Benedetto XVI in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario
del Tribunale della Rota Romana , avvenuta lo scorso 26 gennaio, ha chiesto ai giudici ecclesiastici e rotali «ulteriori riflessioni» sulla mancanza di fede degli sposi come possibile causa di nullità del matrimonio.
Come giustamente è stato rilevato, già in passato il Pontefice si è occupato del tema. “Nessuno di noi” – disse nel luglio 2005 dialogando con dei sacerdoti valdostani.– “ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ho invitato diverse conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire”.
Del resto, nel 1999, nell’introduzione all’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede sulla pastorale dei divorziati risposati, che ribadiva l’esclusione dalla comunione sacramentale, Ratzinger osservava: "Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. All’essenza del sacramento appartiene la fede".
E non si dimentichi che ancor prima, nel libro intervista con Peter Seewald, «Il Sale della terra» (1997), il card. Ratzinger ebbe ad affermare: “In futuro si potrebbe anche arrivare ad una constatazione extragiudiziale della nullità del matrimonio. Questa potrebbe forse essere constatata anche da chi ha la responsabilità pastorale sul luogo”.
Una possibilità questa che coinvolgerebbe direttamente il Vescovo diocesano nel dire l’ultima parola sulla nullità di un matrimonio.
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