Papa Francesco,
nel corso dell’annuale udienza concessa ai prelati uditori, officiali e avvocati del tribunale della Rota romana, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, si è soffermato sulla “fede” che anima gli sposi e sulla sua incidenza sullo stesso consenso matrimoniale e dunque sulla eventuale invalidità di quest’ultimo.
Invalidità o meno di cui sono chiamati ad occuparsi i tribunali ecclesiastici: “Il giudice è chiamato ad operare la sua analisi giudiziale quando c’è il dubbio sulla validità del matrimonio, per accertare se ci sia un vizio d’origine del consenso, sia direttamente per difetto di valida intenzione, sia per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà (cfr. can. 1099)”.
Il Papa ha individuato una causa sostanziale del consenso matrimoniale non valido nell’abbandono di una prospettiva di fede da parte dei battezzati, come già rilevava nel lontano 1974 il beato Paolo VI che “stigmatizzava le malattie dell’uomo moderno «talora vulnerato da un relativismo sistematico, che lo piega alle scelte più facili della situazione, della demagogia, della moda, della passione, dell’edonismo, dell’egoismo, così che esteriormente tenta di impugnare la “maestà della legge”, e interiormente, quasi senza avvedersi, sostituisce all’impero della coscienza morale il capriccio della coscienza psicologica» (Allocuzione del 31 gennaio 1974: AAS 66 [1974], p. 87)”.
Una fede, quindi, permeata di “mondanità spirituale”, che “si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa (Esort. ap. Evangelii gaudium, 93), e che conduce a perseguire, invece della gloria del Signore, il benessere personale”. Francesco ha aggiunto: “E’ evidente che, per chi si piega a questo atteggiamento, la fede rimane priva del suo valore orientativo e normativo, lasciando campo aperto ai compromessi con il proprio egoismo e con le pressioni della mentalità corrente, diventata dominante attraverso i mass media ”.
Da ciò le conseguenze tratte dal Pontefice sul piano giurisprudenziale, ammonendo in tal senso gli operatori dei Tribunali ecclesiastici e in particolare i giudici: “Per questo il giudice, nel ponderare la validità del consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cfr can. 1099). Questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in passato, data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa”.
Questo s’impone, per il Santo Padre, perché “Tale errore non minaccia solo la stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità, ma anche l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come «principio vitale» del consenso, la reciproca donazione per costituire il consorzio di tutta la vita. «Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66), spingendo i nubenti alla riserva mentale circa la stessa permanenza dell’unione, o la sua esclusività, che verrebbero meno qualora la persona amata non realizzasse più le proprie aspettative di benessere affettivo.” A proposito del bonum coniugum e della suo riverbero sul piano consensivo dei nubenti è utile richiamare quanto Benedetto XVI ebbe a dire in un’analoga circostanza
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E ancora questa la "consegna" di papa Bergoglio ai tribunali: “Vorrei dunque esortarvi ad un accresciuto e appassionato impegno nel vostro ministero, posto a tutela dell’unità della giurisprudenza nella Chiesa. Quanto lavoro pastorale per il bene di tante coppie, e di tanti figli, spesso vittime di queste vicende! Anche qui, c’è bisogno di una conversione pastorale delle strutture ecclesiastiche (cfr ibid., 27), per offrire l’opus iustitiae a quanti si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale. Ecco la difficile missione vostra, come di tutti i Giudici nelle diocesi: non chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo. La funzione del diritto è orientata alla salus animarum a condizione che, evitando sofismi lontani dalla carne viva delle persone in difficoltà, aiuti a stabilire la verità nel momento consensuale: se cioè fu fedele a Cristo o alla mendace mentalità mondana”.
Tenendo conto di quanto evidenziato lo scorso anno, sempre alla Rota,
“La dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale non sono in contrapposizione, perché entrambe concorrono alla realizzazione delle finalità e dell’unità di azione proprie della Chiesa. L’attività giudiziaria ecclesiale, che si configura come servizio alla verità nella giustizia, ha infatti una connotazione profondamente pastorale, perché finalizzata al perseguimento del bene dei fedeli e alla edificazione della comunità cristiana”.
E, infine, papa Francesco ha evocato la necessità in concreto di rendere accessibile a tutti i fedeli la via giudiziaria per l’accertamento della eventuale nullità matrimoniale: “Torna utile ricordare … la necessaria presenza presso ogni tribunale ecclesiastico di persone competenti a prestare sollecito consiglio sulla possibilità di introdurre una causa di nullità matrimoniale; mentre altresì viene richiesta la presenza di patroni stabili, retribuiti dallo stesso tribunale, che esercitino l’ufficio di avvocati…Mi piace sottolineare che un rilevante numero di cause presso la Rota Romana sono di gratuito patrocinio a favore di parti che, per le disagiate condizioni economiche in cui versano, non sono in grado di procurarsi un avvocato. E questo è un punto che voglio sottolineare: i sacramenti sono gratuiti. I sacramenti ci danno la grazia. E un processo matrimoniale tocca il sacramento del matrimonio. Quanto vorrei che tutti i processi fossero gratuiti!”.
E’ opportuno aggiungere, al riguardo, che in Italia tale sistema è garantito già dal 1999. E infatti, la Conferenza episcopale italiana copre la gran parte dei costi di un processo di nullità, attingendo ai fondi dell’otto per mille. In tal senso, presso ogni tribunale ecclesiastico regionale, competente a trattare della nullità matrimoniale, è stata istituita la figura del Patrono stabile (nel numero di almeno due), che riceve un compenso professionale dalla Regione ecclesiastica di appartenenza e che è chiamato a fornire consulenza gratuita oltre che assisenza in giudizio ai fedeli che vi si rivolgono.
Per chi si avvale di questi avvocati, il costo di un processo cui si è tenuti a contribuire è attualmente di € 525,00, comprensivo del primo e secondo grado di giudizio (necessitando la nullità matrimoniale definitiva di una doppia sentenza conforme pronunciata da due tribunali ecclesiastici competenti). Va precisato altresì che chi versa in condizioni economiche disagiate, da non poter corrispondere neppure il suddetto contributo di € 525,00, può accedere ad una riduzione dello stesso ovvero ad una sua dilazione nel pagamento. In caso di assoluta indigenza poi il processo è comunque già fin d’ora totalmente gratuito.
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