sabato 20 aprile 2013

La carica dei 101

101 e viene in mente il famoso film Disney, aiutati in questo anche dalla foto sul web che vede D'Alema a passeggio con il suo cane (naturalmente di razza). 

Ma 101, ahinoi, indica il numero dei “traditori”, come li ha definiti Bersani, del Pd che ieri hanno affondato la candidatura di Prodi al Quirinale. Dopo che l’avevano platealmente approvata all’unanimità nell’ assemblea dei grandi elettori del centro sinistra. 

Ma al di là degli appellativi con cui qualificare tali signori – si fa per dire- è certo che si rimane in balia di irresponsabili pagati dal contribuente. Una situazione quella verificatasi in sede di elezione del presidente della Repubblica, frutto di una sorta di cupio dissolvi, a sua volta effetto di una mancanza di vera leadership, rivelatasi al contrario mediocre e senza una qualche coerente corrente di pensiero. 

Bersani, è il caso di dirlo, in tre mesi dalle “vittoriose” primarie in poi, si è giocato e ha perso tutto: non ha vinto di fatto le elezioni, non ha potuto eleggere al vertice delle Camere propri rappresentati diretti, non è andato al governo, non è riuscito nemmeno a indicare e meno che mai a farlo eleggere il presidente della Repubblica. Ancora una volta il Pd siffatto si è dimostrato, per dirla con qualcuno, un elefante cieco guidato per la proboscide dall’interessato di turno. 

Dopo la tardiva decisione del segretario di annunciare le proprie dimissioni (preceduto dalla Bindi), il Pd rimane un partito non solo senza guida, ma alla mercé di correnti in guerra tra loro e che per i loro scopi usano anche l’elezione del presidente della Repubblica per contarsi e contare. Basta vedere i diversi modi di scrivere il nome del candidato sulla scheda : solo il cognome, anche il nome per intero o con l’iniziale puntata, messa prima o dopo. Con buona pace del bene del Paese. 

Il tutto con un danno d’immagine dell’Italia sul piano internazionale. E’ l’amara e triste conferma (per i tanti che ci abbiamo investito idealmente) dell’amalgama mal riuscito ovvero della fusione a freddo delle diverse componenti che sono confluite nel Pd e che verosimilmente si sono portate dietro fratture non ricomposte dall’antiberlusconismo o dall’inseguimento di radicalismi di maniera. 

Ma bisogna guardare avanti a partire dal presidente della Repubblica, il quale – non lo si dimentichi- deve rappresentare e realizzare l’unità nazionale, così come ha dimostrato sul campo, giorno dopo giorno, Giorgio Napolitano. Il che non vuol dire in partenza uno che piaccia a tutti, ma uno che sappia fare quel mestiere per competenza istituzionale e politica, sul piano nazionale e internazionale. Ecco perché, alla luce dei fatti fin qui vissuti, sarebbe auspicabile un ripensamento dello stesso presidente Napolitano.

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