la riforma della Curia Romana

Con il consueto discorso  tenuto lo scorso 22 dicembre per la tradizionale presentazione degli auguri natalizi della Curia Romana, Papa Francesco ha chiuso un ideale trittico avente ad aggetto questo importante organismo mediante il quale “il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese” (can. 360 CIC). 

Il Pontefice nel suo primo incontro del 2013  aveva messo in luce proprio le caratteristiche di quanti operano in Curia, quali la professionalità, il servizio e la santità della vita, indicando come modello da imitare la figura di san Giuseppe. In quello successivo del 2014  si è soffermato sulla necessità per la Curia di migliorarsi, anzi di curarsi da certe “malattie curiali”, arrivando ad enumerarne ben 15. 

Nel 2015, nel contesto dell’Anno della Misericordia, ha dettato “un non esaustivo “catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa… un elenco che parte proprio da un’analisi acrostica della parola “misericordia”. 

Quest’anno il Santo Padre è andato alle ragioni di fondo della riforma della Curia, perché “come per tutta la Chiesa, anche nella Curia il semper reformanda deve trasformarsi in una personale e strutturale conversione permanente”. A tal proposito, ha richiamato la presenza di “resistenze”, precisandone le diverse tipologie: “le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo ‎sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; ‎esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici ‎e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare ‎tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.‎ L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi, perché è un segno che il corpo è vivo. Tutto questo sta a dire che la riforma della Curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera - tanta preghiera! -, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno. E, per questo, preghiera, preghiera e preghiera”. 

Papa Francesco ha, quindi, indicato i dodici principali criteri guida della riforma: “individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità”. 

Tra gli altri, il criterio della pastoralità, per cui “L’impegno di tutto il personale della Curia deve essere animato da una pastoralità e da una spiritualità di servizio e di comunione, poiché questo è l’antidoto contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità. In questo senso il beato Paolo VI ammonì: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonistica e ritualistica, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione; di fratelli e di figli del Papa, che tutto fanno, ciascuno con rispetto all’altrui competenza e con senso di collaborazione, per servirlo nel suo servizio ai fratelli ed ai figli della Chiesa universale e della terra intera»”. 

Così come per quello della cattolicità “È opportuno prevedere l’accesso a un numero maggiore di fedeli laici specialmente in quei Dicasteri dove possono essere più competenti dei chierici o dei consacrati. Di grande importanza è inoltre la valorizzazione del ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa e la loro integrazione nei ruoli-guida dei Dicasteri, con una particolare attenzione alla multiculturalità.”.

giovedì 24 novembre 2016

Una pastorale e una cultura della misericordia

Domenica scorsa, Papa Francesco, al termine della Messa celebrata a conclusione dell’Anno Santo straordinario dedicato alla misericordia, ha firmato sul sagrato della basilica vaticana la lettera apostolica “Misericordia et misera” .

Composta da ventidue punti, l’incipit evoca le due parole che “sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11)”. Con tale racconto, il Papa evidenzia la cifra di questo Giubileo, affermando: “La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo”. 

E infatti, il Santo Padre richiama la fondamentale valenza del perdono per il cristiano, in quanto “segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. Perfino nel momento ultimo della sua esistenza terrena, mentre viene inchiodato sulla croce, Gesù ha parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34)”. E dunque: “Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona”. 

Misericordia che, in una società caratterizzata dal “moltiplicarsi delle forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani”. diventa fonte di gioia alla luce delle parole “dell’Apostolo: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4; cfr 1 Ts 5,16)”. Tracciando un bilancio del Giubileo, papa Bergoglio si sente di metterne in luce la portata ecclesiale di ascolto volto appunto al perdono: “In questo Anno Santo la Chiesa ha saputo mettersi in ascolto e ha sperimentato con grande intensità la presenza e vicinanza del Padre, che con l’opera dello Spirito Santo le ha reso più evidente il dono e il mandato di Gesù Cristo riguardo al perdono”.

Il Santo Padre scandisce i momenti in cui la misericordia viene celebrata nella liturgia, mentre richiama l’abbondanza con cui la misericordia viene donata con la vita sacramentale e in particolare con la Riconciliazione e l’Unzione dei malati. In tutto ciò “assume un significato particolare anche l’ascolto della Parola di Dio” e con essa “importanza acquista l’omelia”, per cui si raccomanda ai sacerdoti di preparare quest’ultima sperimentando su di sé “la bontà misericordiosa del Signore”. Il Papa esorta a diffondere tra le comunità cristiane la Lectio Divina e a dedicare una domenica interamente alla parola di Dio, mentre nell’esprimere apprezzamento e gratitudine, ha deciso di prorogare “fino a nuova disposizione” il servizio dei circa mille Missionari della misericordia “come segno concreto che la grazia del Giubileo continua ad essere, nelle varie parti del mondo, viva ed efficace”. 

Rivolgendosi poi ai sacerdoti in generale, Francesco chiede: “di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio”. Il tutto per sottolineare l’importanza del sacramento della Riconciliazione che “ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono. Un’occasione propizia può essere la celebrazione dell’iniziativa 24 ore per il Signore in prossimità della IV domenica di Quaresima, che già trova molto consenso nelle Diocesi e che rimane un richiamo pastorale forte per vivere intensamente il Sacramento della Confessione”. 

Per questo, “ perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”. Così come il Papa ha deciso di prorogare la decisione adottata all’inizio del Giubileo di considerare valida la confessione dei fedeli con i sacerdoti appartenenti alla Fraternità San Pio X (lefebvriani). 

“Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa. Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. E’ per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone. È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’individualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi. «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), dice Gesù ai suoi discepoli. Non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro”.

“ Questo è ...  per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé. Alla luce del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri”.

E ancora,  il Papa decreta l'istituzione di una Giornata mondiale dei poveri, e di una giornata del perdono, nella IV domenica di quaresima; nuove opere per esprimere la "misericordia come valore sociale"; e dispone che ogni diocesi scelga una domenica da dedicare a Bibbia e lectio divina.

sabato 15 ottobre 2016

“Humanam progressionem”: lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo.

Dopo la nascita del nuovo Dicastero per Laici, famiglia e vita, con il Motu Proprio Humanam progressionem, firmato il 17 agosto scorso e pubblicato il 31 dello stesso mese, papa Francesco ha istituito il ‘’Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale”, ponendo un altro mattone per la riforma della Curia. Il santo Padre ha nominato prefetto dell’organismo il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, attualmente presidente del Pontifico Consiglio della giustizia e della pace.
 
Il nuovo organismo, frutto dello studio del Consiglio dei nove cardinali (C9), mette insieme, facendone cessare le funzioni a partire dal prossimo I gennaio, i seguenti Pontifici Consigli: Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e Pastorale per gli Operatori Sanitari. Essendo abrogati gli articoli 142-153 della Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Pastor Bonus, i suddetti Consigli vengono contestualmente soppressi.
 
Posto che “la Chiesa è chiamata a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo. Tale sviluppo si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato”, scopo del dicastero è “attuare la sollecitudine della Santa Sede nei suddetti ambiti, come pure in quelli che riguardano la salute e le opere di carità”. In particolare, si legge nello Statuto, approvato nello stesso giorno del Motu Proprio,
“Il Dicastero esprime pure la sollecitudine del Sommo Pontefice verso l’umanità sofferente, tra cui i bisognosi, i malati e gli esclusi, e segue con la dovuta attenzione le questioni attinenti alle necessità di quanti sono costretti ad abbandonare la propria patria o ne sono privi, gli emarginati, le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime delle forme contemporanee di schiavitù e di tortura e le altre persone la cui dignità è a rischio” (Art. 1 § 3).
Novità di assoluto rilievo è il fatto che la Sezione che si occupa specificamente di quanto concerne i profughi e migranti “ è posta ad tempus sotto la guida del Sommo Pontefice che la esercita nei modi che ritiene opportuni” (cfr. art. 1 § 4). A tal proposito si nota che non era mai successo che un Pontefice dirigesse una sezione, anche se fino alla riforma di Paolo VI il Papa poteva guidare direttamente alcuni dicasteri, in particolare la Segreteria di Stato con Pio XII e quello dei vescovi e delle cause dei santi, che furono guidati da Giovanni XXIII e da Pio XII fino alla riforma.
 
Tutti temi che verranno approfonditi “nel solco della dottrina sociale della Chiesa”, adoperandosi "affinché essa sia largamente diffusa e tradotta in pratica e i rapporti sociali, economici e politici siano sempre più permeati dallo spirito del Vangelo" (cfr. art. 3 § 1). Nel dettaglio all’art. 3 §2, lo Statuto indica i compiti operativi:
 
“Raccoglie notizie e risultati di indagini circa la giustizia e la pace, il progresso dei popoli, la promozione e la tutela della dignità e dei diritti umani, specialmente, ad esempio, quelli attinenti il lavoro, incluso quello minorile, il fenomeno delle migrazioni e lo sfruttamento dei migranti, il commercio di vite umane, la riduzione in schiavitù, la carcerazione, la tortura e la pena di morte, il disarmo o la questione degli armamenti nonché i conflitti armati e le loro conseguenze sulla popolazione civile e sull’ambiente naturale (diritto umanitario). Valuta questi dati e rende partecipi gli organismi episcopali delle conclusioni che ne trae, perché essi, secondo opportunità, intervengano direttamente”. Così come, “Il Dicastero si adopera perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza materiale e spirituale – se necessario anche mediante opportune strutture pastorali – agli ammalati, ai profughi, agli esuli, ai migranti, agli apolidi, ai circensi, ai nomadi e agli itineranti” (art. 3 § 3).
Un rapporto viene attuato con le istituzioni cattoliche “che s’impegnano per il rispetto della dignità di ogni persona e l’affermazione dei valori della giustizia e della pace e nell’aiuto ai popoli che sono nell’indigenza, specialmente quelle che prestano soccorso alle loro più urgenti necessità e calamità” (§ 4). Analogamente “il Dicastero può intrattenere relazioni con associazioni, istituti e organizzazioni non governative, anche al di fuori della Chiesa cattolica, impegnate nella promozione della giustizia e della pace. Esso può altresì entrare in dialogo con rappresentanti dei Governi civili e di altri soggetti di diritto internazionale pubblico, ai fini di studio, approfondimento e sensibilizzazione sulle materie di sua competenza e nel rispetto delle competenze degli altri organismi della Curia Romana” (§ 5).
 
Viene poi disciplinato Rapporto con membri della Curia e con Organismi connessi, per cui l’art. 4 statuisce:
"§ 1. Il Dicastero agisce in stretta collaborazione con la Segreteria di Stato, nel rispetto delle rispettive competenze. La Segreteria di Stato ha competenza esclusiva sulle materie afferenti alle relazioni con gli Stati e con gli altri soggetti di diritto pubblico internazionale. §2. Il Dicastero mantiene stretti rapporti con la Segreteria di Stato specialmente quando si esprime pubblicamente, mediante documenti o dichiarazioni su questioni afferenti alle relazioni coi Governi civili e con gli altri soggetti di diritto internazionale pubblico. §3. Il Dicastero collabora con la Segreteria di Stato anche partecipando alle delegazioni della Santa Sede in incontri intergovernativi nelle materie di propria competenza. §4. Il Dicastero mantiene uno stretto rapporto con la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, tenendo conto dei suoi Statuti. §5. Sono costituite presso il Dicastero la Commissione per la Carità, la Commissione per l’ecologia e la Commissione per gli operatori sanitari, le quali operano secondo le loro norme. Esse sono presiedute dal Prefetto del medesimo Dicastero e da lui convocate ogni qualvolta è ritenuto opportuno, o necessario. §6. Il Dicastero è competente nei confronti della Caritas Internationalis secondo i suoi Statuti. 
“Il Dicastero assume anche le competenze della Santa Sede circa l’erezione e la vigilanza di associazioni internazionali di carità e dei fondi istituiti agli stessi fini, secondo quanto stabilito nei rispettivi Statuti e nel contesto generale della legislazione vigente” (art. 5).

venerdì 19 agosto 2016

Riforma della Curia Romana: nuovo dicastero per laici, famiglia e vita

Nel solco della secolare cura della Chiesa riguardo i laici, la famiglia e la vita, segno dell’amore del Salvatore misericordioso verso l’umanità, il 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, Giubileo della Misericordia, il Sommo Pontefice Francesco con Lettera Apostolica “Sedula Mater” in forma di Motu Proprio ha istituito il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che sarà disciplinato da speciali Statuti.
 
Competenze e funzioni finora appartenuti al Pontificio Consiglio per i Laici e al Pontificio Consiglio per la Famiglia, saranno trasferiti a questo Dicastero dal prossimo 1° settembre, con definitiva cessazione dei suddetti Pontifici Consigli. Prefetto  del nuovo organismo è stato nominato mons. Kevin Joseph Farrell, finora vescovo della Diocesi di Dallas.
Natura e portata di un’altra decisione trovano spiegazione nel chirografo che il Santo Padre ha inviato a mons. Vincenzo Paglia, nominandolo Gran Cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per studi su matrimonio e famiglia, nonché presidente della Pontificia Accademia per la vita.
 
Il Papa scrive: “in occasione della riforma della Curia Romana, mi è sembrato opportuno che anche le Istituzioni poste al servizio della Santa Sede con l’attività di ricerca e di formazione sui temi relativi al Matrimonio, alla Famiglia e alla Vita, procedano ad un rinnovamento e ad un ulteriore sviluppo per iscrivere la loro azione sempre più chiaramente nell’orizzonte della misericordia”. Evocando il Magistero in materia sulla scia del Vaticano II, Francesco richiama il recente Sinodo sulla Famiglia, con l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia e auspica un confronto “con le sfide della cultura contemporanea. L’ambito di riflessione siano le frontiere; anche nello studio teologico non venga mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità”.
 
In particolare, il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, dovrà favorire “un adeguato sviluppo dell’attività di riflessione, ricerca e insegnamento dell’Istituto, affinché esso diventi un ambito privilegiato per aiutare le famiglie a vivere la loro vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo di oggi”. 
 
Preside del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, il Pontefice ha nominato mons. Pierangelo Sequeri, attualmente preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano.
 
Così come la Pontificia Accademia per la Vita, è chiamata ad occuparsi “delle nuove sfide che concernono il valore della Vita” e cioè dei “diversi aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo”.

Il Papa, nel chiedere di operare ad intra in sinergia tra l’Accademia e l’Istituto Giovanni Paolo II, collegandosi col “Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, nella consapevolezza che alcuni argomenti spetteranno al nuovo Dicastero che si occuperà della pastorale sanitaria”, aggiunge: “In questa prospettiva, ti adopererai a favorire il dialogo cordiale e fattivo con altri Istituti scientifici e Centri accademici, anche in ambito ecumenico o interreligioso, sia di ispirazione cristiana che di altre tradizioni culturali e religiose. Chinarsi sulle ferite dell’uomo, per comprenderle, curarle e guarirle è compito di una Chiesa fiduciosa nella luce e nella forza di Cristo risorto, capace di affrontare anche i luoghi della tensione e del conflitto come un “ospedale da campo”, che vive, annuncia e realizza la sua missione di salvezza e di guarigione proprio là dove la vita degli individui è più minacciata dalle nuove culture della competizione e dello scarto”.

sabato 6 agosto 2016

Pellegrino tra pellegrini

Tutta incentrata sul senso del perdono la meditazione di papa Francesco svolta nel pomeriggio del 4 agosto scorso davanti alla Porziuncola, durante la visita  alla basilica di Santa Maria degli Angeli  per l'ottavo centenario del Perdono di Assisi. Visita particolare, di carattere privato, da pellegrino tra pellegrini, nonostante la folla accorsa per accoglierlo dentro e fuori la basilica angelana.
 
Il Pontefice, partendo dalle parole, che secondo un’antica tradizione san Francesco pronunciò proprio nel luogo della Porziuncola, “Voglio mandarvi tutti in paradiso!”, ed aver evocato la fede nel paradiso professata nella Chiesa attraverso la comunione dei santi, si è soffermato sul senso del perdono:
Quella del perdono è certamente la strada maestra da seguire per raggiungere quel posto in Paradiso. E’ difficile perdonare!... Sappiamo bene, infatti, che siamo pieni di difetti e ricadiamo spesso negli stessi peccati. Eppure, Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo… Il perdono di Dio non conosce limiti; va oltre ogni nostra immaginazione e raggiunge chiunque, nell’intimo del cuore, riconosce di avere sbagliato e vuole ritornare a Lui. Dio guarda al cuore che chiede di essere perdonato… Quando siamo noi in debito con gli altri, pretendiamo la misericordia; quando invece siamo in credito, invochiamo la giustizia!... Gesù ci insegna a perdonare, e a farlo senza limiti: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (v. 22). Insomma, quello che ci propone è l’amore del Padre, non la nostra pretesa di giustizia. Fermarsi a questa, infatti, non ci farebbe riconoscere come discepoli di Cristo, che hanno ottenuto misericordia ai piedi della Croce solo in forza dell’amore del Figlio di Dio.
Da ciò, dunque, la peculiarità del Perdono di Assisi, alla luce del tempo che si vive:
Cari fratelli e sorelle, il perdono di cui san Francesco si è fatto “canale” qui alla Porziuncola continua a “generare paradiso” ancora dopo otto secoli. In questo Anno Santo della Misericordia diventa ancora più evidente come la strada del perdono possa davvero rinnovare la Chiesa e il mondo. Offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Ripeto: offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace. Chiediamo a san Francesco che interceda per noi, perché mai rinunciamo ad essere umili segni di perdono e strumenti di misericordia.

martedì 2 agosto 2016

“Perdono di Assisi, cammino di Chiesa”

Celebrata la festa del Perdono della Porziuncola a S. Maria degli Angeli, per coglierne “il senso e l’attualità nell’attuale contesto storico” è utile riprendere la Lettera pastorale del Vescovo di Assisi-Nocera U.- Gualdo T. , mons. Domenico Sorrentino, data il 29 giugno 2016 e rivolta ai fedeli della Diocesi e ai pellegrini nell’VIII centenario (1216 – 2016) dell’indulgenza.
 
Indulgenza ottenuta da parte di papa Onorio III da san Francesco, che dando la notizia del “perdono”, il 2 agosto 1216, esclamò: «Io vi voglio mandare tutti in Paradiso!».
 
" La Porziuncola “ – scrive mons. Sorrentino – “diveniva una porta del cielo. Aperta soprattutto per i semplici e poveri. Casa dove la presenza di Dio si percepisce come una carezza e le pietre hanno il calore di un grembo materno. Tutto vi dice semplicità, non disturbata, anzi evidenziata, dall’arte che la decora, specialmente nell’Annunciazione in cui la Vergine è tutta ascolto, plasmata dallo Spirito, pronta per l’incarnazione del Verbo di Dio”.
 
Per spiegare il senso dell’indulgenza, il vescovo evidenzia il rapporto col peccato e gli effetti di questo: “Alcune conseguenze di esso ci affliggono persino quando esso è stato perdonato. Difficilmente infatti portiamo nella confessione una contrizione così profonda da aprire alla grazia tutte le fibre del nostro essere. Il peccato lascia in noi delle “scorie” dolorose. La teologia ne parla in termini di “pena”. Espressione che non dev’essere intesa come se si trattasse di punizione inflitta da Dio in nome di una giustizia “vendicativa”. Piuttosto, come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica, si tratta di qualcosa «derivante dalla natura stessa del peccato» (CCC 1472).
 
Peccato, dunque, come “malattia dell’anima”, che va curata: “In funzione di questa “cura”, nell’antica maniera di celebrare il sacramento della riconciliazione, che registrò diverse fasi e forme, erano previsti atti gravosi di penitenza. Col tempo si affermò una diversa pedagogia: una sorta di cura “intensiva” della misericordia, che, sulla base del perdono sacramentale ottenuto col pentimento sincero e il proposito di vita nuova, consiste nell’implorazione ecclesiale, dunque non solo individuale, di una grazia ulteriore che spinga a una risposta sempre più profonda all’amore di Dio. Nasce così l’attuale prassi dell’indulgenza” che “ espande in noi l’efficacia del perdono sacramentale, favorendo un’apertura a Dio così profonda, da disporre il nostro cuore all’incontro definitivo con Lui, quando lo vedremo così come Egli è (cf 1Gv 3,2)”.
 
Il pastore di Assisi-Nocera U.-Gualdo T. aggiunge che rivere l’indulgenza in Porziuncola “sotto lo sguardo tenero della Madre, è un po’ come lasciarci curare in un singolare “ambulatorio”, in cui Gesù, il medico divino, nella misura della nostra docilità, toglie da noi il “cuore di pietra” e ci dona un “cuore di carne”: il suo stesso cuore! «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo» (Ez 36,36)”.
 
Indulgenza che diventa così “una energia interiore con cui lo Spirito Santo dà nuova forza al nostro impegno”. Ma l’indulgenza, attraverso la preghiera “fatta in fraterna unità” è pure  un fatto ecclesiale, andando oltre il semplice impegno individuale: “«Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19). Preghiera, a maggior ragione, efficace, quando vi è coinvolta, attraverso il ministero del Papa, l’intera Chiesa. Da Onorio III, che concesse questo dono alla Porziuncola, a papa Francesco, che viene a visitarla per ricevere egli stesso questo dono, brilla in Porziuncola il servizio del successore di Pietro all’unità e alla santità della Chiesa: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa» (Mt 16,18). Gesù non cessa di onorare la sua promessa”.  

E infatti, “ Con l’indulgenza si fa una singolare esperienza della comunione ecclesiale, quella che il Simbolo degli Apostoli chiama anche “comunione dei santi”. Legame profondo che ci unisce a Cristo e tra di noi, e che ha nell’Eucaristia il fondamento e il vertice”.  

E ancora, “…nell’implorare l’indulgenza, è la preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre. Anche qui in sintonia col Poverello, che amò tanto il Vicario di Cristo. È provvidenziale a tal fine che, in questo Anno della misericordia, papa Francesco abbia scelto di venire alla Porziuncola, pellegrino tra i pellegrini. Lo accogliamo con gioia. Aderiamo al suo magistero. Preghiamo per lui…”.
 
E infine, ma non da ultimo, nel segno della solidarietà, “L’indulgenza fu per Francesco anche un regalo per la gente più umile e priva di mezzi, in un tempo in cui procurarsi questo beneficio spirituale imponeva costosi e lunghi pellegrinaggi. Francesco chiese al Papa una indulgenza “senza obolo”. A misura dunque dei nullatenenti!”.
 
 
 
 

 

 

 

 
 
 
 
 
 

 

domenica 24 luglio 2016

"La ricerca del volto di Dio"

È dedicata alla vita contemplativa femminile la Costituzione apostolica Vultum Dei quaerere,   firmata da Papa Francesco il 29 giugno scorso e presentata il successivo 22 luglio, nel giorno in cui la Chiesa ha celebrato per la prima volta la “festa” liturgica di Maria Maddalena.
La Vultum Dei quaerere, “La ricerca del volto di Dio”, viene data con la forma della Costituzione apostolica, cioè di un documento solenne che sottolinea l’importanza della materia e arriva a 66 anni dalla pubblicazione della precedente Costituzione Sponsa Christi (1950) di Pio XII.
 
E’ lo stesso Francesco a precisare la ratio di questo suo atto magisteriale: “A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, dopo le dovute consultazioni e attento discernimento, ho ritenuto necessario offrire alla Chiesa, con particolare riferimento ai monasteri di rito latino, la presente Costituzione Apostolica, che tenesse conto sia dell’intenso e fecondo cammino percorso dalla Chiesa stessa negli ultimi decenni, alla luce degli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, sia delle mutate condizioni socio-culturali. Questo tempo ha visto un rapido progresso della storia umana: con essa è opportuno intessere un dialogo che però salvaguardi i valori fondamentali su cui è fondata la vita contemplativa, la quale, attraverso le sue istanze di silenzio, di ascolto, di richiamo all’interiorità, di stabilità, può e deve costituire una sfida per la mentalità di oggi. Con questo Documento desidero ribadire il mio personale apprezzamento, unitamente al riconoscimento grato di tutta la Chiesa, per la singolare forma di sequela Christi che conducono le monache di vita contemplativa, che per non poche è vita integralmente contemplativa, dono inestimabile e irrinunciabile che lo Spirito Santo continua a suscitare nella Chiesa” (n.8).
Al documento, che si chiude con 14 articoli dispositivi, seguirà una nuova Istruzione che sarà redatta dalla competente Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e che riguarderà i temi indicati al n. 12 del documento e cioè: formazione, preghiera, Parola di Dio, Eucaristia e Riconciliazione, vita fraterna in comunità, autonomia, federazioni, clausura, lavoro, silenzio, mezzi di comunicazione e ascesi. La Costituzione, tiene conto del cammino percorso dalla Chiesa negli ultimi decenni e delle mutate condizioni socio-culturali ed è rivolta, appunto, alle religiose contemplative che, secondo le statistiche, sono circa quaranta mila nel mondo, di cui oltre la metà è presente in Europa, dove si trovano anche la maggior parte dei quattro mila monasteri. Segue l’America del Sud e del Nord, l’Asia, l’Africa e l’Oceania.
 
Papa Francesco ha inteso evocare il cammino ecclesiale compiuto attraverso il Magistero conciliare e pontificio, che ha manifestato sempre una particolare sollecitudine nei confronti di tutte le forme di vita consacrata. Per questo il Pontefice ha citato le fonti di riferimento, tra le quali particolare attenzione meritano con riferimento al Vaticano II la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e il Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis. “Il primo colloca la vita consacrata all’interno dell’ecclesiologia del popolo di Dio, al quale appartiene a pieno titolo, per la comune chiamata alla santità e per le sue radici nella consacrazione battesimale. Il secondo chiede ai consacrati un rinnovamento adeguato alle mutate condizioni dei tempi, offrendo i criteri irrinunciabili di tale rinnovamento: fedeltà a Cristo, al Vangelo, al proprio carisma, alla Chiesa e all’uomo di oggi” (n. 7). Così come, aggiunge il Pontefice: “Non possiamo dimenticare l’Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, del mio predecessore san Giovanni Paolo II. Questo documento, che raccoglie la ricchezza del Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata, contiene elementi sempre molto validi per continuare il rinnovamento della vita consacrata e rinvigorirne la significatività evangelica nel nostro tempo (cfr soprattutto nn. 59 e 68)” (ibidem).
 
E ancora, il Papa si diffonde con la citazione di altre disposizioni contenute in successivi documenti come il Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato l’11 ottobre 1992 (cfr. n. 7). Nell’illustrare il contenuto della contemplazione, che porta ad avere “una mente limpida, in cui risuonano le vibrazioni del Verbo e la voce dello Spirito quale soffio di brezza leggera (cfr 1 Re 19,12)”, il Papa ricorda tuttavia che “In questa quiete silenziosa e assorta della mente e del cuore si possono insinuare varie tentazioni, per cui la vostra contemplazione può diventare terreno di combattimento spirituale, che voi sostenete coraggiosamente a nome e a beneficio della Chiesa intera, che vi sa sentinelle fedeli, forti e tenaci nella lotta. Tra le tentazioni più insidiose per un contemplativo, ricordiamo quella chiamata dai padri del deserto “demonio meridiano”: è la tentazione che sfocia nell’apatia, nella routine, nella demotivazione, nell’accidia paralizzante” (n. 11).
 
Quanto ai dodici temi della vita consacrata in generale e, in particolare, della tradizione monastica indicati al n. 12, circa la formazione, mentre si precisa che essa "tende a un’armonica condizione di comunione con Dio e con le sorelle, all’interno di una atmosfera di silenzio protetto dalla clausura quotidiana" (n. 13), Francesco ammonisce ad avere "attenzione al discernimento vocazionale e spirituale, senza lasciarsi prendere dalla tentazione del numero e della efficienza" (n. 15). Viene messa in evidenza poi l’importanza e l’utilità per la vita della Chiesa della preghiera di intercessione per coloro che si trovano in stato di disagio e povertà, facendo esperienza della misericordia risanatrice del Signore (cfr. n. 16).
 
E ancora si richiama la centralità della Parola di Dio per la vita monastica sul piano personale e comunitario (cfr. n. 19), unitamente ai sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, ove il primo “introduce quotidianamente nel mistero dell’amore, che è amore sponsale: «Cristo è lo Sposo della Chiesa come Redentore del mondo” (cfr. n. 22). E “Dall’Eucaristia scaturisce l’impegno di conversione continua, che trova la sua espressione sacramentale nella Riconciliazione. La frequente celebrazione personale o comunitaria del sacramento della Riconciliazione o della Penitenza sia per voi occasione privilegiata per contemplare il volto misericordioso del Padre, Gesù Cristo, per rinnovare il vostro cuore e purificare il vostro rapporto con Dio nella contemplazione. Dall’esperienza gioiosa del perdono ricevuto da Dio in questo sacramento scaturisce la grazia di diventare profeti e ministri di misericordia e strumenti di riconciliazione, perdono e pace, profeti e ministri di cui il nostro mondo oggi ha particolarmente bisogno” (n.23).
 
Il Papa ricorda a proposito della vita fraterna in comunità (cfr. nn. 24-26) “ che gli uomini e le donne del nostro tempo si aspettano da voi una testimonianza di vera comunione fraterna che con forza manifesti, nella società segnata da divisioni e disuguaglianze, che è possibile e bello vivere insieme (cfr Sal 133,1), nonostante le differenze generazionali, di formazione e, a volte, culturali. Le vostre comunità siano segni credibili che queste differenze, lungi dal costituire un impedimento alla vita fraterna, la arricchiscono. Ricordatevi che unità e comunione non significano uniformità, e che si nutrono di dialogo, condivisione, aiuto reciproco e profonda umanità, specialmente nei confronti dei membri più fragili e bisognosi” (n. 26).
 
Dopo aver toccato aspetti riguardanti la vita organizzata delle comunità (cfr. nn. 28-31), Francesco si sofferma sul lavoro, per il quale dice: “Sia per voi ancora e sempre valido il motto della tradizione benedettina “ora et labora”, che educa a trovare un rapporto equilibrato tra la tensione verso l’Assoluto e l’impegno nelle responsabilità quotidiane, tra la quiete della contemplazione e l’alacrità nel servizio” (n. 32). Per il chiasso esteriore ed interiore del nostro tempo, appare quanto mai opportuno il richiamo ad una peculiarità della vita contemplativa data dal silenzio: “…considero importante prestare attenzione al silenzio abitato dalla Presenza, come spazio necessario di ascolto e di ruminatio della Parola e presupposto per uno sguardo di fede che colga la presenza di Dio nella storia personale, in quella dei fratelli e delle sorelle che il Signore vi dona e nelle vicende del mondo contemporaneo. Il silenzio è vuoto di sé stessi per fare spazio all’accoglienza…” (n. 33).
 
E rimanendo su questa lunghezza d’onda il successivo passaggio tocca i mezzi di comunicazione: “Nella nostra società la cultura digitale influisce in modo decisivo nella formazione del pensiero e nel modo di rapportarsi con il mondo e, particolarmente, con le persone. Questo clima culturale non lascia immuni le comunità contemplative. Certamente questi mezzi possono essere strumenti utili per la formazione e la comunicazione, ma vi esorto a un prudente discernimento affinché siano al servizio della formazione alla vita contemplativa e delle comunicazioni necessarie, e non occasione di dissipazione o di evasione dalla vita fraterna in comunità, né danno per la vostra vocazione, né ostacolo per la vostra vita interamente dedita alla contemplazione.
 
Infine l’ascesi, per liberarsi da tutto quello che è proprio della “mondanità” e vivere secondo la logica del Vangelo col dono di sé, rispondendo “alle attese dei fratelli e delle sorelle, nonché alle esigenze morali e spirituali intrinseche a ciascuno dei tre consigli evangelici da voi professati con voto solenne. A questo proposito, la vostra vita interamente donata acquista un forte senso profetico: sobrietà, distacco dalle cose, consegna di sé stessi nell’obbedienza, trasparenza nelle relazioni…” (n. 35).
In conclusione, Papa Bergoglio afferma: “ Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di voi, come “fari” che illuminano il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo. Questa sia la vostra profezia. La vostra scelta non è un fuggire dal mondo per paura, come alcuni pensano. Voi continuate a stare nel mondo, senza essere del mondo (cfr Gv 18,19) e, benché separate da esso, mediante segni che esprimono la vostra appartenenza a Cristo, non cessate di intercedere costantemente per l’umanità, presentando al Signore i suoi timori e le sue speranze, le sue gioie e le sue sofferenze” (n. 36).

giovedì 2 giugno 2016

Cambiare il mondo a partire da Assisi

Uno slogan ambizioso e per taluno pure temerario quello scelto da Stefania Proietti per definire il suo progetto per Assisi, candidandosi alla carica di Sindaco della città serafica.
 
Un progetto che nasce civico, aperto cioè ai contributi di quanti, senza pregiudizi ideologici, lo condividono e che ha portato comunque all’adesione di forze politiche importanti quali il partito democratico e di altri movimenti politici.
Un progetto che guarda alla persona umana a partire dai più fragili e bisognosi. Ed è per questo che privilegia in modo peculiare e distinto le risorse e la salvaguardia del creato. Un progetto tanto coraggioso quanto rivoluzionario per il governo di una città-simbolo nel mondo nel segno di san Francesco.
 
Un progetto di cui si fa carico in prima persona una donna giovane, coniugata cristianamente e madre di due figli, docente universitario in “Energy Systems and Internal Combustion Engines” e professionista di successo nel campo dell’ingegneria ecosostenibile, con riconoscimenti internazionali sia nel mondo civile che ecclesiale.
Un progetto che dà una visione strategica, sottratta alla logica del giorno per giorno e, quindi, dettagliata con precisi interventi che sono impegni verso i cittadini nell’arco della durata della consiliatura che verrà eletta il prossimo 5 giugno, salvo l’eventuale ballottaggio del 19 dello stesso mese.
 
Un programma, articolato in 10 punti, che tocca l’organizzazione e l’utilizzo della città, la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile; l’innovazione; la sicurezza e la legalità; la partecipazione; la formazione, scuola, educazione, università; l’associazionismo, il volontariato , cooperazione e terzo settore; comunicazione e media; Assisi smart city. Un programma che, in un’ottica antropologica definita, procede dai servizi alla famiglia e alle persone per la vita (sportello del cittadino; asilo nido comunale; promozione asili nido aziendali, incentivazione con il libero associazionismo di attività di animazione territoriale per le persone sole e gli anziani; banca del tempo; reti di solidarietà; promozione di una vera cultura della famiglia con relative iniziative di sostegno alla genitorialità; prevenzione delle diverse forme di violenza sulle donne e degli atti di bullismo tra i ragazzi; progetti di solidarietà e inclusione).
 
 
Un programma credibile perché interpretato da uomini e donne che, ricchi solo della propria esperienza di vita, in modo disinteressato, si sono uniti a Stefania Proietti, mettendo al servizio del bene del Comune assisiate le proprie competenze e , perciò, meritandosi la fiducia degli elettori.

mercoledì 18 maggio 2016

Dal Sinodo alla sinodalità

Nella veglia di Pentecoste di sabato scorso, mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera U.-Gualdo T. , ha consegnato alla comunità diocesana il Libro del Sinodo dal titolo eloquente Tu sei la nostra GIOIA!
 
Si tratta - come si legge nella premessa – di una “tabella di marcia”, di “Uno strumento di comunione per un popolo in cammino, desideroso di rendere il suo passo più sicuro e spedito, avendo ben chiaro il traguardo”.
 
Concluse le sessioni sinodali proprio un anno fa di questi tempi, la Chiesa che è in Assisi-Nocera U.-Gualdo T. ha ricevuto quindi dal suo Vescovo la “norma pastorale”, presentata così dallo stesso presule:
“Come concludere il Sinodo, se non aprendoci al vento e al fuoco dello Spirito? È per questo che consegno i decreti sinodali nella solennità di Pentecoste! Vogliamo implorare una nuova effusione dello Spirito, che dia alla nostra Chiesa vigore e slancio per il cammino che la attende. Quanto il Signore ci ha ispirato in questi anni di riflessione ci dà una grande responsabilità. Abbiamo pregato, ci siamo confrontati, abbiamo deciso”.
A proposito della natura e funzione del Sinodo e delle sue conclusioni, mons. Sorrentino spiega:
“Ora è venuto il momento che mi impegna direttamente. La cura pastorale che Cristo stesso esercita, esprimendola in maniere diverse e complementari nell'insieme del suo corpo che è la Chiesa, assume una speciale connotazione nel servizio di coloro che, con l'ordinazione episcopale, sono chiamati ad essere, a suo nome, padri e pastori. Su questa base si comprende quanto prescritto dal Codice di diritto canonico: «Nel Sinodo diocesano l'unico legislatore è il Vescovo diocesano, mentre gli altri membri del Sinodo hanno solamente voto consultivo: lui solo sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali che possono essere resi pubblici soltanto per la sua autorità» (can. 466). Questo impianto giuridico, incardinato sulla decisionalità del Vescovo, potrebbe suonare mortificante rispetto al lavoro comune. Forse, nel cammino mai compiuto di rinnovamento spirituale e pastorale della Chiesa, il futuro conoscerà forme e ambiti di più larga decisionalità comunitaria. Ma, in definitiva, in qualunque assetto giuridico, ciò che è davvero importante è dare il primato alla Parola di Dio e all'azione del suo Santo Spirito. Attraverso il dialogo tra la formazione del consenso comunitario e l'espressione autoritativa dei pastori si è tutti in ascolto della voce di Cristo, il «Pastore grande delle pecore» (Eb 13, 20). Adempio così, in questo Libro, al mio dovere di rileggere le proposizioni a me offerte dall'assemblea sinodale, trasformandole in decreti per tutti. Userò un tono discorsivo, e non di arida legislazione. Si tratta tuttavia di un indirizzo normativo e non solo esortativo”.
Il testo si articola in dodici capitoli e una conclusione, per un totale di 197 pagine in calce alle quali c’è la firma del pastore Domenico. Sulla scia dei lavori sinodali, mons. Sorrentino in questa “legge” riporta “Il Vangelo della Gioia. Ripartire da Gesù” nel cap. I; e quindi gli altri temi toccati e statuiti nei successivi capitoli: “Vino nuovo in otri nuovi. Il coraggio del rinnovamento”; “Sinodalità. L’arte di camminare insieme”; “Il seminatore uscì a seminare. Evangelizzazione e catechesi”; “In spirito e verità. Liturgia,preghiera personale,pietà popolare”; “Famiglia di famiglie. Una nuova immagine di parrocchia”; Pastorale della Famiglia. Direttive per un tempo di crisi”; “Scommettere sui giovani. Per un futuro di speranza”; “ Ne ebbe compassione. Elemosina, condivisione e carità politica”; “Dove lo spirito soffia. Santuari per evangelizzare”; “Storia, cultura e mass media. Al servizio dell’evangelizzazione”; “Economia e strutture. Un uso evangelico”.
 
 
Il tutto condensato nella segno della sinodalità, che non è –come precisa l’Arcivescovo Sorrentino- “un fatto organizzativo” , ma un “evento spirituale” che “esprime il superamento dell’individualismo e la scelta di camminare insieme”, costituendo “una dimensione che appartiene alla vita cristiana: Gesù ci rende un corpo solo (cf. 1 Cor 12,12), tralci dell’unica vite (cf. Gv 15)”.

venerdì 6 maggio 2016

"Sogno un Europa"



Papa Francesco è stato insignito del Premio europeo Carlo Magno, il prestigioso riconoscimento consegnato a personalità che si sono distinte per il loro lavoro a favore della pace e dell'integrazione europee. 

Sorto nel 1949 per volontà di un gruppo di cittadini di Aquisgrana, consiste, insieme all'attestato e al conferimento di un premio simbolico pari a 5.000 euro, in una medaglia raffigurante l'immagine di Carlo Magno sul trono, tratta dal più antico sigillo della città. In passato è stato assegnato a statisti quali i fondatori dell'Unione Europea (Alcide De Gasperi, Jean Monnet, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, Robert Schuman). Ma anche a personalità come frère Roger Schutz di Taizé e nel 2004 lo ricevette  san Giovanni Paolo II. 


Come da prassi il vincitore ha rivolto un discorso. Papa Francesco ha richiamato l’importanza  di una “ trasfusione della memoria” che permetta di “ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”.


 Ma è nella chiusa del discorso che il Papa scandisce, con la metafora del sogno, le tappe di un cammino europeo aperto alla speranza:  “Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.

sabato 9 aprile 2016

Amoris laetitia: "unità dottrinale nella pluralità pastorale".

Tanto attesa, è arrivata puntualmente Amoris laetitia (AL - “La gioia dell’amore”), l’Esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco “sull’amore nella famiglia”, datata 19 marzo, Solennità di San Giuseppe.
 
L’importante documento, che raccoglie i risultati dei due Sinodi sulla famiglia, celebrati nel 2014 e nel 2015, consta di nove capitoli e 325 paragrafi per complessive 264 pagine. Un testo magisteriale corposo, destinato a rimanere riferimento costante nel cammino ecclesiale, preludio di un grande lavoro che attenderà nei prossimi anni Vescovi e operatori di pastorale familiare.
 
Proprio per questo lo stesso Francesco, che ha dato il via a questo cammino lungo la via della famiglia, avverte che il testo va meditato e interiorizzato, con una ripetuta lettura. Un testo che, procedendo dalla realtà concreta della famiglia, ne fa emergere la bellezza della forma cristiana che la manifesta e della misericordia divina che la ispira. Un testo che è un racconto più che un trattato, obbedendo così alla sua natura pastorale, nel rispetto degli obiettivi sinodali che non erano dottrinali. Da ciò gli imput spirituali e di sapienza pratica utile ad ogni coppia umana o a persone che desiderano costruire una famiglia. Stimoli provenienti da chi per esperienza sa che cosa sia la famiglia e il vivere insieme per molti anni.
 
E, comunque, fermo restando l’unità della dottrina, si dispiega una pluralità pastorale, frutto di un’attenzione alla realtà, al di fuori di astrazioni o proiezioni ideali. L'obiettivo del testo, dunque, non è fare una rivoluzione nella Chiesa, bensì portare avanti una “conversione pastorale misericordiosa” (nn. 201 e 293). Ed è così a partire dal titolo Amoris laetitia, che rappresenta più di un invito a prendere sul serio l'amore con la forza della gioia evocata nella Evangelii gaudium.
 
Tutto ciò è certamente qualcosa di nuovo, di evangelico e senza dubbio di missionario. Come dire di ecclesiale nel senso profondo del termine e prende le distanze da speculari aspettative che vanno in tutt’altra direzione, come annota lo stesso Pontefice: “I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche” (n. 2).
 
Insomma Amoris laetitia apre un processo di riflessione all'interno di “un'unità di dottrina e di prassi” (n. 3) aperta alle variabili di culture e tradizioni. Il primato di una visione pastorale, dunque, al cui centro è insegnare ad amare, superando la mera visione dottrinale o le considerazioni spirituali, ma incarnando la relazione coniugale dell’uomo con la donna. Il fatto di centrarla sul vincolo indica la necessità di avere come fine primario quella preziosa realtà umana che non può essere ridotta a una considerazione giuridica. Insegnare a realizzare l’amore coniugale, alla luce della teologia del corpo di san Giovanni Paolo II, riaffermando con la ferma delicatezza, che ricorda nello stile Benedetto XVI, la Humanae vitae del beato Paolo VI.
 
Un continuum magisteriale che non lascia spazio ad alcun dubbio. Sulla base di una dottrina chiara sull’amore, perciò, una svolta pastorale i cui contenuti il Papa volutamente espone non in modo esaustivo: “Senza pretendere di presentare qui una pastorale della famiglia, intendo limitarmi solo a raccogliere alcune delle principali sfide pastorali”.

domenica 13 marzo 2016

“Effetto Francesco”

Si potrebbe dire che fu il “buonasera"  pronunciato da Papa Francesco la sera della sua elezione, quel 13 marzo 2013, dalla loggia di San Pietro al popolo della Chiesa che è in Roma e, dunque alla Chiesa universale (Urbi et Orbi), ad essere l’incipit del cosiddetto “Effetto Francesco”.
 
In verità, al di là di ogni tentazione retorica, non si può non tenere conto di altri elementi che comunque caratterizzano l’elevazione al soglio di Pietro dello “ Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesia Cardinalem Bergoglio “. A partire dal fatto che, per la prima volta, “sibi nomen imposuit Franciscum “. Ma non solo, trattandosi del primo Pontefice latino-americano e gesuita.
 
Ed è in fondo questa sua connotazione geopolitica e di formazione religiosa, che ne caratterizza il tratto umano e spirituale, permeato della radicalità di chi vive del Vangelo. Di chi, cioè, non fa calcoli nei gesti, nel linguaggio, nelle stesse iniziative, privilegiando sempre e comunque l’attenzione agli ultimi. Un'opzione, questa, imprescindibile resa con uno stile di sobrietà. Il Papa che si fa ultimo nella ordinarietà del suo impegno straordinario. Magari con la borsa nera che porta con sé nei suoi spostamenti e nell'uso di  autovetture utilitarie.   Uno stile che tocca il cuore e, dunque, si fa capire. Non viceversa.
 
Uno stile diretto, che in campo sociale aggiorna l’insegnamento della Chiesa, confrontandosi con le sfide del mondo contemporaneo senza indugiare nel definire i fenomeni o chiamare le cose con il loro nome. Espressioni semplici, ma incisive, come la denuncia della “cultura dello scarto”, della “cultura dell’indifferenza” specie nei confronti dei drammi dei migranti, del “denaro che deve servire e non comandare”, della “terza guerra mondiale che viene combattuta a pezzi”, della necessità di “costruire ponti anziché erigere muri”.
 
Francesco, Papa del tempo che viviamo, con l’avvertenza, però, che rimane figlio – come lui stesso ha voluto ribadire- della Chiesa. A certi interessati fan di Papa Bergoglio va ricordata questa elementare verità. Non c’è stata nessuna presa del palazzo d’inverno: cardinale scelto dalla maggioranza degli altri cardinali elettori. A comprendere meglio il passaggio di questo Pontificato, può essere utile ricordare con il cardinale Angelo Scola che “Francesco ci ha messo davanti l’urgenza di assumere il nostro compito di cristiani in maniera diversa”. Di essere, quindi, nella Chiesa attenti interpreti del segno dei tempi, scuotendoci da certe pigrizie intellettuali e anche pastorali.
 
E in questi tre anni Francesco non ha perso occasione per testimoniare il suo impegno di essere “ponte”, di aprirsi al confronto e al dialogo, di “attrezzare” la Chiesa come “ospedale da campo”, privilegiando la decentralizzazione e con essa le necessarie riforme, in primis  quella del cuore che inizia con il sentirsi peccatore (cfr. Misericordiae Vultus). Per passare a  quella delle strutture e dei mezzi iniziando dalla Curia Romana, perché possa sempre più aiutare il Papa e la Chiesa nel difficile compito dell'annuncio a tutti del Vangelo di Cristo. Senza dimenticare la recente riforma in materia di nullità matrimoniale.
 
Il tutto al servizio dell’anima, del quale il Giubileo della Misericordia costituisce una salutare risposta. In particolare, il Papa ha invitato a rivolgersi alle famiglie, sempre più ferite e in difficoltà, con lo sguardo misericordioso di Dio. Così come, occorre rivedere e rilanciare “l’alleanza tra l’uomo e la natura”, alla luce della “Laudato sı’”. E via dicendo con le altre iniziative prese dal Pontefice, che ama stare con la gente e che non fa mancare il suo calore di sommo padre nella fede con le sue quotidiane omelie di S. Marta.