Che a Papa Bergoglio l’economia e i suoi problemi nella società odierna non fossero estranei lo si è capito – è il caso di dirlo – a partire dal nome impostosi e dal modo come si è presentato, urbi et orbi, dopo la sua elezione al Soglio di Pietro.
Con la sua autenticità, fatta di gesti e parole che trasudano la freschezza dell’uomo di Dio, del prete innamorato del Signore, alla cui scuola della carità si è forgiato in tanti anni di vita religiosa, ministero presbiterale ed episcopale nella “fine del mondo”.
Dal vissuto, quindi, segnato da uno stile di vita sobrio, rimasto tale anche da Pontefice, il suo insistere sui poveri non solo con un linguaggio semplice e diretto, ma anche coi gesti, facendosi fisicamente prossimo in quel di piazza S. Pietro a chiunque sia debole o segnato dalla sofferenza.
La settimana scorsa, nel giro di tre giorni, egli è intervenuto ripetutamente sui temi economici e finanziari di fronte a interlocutori diversi. Giovedì 16 maggio, nella Sala Clementina in Vaticano, lo ha fatto in occasione della presentazione delle Lettere di accredito presso la Santa Sede degli Ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana.
Nel suo discorso, il Papa, parlando delle cause della crisi economica mondiale, a cominciare dalla speculazione finanziaria, e del dominio del denaro sulle società, ha evocato la “profonda crisi antropologica” che permea il nostro tempo, aggiungendo: “ Nella negazione del primato dell’uomo! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,15-34) ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano. La crisi mondiale che tocca la finanza e l’economia sembra mettere in luce le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo cominciato questa cultura dello scarto”.
Il futuro dell'economia e il ruolo della finanza in Europa è stato ancora oggetto dell’udienza privata che, sabato 18, il Pontefice ha concesso alla cancelliera tedesca Angela Merkel.
Lo stesso giorno Francesco ha ripreso il tema della povertà durante la veglia di Pentecoste con la variegata presenza delle diverse aggregazioni laicali:
“La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione.
Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile. Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza, a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica.
Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera… Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’… tragedia… come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità”.
Una precisa e puntuale ammonzione con parole destinate a fare da mattoni sia per la politica estera della Santa Sede sia per il lavoro interno dei cardinali incaricati dal Pontefice di ridisegnare la governance ecclesiale.
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